Avanti popolo

Roberto Beccantini4 giugno 2021

Il pericolo è l’apparente scomparsa di pericoli. L’Italia, per dare il massimo, ha bisogno, sul più bello, di ritrovarsi sul più brutto: come nel 1982, dopo il totonero; come nel 2006, a Calciopoli appena «nata». Quando, viceversa, ci arriva bella e compatta, tutti sul carro, sono dolori: come con Mondino Fabbri nel ‘66, l’anno della prima, fatal Corea. O feroci rimpianti: come nel ‘90, il sabba delle notti magiche.

La Nazionale di Mancini continua a vincere, a segnare, a divertire. «Ma che colpa abbiamo noi» canteranno, immagino. Ultima preda, la Repubblica Ceca: 4-0 a Bologna, in scioltezza, dopo dieci minuti di ruvidi salamelecchi. «Autogol» di Immobile e Barella, reti di Insigne (30 anni: se non ora, quando?) e Berardi, l’ex ragazzo della via Sassuolo che finalmente ha trovato, a 26 anni, «le cose che non ha voluto là». L’Italia è 7a. nella classifica Fifa, la Repubblica Ceca 40a. Si comincia fra una settimana esatta, venerdì 11 giugno, all’Olimpico di Roma: di fronte, la Turchia di Calhanoglu; al fianco, un po’ di popolo.

Formazione fatta, con un solo dubbio (Verratti o Locatelli), e schema alla memoria: 4-3-3. L’Europeo, lo abbiamo vinto una volta sola: nel 1968, dopo una monetina, che fregò l’Urss, e una doppia finale (con la Jugoslavia). Ct, Valcareggi: un tecnico che sapeva che molti (di noi) non sapevano. Poi secondi nel 2000, con Zoff (da Guttuso a Gattuso, il «francobollo» ideale, per Sua Emittenza, da incollare a Zizou) e secondi nel 2012, con fra’ Prandelli.

Tocca al Mancio che, imperterrito, sventola Bonucci e Chiellini. Tocca, soprattutto, ai giocatori. Favorita, vedo la Francia, ma ne riparleremo. Non abbiamo speronato corazzate, non abbiamo fuoriclasse, c’è però il gioco e c’è, soprattutto, il consenso. «Timeo danaos et dona ferentes». Libera traduzione: temo gli italiani anche se portano coccole. Appunto.

Le mille bolle blu

Roberto Beccantini29 maggio 2021

Nel giorno dell’Heysel – che Ceferin, piccolo uomo, ha completamente rimosso – Tuchel spazzola Guardiola (1-0 sul campo, terza vittoria in altrettante sfide) e offre al Chelsea quella Champions che non era riuscito a porgere al Paris Saint-Germain: e, per questo, sceicchi ricchi ma miopi avevano esonerato.

Ha deciso un gol di Havertz, un gol molto verticale, su lancio di Mount, tranciante come una pugnalata. L’ordalia e (finalmente!) il chiasso di Porto hanno perso due protagonisti: Thiago Silva, troppo presto; De Bruyne, speronato da Rudiger, dopo un’ora scarsa. Primo tempo bellissimo, con il City a palleggiare e il Chelsea a giocare sul filo, tre passaggi per uscire di casa e occupare la piazza. Il tutto, a una velocità che, senza televisione, noi poveri inquilini di un altro calcio non vedremmo mai.

Guardiola, ogni tanto, si specchia nella rassegna stampa. Successe la corsa stagione, con il Lione: difesa a tre, d’improvviso. Stavolta, dentro Sterling, fuori Fernandinho e una manovra che, salvo le bollicine iniziali, non ha prodotto un tiro. Neppure alla distanza, neppure con centravanti un po’ più veri (Gabriel Jesus, Aguero) e un Foden più libero di sganciarsi. Seguivo il De Bruyne pre-ko: si muoveva come se gli avessero sabotato l’arredamento del salotto.

Dal Villarreal al Chelsea, dunque. Com’è triste, Manchester, appena due finali dopo. Non alzavano la coppa, i blues, dal 2012, e anche allora grazie a un carro attrezzi: Roberto Di Matteo, precettato d’urgenza al posto di Villas-Boas. Gran signore, Thomas Tuchel: del predecessore, Lampard, ha ricordato i meriti, non gli errori. E pressato dal City, non si è vergognato di chiudersi a chiave. Morale: Mendy, zero parate e in bacheca, l’Europa. Modestamente. Meritatamente.

Due anni buttati

Roberto Beccantini27 maggio 2021

Due anni buttati. Quattro allenatori dal 2019 al 2021: Massimiliano Allegri, Maurizio Sarri, Andrea Pirlo, Allegri. Con l’aggravante che l’ultimo era il primo. Si motivò la rinuncia ad Allegri, gran gestore, con la fine della dittatura del risultato. Si giustificò l’avvento di Sarri con l’utopia del «giuoco». Si rischiò la scommessa Pirlo con la filosofia low cost e la voluttà di un guardiolismo liquido, sospeso, da «non succede, ma se succede».

Il ritorno di Max, fermo da due anni che sembrano due secoli, fissa una sconfitta dalla quale non è escluso che la Juventus possa ripartire per poi vincere la pace. E’ la classica minestra riscaldata alla Giovanni Trapattoni (voto sei) o alla Marcello Lippi (voto otto). Non c’è più Beppe Marotta e, notizia di mercoledì, non ci sarà più Fabio Paratici: bravo nei mercati, tranne gli ultimi, un disastro nel caso Suarez.

Perfetto fino al 2019 o giù di lì, Andrea Agnelli si è perso. Se arruolo Sarri, non potendo non conoscerne lo stile, poi me lo tengo, a maggior ragione dopo il nono. Se mi butto su uno «zero gavetta» come Pirlo, poi non lo mollo, visto che bene o male l’ha fatta. La Superlega (citofonare Villarreal) l’ha spinto lontano. I bilanci piangono, il futuro incombe e ogni mossa diventa una mano di poker. Si aspetta di sapere cosa farà Cristiano Ronaldo, a 36 anni, dal momento che solo lui può deciderlo. E comunicarlo.

Nel frattempo, Allegri. Di nuovo. Ai tempi della fuga di Antonio Conte, trovò la pappa fatta e ne moltiplicò le scodelle (5 scudetti, 4 Coppe Italia, 2 Supercoppe di Lega, 2 finali di Champions, 4 doppiette scudetto-Coppa Italia); questa volta, a naso, dovrà cucinare un po’ di più. Sarà anche semplice il suo calcio,
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