Il «realismo» della Dea

Roberto Beccantini24 febbraio 2021

Eravamo tutti lì, con gli occhi puntati come fucili, per pesare l’Atalanta sulla bilancia dei resti dell’Impero. L’Atalanta del «marca e mordi». L’Atalanta che sbrana o si fa sbranare. Già al 18’, viceversa, finiva la poesia dell’attesa e cominciava la prosa dell’ovvio. Bella, l’azione del Madrid. Ma da giallo, secondo me, il fallo di Freuler su Mendy. E invece rosso: molto severo, molto «realista». Lo svizzero, e la chiudo qui, era l’ultimo uomo; il francese, però, si stava allargando.

Punto e a capo. Non poteva che nascere un’altra «cosa». Con Kroos e Modric che, dalla redazione, invano pretendevano scoop dagli stagisti di turno. Con Zapata presto fuori, lui quoque, e la Dea costretta a inventarsi un catenaccio che non ha mai masticato. Eppure le stava riuscendo, al prezzo di congrui brividi, arroccata com’era attorno a Toloi, Romero e Dijmsiti, le torri del fortino, con Gosens e Pessina che speravano di trovare in Muriel la solita pepita. Speravano.

Zidane non aveva un centravanti di ruolo. E così, vai con il liscio del giro-palla alla caccia di imbucate o numeri personali (ne ricordo uno di Nacho). Non sono mancate le mischie, non sono mancati i tiri, tutti o quasi murati dai difensori. Ma il domatore, nonostante le fiere in superiorità numerica, all’86’ era ancora vivo. L’ha stecchito un destro a giro di Mendy, il migliore: un terzino che Zizou spesso accentrava. Come, sull’altro fronte, Gasperini con Toloi.

Gasp, già. Ha inserito Ilicic e, visto che era in una di quelle sere che gli prende la malinconia, l’ha subito tolto: non so quanti avrebbero avuto lo stesso coraggio. Se non noi dal divano. Non è finita finché non è finita. Sarà più dura, a Valdebebas, ma se Zapata recupera e Josip si sveglia, chissà. Fermo restando che, anche per le dee, i santi in paradiso non aiutano: servono in terra.

Troppo forti, troppi regali

Roberto Beccantini24 febbraio 2021

Davies ha 20 anni, Musiala 17. Uno, titolare; l’altro, riserva. Protagonisti assoluti, il secondo anche di un gran gol. Non so se sia la chiave, ma di sicuro è una traccia che contribuisce a spiegare Lazio-Bayern 1-4. La ricerca del talento e il coraggio di buttarlo dentro. Poi tutto il resto, in ordine sparso: lo strapotere fisico, la velocità abbinata alla precisione, la memoria di un gioco che dai tempi di Heynckes, via Guardiola, Flick ha consolidato, rinfrescato e adeguato. E si badi: era un Bayern senza un sacco di califfi o aspiranti tali.

Altra cilindrata, altra categoria. Lucas Leiva, Milinkovic-Savic e Lui Alberto costituiscono uno dei triangoli più suggestivi del nostro campionato. Spazzati via, letteralmente, da Goretzka, Kimmich e un pressing asfissiante. D’accordo, sullo 0-1, c’era un rigore sul serbo. Non penso che avrebbe sabotato la trama.

I lotitiani hanno regalato il primo gol a Lewandowski (Musacchio), apparecchiato il terzo (Patric) e siglato il quarto (autorete di Acerbi). Un disastro, la fase difensiva. Un po’ meglio in attacco, come ha ribadito l’azione della staffa (Luis Alberto-Correa), anche se da Immobile mi aspettavo di più. Mi hanno colpito i piedi di Sule, un palo della luce che segue e insegue la strada, non solo la occupa e la protegge.

Non dimentico Sané e Coman, le ali. Più verticale, Coman; più invasivo, Sané. Nella fase a gironi Inzaghi le aveva suonate al Borussia Dortmund: 3-1 con Haaland, 1-1 senza. Di Bayern ce n’è uno, per fortuna o per sfortuna. Il pareggio con l’Arminia e la sconfitta di Francoforte avevano gonfiato il petto delle edicole. Tempi duri, per la serie A: l’Inter capolista fuori da tutto già dal 9 dicembre; la Juventus già costretta a una spericolata rimonta con il Porto; la Lazio già praticamente out. Attendo, molto curioso, Atalanta-Real. La Dea contro i cerotti dell’Impero.

Minestrina

Roberto Beccantini22 febbraio 2021

La fortuna della Juventus malata e spolpata è stata che il Crotone di Stroppa, due punti in trasferta e ultimo della classe, gioca sempre a petto in fuori. Per mezz’ora il marziano di Flaiano non avrebbe riconosciuto il dna tecnico dei duellanti. Poi è entrato in scena l’altro marziano, colpo di testa su cross di Alex Sandro e colpo di testa, in sospensione, su cross di Ramsey che aveva raccolto una di lui saetta, smorzata dal portiere.

Non saranno certo questi gol, e gli altri sbagliati o paratigli da Cordaz, il migliore dei suoi, a raccontarci Cristiano. Figuriamoci. Venivano, i campioni, da due k.o. (Napoli, Porto), Pirlo aveva dovuto raschiare il fondo del barile, comunque ricco, e non è che ci si potesse aspettare granché. A parte le sgommate di Chiesa. E a parte, naturalmente, la fame che accompagna la fama del portoghese. Non sempre riesce a risolvere: e, per questo, lo chiamiamo problema. Spesso, però, ci riesce. Con l’Inter in coppa, con la Roma e anche questa volta. Avrebbe bisogno di lanci, di triangoli meno sgangherati. Di una velocità di crociera che gli permettesse, paradossalmente, di vivere di piccole rendite: alla sua età, poi. Diciotto gol, uno in più di Lukaku. Contro-sorpasso, almeno fra i cannonieri.

C’era Ramsey, che ha preso pure una traversa: meglio del niente al quale ci ha abituati. C’era McKennie che, in mischia, ha esploso il 3-0. Kulusevski svariava, dal verbo svariare, verbo che i cronisti tengono sempre in tasca insieme con l’aggettivo «kafkiano». Guarniscono le articolesse insipide (come questa). Nel finale è entrato persino Fagiolino, classe 2001. L’avrei schierato dall’inizio. Il saper fare è cruciale: il far sapere, di più.

Pirlo, il buon pastore, torna così al terzo posto. Sabato, a Verona, la Juventus dovrà trovare la forza di andare oltre i propri limiti: di gioco e di infermeria. Juric è un pirata. Già un anno fa rimontò e saccheggiò Madame Sarrì