I ricchi e i poveri

Roberto Beccantini19 aprile 2021

Naturalmente, andrà a finire che si metteranno tutti d’accordo e chi è più ricco diventerà ancora più ricco e chi è già povero lo resterà, nel migliore dei casi. La pandemia ha accelerato eresie e frenesie. La Superlega alla quale hanno aderito dodici società – fra le quali Inter, Juventus e Milan – è un’idea che in passato era venuta a Berlusconi e che, di recente, ha eccitato Agnelli e, soprattutto, Florentino Perez: il presidente di quel Real Madrid che, dopo aver contribuito alla fondazione della Coppa dei Campioni, oggi spinge per un rodeo esclusivo e privato, con lo ius bacheche che schiacci lo ius campi.

Per carità, la democrazia è talvolta noiosa – penso a certe partite di certe fasi a gironi – ma persino il troppo stroppia: caviale e champagne a ogni portata, prima o poi faranno ruttare. Fifa e Uefa hanno proclamato una sorta di guerra santa. In Inghilterra, si parla di «atto criminale». Federazioni e Leghe minacciano «punizioni esemplari» (già sentita). Sorrido. Pochi hanno colto la solidarietà involontaria di Andrea, pronto, pur di far cassa, a sacrificare quei campionati nazionali che, dal 1996, ne costituiscono l’unico «reddito» a livello sportivo.

Ci si riempie la bocca di slogan tipo «la nostra Nba», senza conoscerne l’effettiva diversità, basata sull’equilibrio dei bilanci e dei mercati. «La guerra dei ricchi» ha titolato «L’Equipe», bastonandone i contenuti. Il mio favorito per l’attuale Champions, quella che si concluderà a Istanbul il 29 maggio, era il Manchester City. Dopo che ha aderito alla sedizione, occhio al Paris Saint-Germain, già temibile di sé e, per ora, fra i non iscritti.

Ci saranno nuovi Nottingham Forest? Mi direte: non c’erano più, da un pezzo. Parlo in generale. Il mondo cambia, che discorsi: ma così mi pare che cambi solo per qualcuno.

I cambi della Dea e gli dei

Roberto Beccantini18 aprile 2021

I cambi della Dea e gli dei. Atalanta-Juventus è tutta qui, attorno al sinistro di Malinovskyi e alla carambola di Alex Sandro. Mancavano sei minuti, recupero compreso. E così: gioco, partita, sorpasso. Era una ordalia da zero a zero, molto fisica, giochicchiata da duellanti timidi, attenti più a presidiare che non a osare. Hanno deciso, ripeto, i cambi: Ilicic e Malinovskyi contro Arthur. Un segno dei tempi.

Senza Cristiano e poi senza Chiesa. Parliamo del Fenomeno (che vorrei sempre dall’inizio; al massimo per sostituirlo): se lo spirito della manovra è risultato più «comunista», la carne dell’attacco si è ridotta a un paio di agguati di Morata, mangiato da Palomino. Perché sì, sul piano atletico la Dea sa essere una bestia. Pirlo ripresentava Dybala, titolare dopo 98 giorni. Sul suo ruolo si continuerà a discutere in eterno, come all’epoca dell’ultimo Allegri: tuttocampista quando, viste le scorte di benzina, avrei tenuto un po’ più vicino alla porta. Fermo restando che nulla e nessuno gli vietava di azzeccare un dribbling.

Cuadrado su tutti, per distacco. E’ il regista occulto della squadra, l’unica sorgente alternativa al torello rugbistico (blitz di McKennie a parte). In segno di rispetto, Gasp era tornato alla difesa a tre. Palomino, Dijmsiti e Toloi su un fronte, Chiellini e De Ligt sull’altro hanno dominato le operazioni. Persino Zapata e Muriel sono stati sbattuti alla periferia del ring. Non ha avuto cali, la Juventus, le è mancata la scintilla dell’ultimo passaggio. L’Atalanta non è stata bella: è stata solida, ha affrontato la rivale come se fosse la «solita», quella contro la quale non vinceva da vent’anni. Il destino ha apprezzato il suo impegno, la sua accetta. Madama scivola, così, al quarto posto: se mai non entrerà in Champions, non cerchi a Bergamo le tracce del suicidio.

C’è sempre da imparare

Roberto Beccantini14 aprile 2021

Real-Chelsea e Paris SG-Manchester City: ecco qua le semifinali di Champions. La scorsa stagione furono Lione-Bayern e Lipsia-Paris. Una sola superstite, dunque: Parigi. Liverpool-Real 0-0 e Borussia Dortmund-Manchester City 1-2 non hanno toccato i picchi dei principi del Parco, ma sono state ugualmente istruttive.

Anfield vuoto sembra un paziente senza passamontagna: un agnellino. Zizou ha studiato in Italia, qua e là trapelava. Scottato dal lampo di Salah che già al 1’ avrebbe potuto terremotare la trama, ha preferito palleggiare attorno a Modric, Kroos e Casemiro, il lucchetto di casa Courtois. Non sono mancate le occasioni, ai Reds: e neppure, anche se in misura largamente più contenuta, ai blancos (palo di Benzema). Il 3-1 dell’andata è stato un muro, non un semplice confine. Klopp avrebbe avuto bisogno del miglior Firmino e del miglior Mané: li ha persi. Il risultato è quasi uno sberleffo del destino, un piccolo omaggio all’italianità sepolta e lontana.

Passiamo al Pep. Come ha disarmato Haaland? Con il pressing di gregge: un occhio al vicino, sempre, e via di recupero. Il gol di Bellingham (17 anni) aveva spinto i tedeschi oltre le proprie risorse. Ci hanno provato di catenaccio. L’assenza di un centravanti portava lo sciame guardiolesco a intasare tutto, persino sé stesso. Pochi tiri, se vogliamo, ma anche zero contropiedi (dei gialli). Possibile che Fort Borussia non offrisse almeno un pertugio? Un mani-comio di Emre Can propiziava il rigore di Mahrez, i guanti di Hitz accarezzavano il sinisto di Foden (20 anni). Su tutti, De Bruyne: per la traversa e per come interpreta il ruolo di tuttocampista. Con l’agente in galera, ha discusso il rinnovo del contratto fornendo i numeri della sua influenza tattica, chiamiamola così. Diavolo di un Kevin, chi mai ne avrebbe dubitato? C’ero arrivato pure io, figuriamoci l’emiro.