Altra cilindrata

Roberto Beccantini25 gennaio 2025

Il passato non passa. Al Maradona avevano perso Sarri, Pirlo, Allegri. Tanto per dire. Thiago ci aveva vinto con Lo Spezia e il Bologna: è il calcio. Allo Stadium, a settembre, fu un mortorio. Non stavolta. Non appena il gatto di Conte si è messo l’elmetto, e ha tirato fuori le unghie, i topi di Motta si sono sciolti. Eppure stavano vincendo, grazie a un destro di Kolo Muani, al debutto lampo, su sponda involontaria di Anguissa. Era il 43’. E già al 5’, per la cronaca, Yildiz aveva sparato addosso a un Meret già steso. Insomma: equilibrio guerriero e un prezioso gruzzolo. Come a Riad. E come a Riad, nella ripresa, l’apocalisse.

Venti minuti di arrembaggio piratesco e picaresco, Madamin asserragliata in area, catenaccione old fashion, un prodigio di Di Gregorio su Lukaku, il pari dalla zucca di Anguissa (su cross di Politano), il sorpasso su rigore, propiziato da Locatelli (recidivo) su McTominay e firmato da Big Rom.

Primo k.o. in campionato, dunque. Altra cilindrata, ‘o Napule, al settimo successo di fila. E quella metamorfosi, quella fame trasmessa dal Dracula in panca e spalmata tra i piedi non proprio banali di Neres, di Politano e il rambismo di Anguissa-Vidal, McTominay-Pogba e Lukaku. Non hanno più tirato, i tapini-topini, leggeri e timidi. A proposito: un disastro Nico (per il quale non avrei sacrificato Mbangula, il migliore di questo scorcio); la solita tragedia «Flopmeiners»; e, per Douglas Luiz, rari e avari spiccioli.

D’accordo, il Martello non ha coppe mentre il Cipressone era reduce da Bruges, ma pur essendo già alla 22a. siamo sempre lì: vantaggio, calo (se non crollo), aggancio e/o sorpasso. Vlahovic ha sostituito lo scarto del Paris Saint-Qatar che lo aveva avvicendato dall’inizio. Uno sherpa, il francese. Meno sedici dalla vetta: temo di essere stato, con il quarto posto d’agosto, fin troppo ottimista.

Timbrare il tabellino

Roberto Beccantini22 gennaio 2025

Corti musi di Champions. Per l’Inter, l’1-0 di Praga è il quarto, dopo Young Boys, Arsenal e Lipsia. La svolta, subito: ping-pong da una fascia all’altra, traversone di Bastoni e «schiacciata» di destro di Lautaro, da posizione molto defilata, con il portiere sorpreso sul suo palo. Il capitano: cinque pere nelle ultime sette. Però. Rientrava dal letargo, lo Sparta: ha corso, limitato i danni, costretto Sommer a un paio di parate. Amen.

Gli ottavi diretti sono, così, a un passo. Inzaghino, il turnover lo ha effettuato durante, non all’inizio. Pilota automatico e turbolenze domate di puro mestiere. Se mai, il torto di non aver chiuso la partita quando avrebbe potuto e dovuto. Non palle-gol clamorose, ma l’idea che a ogni transizione potesse succedere qualcosa. Sette partite, una rete al passivo: quella di Leverkusen. «Honni soit qui mal y pense». E la giarrettiera non c’entra.

Uno a zero anche Milan-Girona. Da Fonseca a Conceiçao il trasloco (tattico) è in atto, e la mobilia (metaforica) non facile da imballare e trasportare. Traduzione: palla al piede, fior di occasioni (specialmente nel primo tempo: pugni di Gazzaniga, sgorbio di Theo, legno di Musah). Palla agli altri: i canonici triboli legati a equilibri precari e mascherati da tre paratone di Maignan, l’oratore dello Stadium.

E comunque, quinta vittoria di fila. Dalla stagione up and down di Leao è uscito l’up: gran filtrante di Bennacer, dribbling, ri-dribbling e sinistro tornito e tonante. Nella ripresa, spagnoli palleggianti e assedianti, ma Dovbyk è a Roma e Savinho al City. Avevo perso di vista van de Beek, scuola Ajax: rieccolo. Il Diavolo ha i playoff garantiti e la via maestra, chissà.

P.S. Un pensiero a Luca Beatrice, uomo di cultura che ebbi il piacere di conoscere e apprezzare. Da lassù dia una mano a chi sa.

Un pari indietro

Roberto Beccantini21 gennaio 2025

Noiosissima e timidissima, per insufficienza di «nove». Lo slogan va oltre il ruolo: ingloba il senso armistiziale che per un tempo aveva sequestrato e rallentato l’ordalia; censura l’insana ideologia di preferire il palleggio al tiro, ribadita dall’ennesima bocciatura di Vlahovic (eppure 4 gol in Champions e 7 in campionato). Il Bruges è un arco di frecce giovani, in casa aveva liquidato Aston Villa e Sporting. Lo allena un tipo, Hayen, che stravede per Del Piero. Il signore sì che se ne intende.

Le sfide con Atalanta e Milan avevano scoperchiato scenari di gloria. Invece: modico turnover e via con le cucchiaiate di brodo, un po’ a te un po’ a me. Douglas Luiz, «Flopmeiners» e Nico Gonzalez, falso nueve, sono stati sostituiti. Morale: 150 milioni di mercato non proprio in fumo, ma manco «in» arrosto. Per adesso. Al netto dei gracili progressi del brasiliano.

La panchina non è più corta: ha «liberato» Conceiçao (toh), Yildiz, Thuram, McKennie e il serbo. Lo 0-0 è lo specchio di un pari con vista playoff che, giusto nella ripresa, ha agitato e offerto brandelli emotivi: Jutglà fuori dal limite, dopo pasticcio di Di Gregorio; liscio di Nico da uno slalom di Mbangula, l’enfant du pays (tra i migliori, ancora); zuccata di Koop; acrobazia di Nilsson; parata di Mignolet su sventola di Locatelli; blitz di Talbi, murato dal portiere.

Il solito possesso, i soliti (rari) tiri. E quel dominio del ritmo che, senza strappi, porta a rischiare poco ma a produrre poco di più. Per carità, all’orizzonte incombe il Napoli, e dal momento che in certi casi «due feriti sono meglio di un morto», hanno festeggiato anche nelle Fiandre. Il Bruges si è difeso a blocco basso e contropiede, sistema che Locatelli e c. hanno sempre faticato a scardinare. Il confine della differenza resta la rifinitura, la fantasia: al diavolo le lavagne. Aspettando il presente di Kolo Muani e il futuro di Vlahovic.
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