Una lezione, non mi vengono altre parole. Al di là degli episodi, degli sprechi, dei gol annullati per fuorigioco (tre). Una lezione. Era il Barcellona di scorta, con Messi Sesto rimasto a casa e una nidiata di seminaristi agli ordini di Vidal (nostalgia canaglia) e Rakitic (perché no). All’Inter mancavano le bussole di centrocampo. Conte lascia, dunque, la Champions e scivola in Europa League, sfrattato da quel Borussia che aveva regolato a San Siro e stava demolendo a Dortmund. Stava.
Poco da obiettare, se fosse finita così con il Barça al completo. Ma è finita così, ripeto, contro le riserve. E l’Inter, oggi, è la regina del campionato. Brutto segno, per i megafoni domestici.
Ci ha provato, l’Inter, con la palla lunga e i fraseggi piccoli. Ma Brozovic era soffocato, Lukaku giù di mira (pareggio a parte) e dalla panchina è arrivato poco: penso a Lazaro. La differenza esula, però, dal taccuino. Si annida nel gioco, la scuola che assorbe, conquista e trasforma chiunque vi acceda. Fino ai cambi, che hanno dato molto più a Valverde Non solo o non tanto Suarez e de Jong, che sono pur sempre un pistolero e un signor regista. Soprattutto, Ansu Fati: ha 17 anni, e se il gol di Perez era stato frutto di un auto-assist di Godin, il suo è stato un gioiellino di biliardo. Alta oreficeria.
Migliore dell’Inter, Lau-Toro: faceva a sportellate con tutti, raccoglieva mozziconi e li offriva in giro, ma le occasioni più ghiotte le ha avute Lukaku, e a certi livelli non puoi sbagliare. La Roma, graziata, pareggiò. Il Barcellona B, risparmiato, ha vinto. Era un’occasione unica: inutile girarci attorno.
Chiudo con il Napoli. Facile vendemmia con il Genk, tripletta di Milik più Mertens. Augurando a Gattuso di diventare il suo Di Matteo, l’esonero di Ancelotti mi sembra, francamente, una c. pazzesca. Alla Fantozzi della corazzata Potemkin.