Circo d’agosto. Però

Roberto Beccantini31 agosto 2019

Perché il calcio è emozione? Per partite come «queste», uso il plurale perché sono state almeno due, Juventus-Napoli 3-0 e poi Juventus-Napoli 0-3, se non addirittura tre, calcolando l’autogol di Koulibaly al 92’. Clamoroso, incredibile, romanzesco per colui che è stato – e rimane – la colonna della difesa (non questa sera, però: già sul lampo di Higuain, uhm).

Difficile parlare di tattica, in queste condizioni. A voler far prosa grezza, la Juventus ha ripetuto Parma: gran primo tempo, anche più bello, ancora più pieno, e flessione netta alla distanza. E il Napoli ha ribadito Firenze: Manolas o non Manolas (a segno, comunque), l’attacco gira ma, palla agli avversari, mamma mia.

Partita pazza, sul serio. Si fa male De Sciglio, entra Danilo e timbra subito. E in che modo: contropiede da area ad area, alla Allegri, dopo un angolo pro Napoli. Pressing, squadra corta, fraseggi: la mano di Sarri (allo stadio, in un box), Il raddoppio del Pipita è un dribbling-arresto-tiro da palati fini, il bisturi di Cristiano sembra davvero la ciliegina sulla torta.

Sì, ma la torta finisce nel cestino. Pjanic e Douglas Costa, Khedira e Matuidi calano, non c’è Chiellini, De Ligt e Bonucci balbettano sul più bello, e Ancelotti azzecca i cambi, Mario Rui e Lozano. Due gol in due minuti (di Manolas, di Lozano) e poi il pareggio di Di Lorenzo, il francobollo del Marziano. Due gol da punizione, fra parentesi.

E allora? Per vie «traverse» (due, di Khedira e Douglas Costa) e per quella prima ora di calcio-champagne, la Juventus ha giustificato il diritto all’omaggio di Koulibaly. Una gran botta di sedere. Dimenticavo un ultimo dettaglio: a Parma, rete di Chiellini a parte, aveva tirato solo Cristiano; stasera, ha tirato mezza squadra. E’ solo circo d’agosto, d’accordo. Però.

«Que dos huevos»

Roberto Beccantini29 agosto 2019

Que dos huevos, si saranno detti il Cholo e Cristiano, proprio loro che di quello slogan e di quel gesto fecero un quadro nelle rispettive arene. Ancora Atletico e Juventus. Uffa. E ancora Inter e Barcellona, Napoli e Liverpool, Napoli e Salisburgo. Il caviale e champagne della Champions fa sempre titolo ma sempre meno una notizia.

I sorteggi aiutano i grandi a tornare bambini, a giocarci sopra e attorno. Sulla carta, come scrivo spesso per garantirmi la clemenza della corte, è andata bene al Napoli (Liverpool, Salisburgo, Genk) e non benissimo alla Juventus (Atletico, Bayer Leverkusen, Lokomotiv Mosca). Il girone di ferro, chiamiamolo così, l’ha beccato l’Inter di Conte: dopo il Barça, il Borussia Dortmund, il più tenace degli anti-Bayern, e lo Slavia Praga.

Molto suggestivo si annuncia il battesimo dell’Atalanta. Se il Manchester City è di un’altra categoria, Shakhtar Donetsk e Dinamo Zagabria sembrano abbordabili. E comunque sarà elettrizzante pesare il timbro inglese di Gasperini su bilance così raffinate.

Atletico e Juventus se le son date pure di recente, Sarri vinse la lotteria dei tiri e del possesso palla, Simeone quella dei gol (2-1). Occhio, naturalmente, a Joao Felix, classe 1999: e che classe. Lo indicano già come l’erede di Cristiano, che negli ottavi dell’ultima edizione, ai tempi di Allegri e Mandzukic, rovesciò da solo, con una tripletta, lo 0-2 del Wanda. La Juventus di Sarri è ancora un cantiere, i tedeschi son sempre tedeschi e le gite a Mosca non sono mai passeggiate, anche se difficilmente diventano imboscate.

Passano le prime due. Vedo favoriti Liverpool e Napoli, Atletico e Juventus, Barcellona e spareggio Inter-Borussia, City e Atalanta, Paris Sg e Real, Bayern e Tottenham, Zenit e Lipsia, Chelsea e Ajax. In attesa che sparino al mercato.

Quello che mi aspettavo

Roberto Beccantini24 agosto 2019

La prima Juventus «grand hotel» di Sarri senza Sarri non poteva produrre orgasmi, e difatti non ne ha prodotti, al netto del risultato, lo stesso di Allegri a Verona, con il Chievo, quando tutto, dopo Conte, ricominciò. La partita, per meriti, è stata una discesa che alla lunga, per flessioni assortite e garra lievitante del Parma, è diventata una salita.

C’era Higuain e non Dybala, l’eroe di Trieste. Boh. C’era il centrocampo d’antan, Khedira-Pjanic-Matuidi: immagino che Martusciello non abbia fatto di testa sua. Anche se l’equilibrio l’ha spaccato George Orwell Chiellini («chi controlla il passato, controlla il futuro»), continua a tirare soltanto Cristiano, e questo non è il massimo. Ha sbagliato le occasioni più chiare, il Marziano, compreso un diagonale al culmine dell’azione più bella; e quando non ha sbagliato lui, l’ha «corretto» la Var per fuorigioco di un alluce (citofonare Guardiola).

Juventus padrona per un tempo e poi più. Piano piano è venuto fuori il Parma di D’Aversa. Ma non con il contropiede di Gervinho e Inglese, come avrei scommesso: con un po’ più di pressione e alla fine, addirittura, con quattro-punte-quattro.

Ricapitolando: molto Douglas Costa, ma spazi anche molto intasati, e dunque problemi di viabilità, di pericolosità. Tiki taka insistito. Higuain più sponde che fionde. E l’intento, palese, di avanzare il baricentro per far coincidere, se e ove possibile, la fase difensiva con la fase offensiva.

Tutto il resto, dagli schizzi di 4-4-2 al possesso palla pedante e non sempre asfissiante, il sommo Brera l’avrebbe liquidato come «masturbatio grillorum». Quando si cambia libro, e non semplicemente pagina, ci vuole pazienza. Non bisogna correre troppo e neppure troppo poco. E sperare nel 2 settembre per capire, del «grand hotel», i clienti e gli intrusi.