Una lezione che peserà sul futuro

Roberto Beccantini20 febbraio 2019

Un’altra lezione di Cholismo. L’Atletico ha lasciato alla Juventus uno sterile possesso palla e si è preso tutto il resto: le occasioni (piattone di Diego Costa, traversa di Griezmann) e i gol – entrambi da calci piazzati, in mischia – di Gimenez e Godin, i guerrieri della difesa.

Esce, Allegri, con un senso di fallimento che sarà difficile smaltire. Gli avevano dato Cristiano per conquistare la Champions, o almeno tentarci, e invece, salvo un miracolo, uscirà già negli ottavi. La Var l’ha salvato finché doverosamente e generosamente ha potuto (era fuori area il «rigore» su Diego Costa, c’era una spintarella di Morata su Chiellini).

Simeone ha alternato il pressing al contropiede, ha sofferto solo su una punizione del marziano e su una sberla di Bernardeschi, alla fine. Mandzukic non ha ricevuto né fornito munizioni, Dybala è sempre stato a metà del guado, un po’ imbranato e un po’ schiacciato. I 34 anni di Cristiano si sono materializzati tutti davanti alla freschezza di quel piccolo diavolo di Griezmann.

L’Atletico era incerottato, la Juventus ha pensato che bastasse circondarlo per stanarlo, come se l’1-0 dell’unico precedente fosse stato, all’alba dell’Allegrismo, un mero incidente di percorso: e invece era un messaggio.

Non è stata l’amazzone di Old Trafford, Madama, è stata la zitella di tante altre volte, che in Italia vince comunque ma in Europa no, neppure a Berna, se giochicchia così. A centrocampo, Koke e Thomas hanno ostruito i sentieri di Pjanic, Matuidi e Bentancur. L’Atletico ruggiva, la Juventus belava. Le è mancato il coraggio. L’Atletico è stato verticale; la Juventus, orizzontale.

Non è la sconfitta, per quanto pesante, che deve far meditare. E’ il modo. Un modo dal quale non sarà semplice rialzarsi. Perché, fra parentesi, Cristiano è costato un occhio della testa.

Con leggerezza

Roberto Beccantini15 febbraio 2019

Scrivo, non scrivo? Scrivo. Allegri sperava che Dybala si sbloccasse, e difatti, ma mai avrebbe immaginato che contro i gilettini gialli del Frosinone in casa, già sul 2-0 e ancora nel primo tempo, Emre Can potesse rischiare il secondo giallo su Emre Cian(o). Sono le capriole di quel «giuoco» che continua a essere il più popolare del mondo proprio perché così populista, sovranista, casinista, calvinista e molto trans (nazionale).

Juventus-Frosinone 3-0 ha introdotto Atletico-Juventus, snodo di tutta la stagione. Rientravano Bonucci e Chiellini giusto per prendere confidenza. Era stato confermato Mandzukic, giusto per non perderla («cerchio»: non sono le sue partite ma due assist; «bottismo»: due assist ma non sono le sue partite).

Quanto a Cristiano Ronaldo, il contratto parla chiaro: finché non timbra, non vuole, non può e non deve uscire. L’avevo scritto prima che segnasse, sicuro che avrebbe segnato. Era il minuto 63: dentro Bernardeschi.

Pjanic ha raccolto gli spiccioli dalle tasche di un Khedira crepuscolare («cerchio», pimpante: come sempre; «bottismo», stanco: come quasi sempre). Nei panni di Allegri, avrei sguinzagliato Kean, ma evidentemente ci sono dettagli che mi sfuggono («cerchio») o che gli sfuggono («bottismo»).

Al Wanda Metro-Politano (ma è lo stadio dell’Atletico o dell’Inter?) schiererei: Szczesny; Cancelo, Bonucci, Chiellini, Alex Sandro; Bentancur, Pjanic, Matuidi; Dybala, Cristiano; Mandzukic. Con coraggio («cerchio»), con cautela («bottismo»). Perché il Cholo è il Cholo: e il suo rinnovo, benzina para todos. Non che l’Atletico non abbia problemi («cerchio»), ma la Liga è più competitiva della seria A («bottismo).

Dimenticavo i carichi di lavoro: peseranno («cerchio») o appesantiranno («bottismo»)?

Da Wanda al Wanda

Roberto Beccantini14 febbraio 2019

Da Wanda al Wanda si gioca, in una settimana, il buon nome dei social italiani. La rottura tra l’Inter e la famiglia Icardi, l’ossessione che aspetta al varco la Juventus, dopo aver puntato tutto su un marziano di 34 anni, sono fatti, non più opinioni. Il filo conduttore è Beppe Marotta, il dirigente che, prima di essere esonerato, ha costruito pietra su pietra, e parametro zero su parametro zero, il Rinascimento juventino. Tanto che Fabio Capello e Aldo Serena, nel commentare la notizia del giorno, hanno parlato di «trapianto di stile Juve». Niente meno.

Dal 15 dicembre 1995, «culla» della sentenza Bosman, i giocatori da un certo livello in su sono assurti al rango di aziende, il cui amministratore delegato è il procuratore. Nel caso specifico, la moglie. Ora, fuori da ogni campanilismo e ogni sessismo, per reggere un simile accerchiamento – di foto, di tweet, di allusioni – «O capitano non più capitano» avrebbe avuto bisogno di un gol a partita. Viceversa, un digiuno così gandhiano l’ha esposto alla forca della società. Anche perché discutere un contratto in scadenza nel 2021 dovrebbe far sorridere, non litigare.

E allora, Marotta. Dallo sgabello bonucciano di Porto a una raffica di anatemi: 1) il turno di «squalifica» a Nainggolan per decesso di zelo; 2) multa a Icardi per ritardi assortiti; 3) declassamento del medesimo Icardi per concorso interno di associazione muliebre (Mauro si è poi tirato via dalla trasferta di Vienna: se è malinconia canaglia e condivisa, ci sta). Insomma: Appiano sempre, ma Gentile un po’ meno. O comunque quando lo decide l’Inter, cioè Marotta. Che non è un genio, ma ha scelto di riportare il club al centro del villaggio. E dal momento che la Juventus che sfiderà l’Atletico al Wanda (Metropolitano) è ancora molto sua, Cristiano a parte, vi beccate il gioco di parole, il paragone e la morale.

Buon san Valentino a tutte e a tutti.