La famiglia Adams

Roberto Beccantini25 agosto 2024

La scorsa stagione, il 4 dicembre, non ci fu storia: 3-0 per il Toro di Juric. Questa volta non basterebbe un romanzo. La famiglia Adams rovescia la Dea e firma una vittoria che la contestazione anti-Cairo (per il «ratto» di Bellanova), il valore degli avversari e il fuoco della trama hanno reso memorabile. Da Toro.

Gasp subito avanti con Retegui, di testa. Vanoli invita i suoi a reagire. Non solo cuore. Anche gioco. Per esempio, il lavoro sporco degli attaccanti, gli inserimenti da dietro (di Lazaro, in avvio, di Ilic, Ricci, Linetty). Il pareggio arriva in fretta, lungo l’asse Ilic-Zapata-Adams-Ilic (tocco sotto).

La sfida è ardente. De Katelaere ha voglia, però mancano Lookman, Scamacca, Koopmeiners, Scalvini (ai granata, Schuurs e Vlasic). Le occasioni crepitano. Il Toro ha le sue, sciupate o sventate da Carnesecchi. La famiglia Adams, dicevo: l’assist, il gol del sorpasso, in contropiede, all’alba della ripresa. Che Adams, scozzese, 28 anni, ex Southampton: un oplita entrato subito in sintonia con l’atmosfera e lo spirito. E come famiglia, vi aggiungo Milinkovic-Savic. Il portiere sempre sull’orlo della ghigliottina. Ha murato a Pasalic il rigore varista del 2-2. Era il 95’.

Non è stato fortunato, l’Ego di Bergamo: sull’1-2, traversa di Retegui e palo del belga. Ha chiuso con Zaniolo, Samardzic e un pugno di bebè. Da Brescianini, doppietta a Lecce, un contributo sin troppo timido. Ricapitolando: il pareggio sarebbe stato più corretto, visto l’andazzo, ma se l’Atalanta la conosciamo, il Toro di Vanoli pare avere qualche freccia in più rispetto alla faretra del passato. Un Ricci e un Ilic più «dentro», per esempio.

** Napoli-Bologna 3-0. La palla di papà Kvara per il gol di capitan Di Lorenzo: tutto il resto, scrivetelo voi.

Va, pensiero, sull’ali dorate…

Roberto Beccantini24 agosto 2024

Big Parma. Già con la Viola aveva stappato un «giuoco» fresco, con Bernabé in cabina di regia, Coulibaly e Valeri bersaglieri di fascia, (super)Man e Mihaila sulla rampa di lancio. Il Milan di Fonseca è ancora un orso che esce dai cespugli per dovere e per fama, più che per fame, senza centravanti (fuori Morata, c’era Okafor: 4), con Theo e Leao che hanno cucito un solo ricamo di classe, l’azione del pari di Pulisic.

La cavalleria leggera di Pecchia ha aspettato senza rinunciare, soffrendo, certo, ma pronta a ribattere colpo su colpo. Finché le gambe hanno garantito benzina ai contropiedi (o alle ripartenze o alle transizioni: scegliete voi). Già avanti dopo 2’, azionissima di squadra e rasoiata di Man. Tanto per dare un senso all’ordalia del pomeriggio. Poi scaramucce assortite, squadre lunghe, ribaltoni di qua ribaltoni di là, il Diavolo a masticare calcio territoriale e non relazionale (ma sì!) e i rivali a sfiorare o mangiarsi fior di gol.

Alla ripresa, introdotto da una traversa di Reijnders, l’1-1 di Pulisic sembrava episodio capace di rovesciare la trama. Invece no. I cambi che salvarono Paulo il freddo contro il Toro (da 0-2 a 2-2), questa volta hanno premiato gli avversari: assist di Almqvist e tocco di Cancellieri. Naturalmente, con le torri (Pavlovic, Tomori) abbandonate a sé stesse in campo aperto. Il possesso palla (61% a 39%) e il numero dei tiri (17 a 9, ma 5 a 5 in porta) non devono indurre in tentazione. Hanno vinto le idee e la cazzimma dei meno forti ma più bravi.

** Inter-Lecce 2-0. Darmian in avvio, su sponda di Taremi, il vice Lautoro; e, al 70’, kamasutra Gaspar-Thuram e rigore di Calhanoglu. In mezzo, l’abisso della qualità. Ordinaria concentrazione. Palleggia e giochicchia, la banda Gotti ma in attacco, poca roba. E fra Dea e campioni, troppa.

Halma: ma più gioia che noia

Roberto Beccantini19 agosto 2024

Mbangula chi? Samuel Mbangula, 20 anni, belga di origini congolesi. Confesso: mai «coverto». Titolare contro il Como. E subito a segno: da sinistra al centro e destro dal limite, strisciante: alla Chiesa. I nostalgici diranno: che chiappe, Thiago. I futuristi: che fiuto. Vale il lavoro della settimana. Ci si aspettava Douglas Luiz. Niente, se non alla fine. E Danilo: niente manco lui. Capitano, Gatti: come dare la stella di sceriffo a un barista del Bronx.

Era la prima di Motta juventino. Piano con i superlativi. Se mai, caccia grossa alle differenze: interessante il combinato Thuram-Locatelli (se mi fermo io, vai tu; se vado io, fermati tu); Cambiaso-Weah catena di destra, Cabal-Mbangula cordata di sinistra; Yildiz vicino a Vlahovic, sì, ma non fisso: libero d’attacco. Hanno timbrato quelli che, una volta, chiamavamo ali: Mbangula e, su strappo del turco e velo del serbo, il figlio di George, «centravanti» di passaggio. Movimento e movimenti.

Madama ha alternato i bivacchi alle migrazioni di gruppo, pronta a buttarsi negli spazi: e a procurarseli, se e quando poteva. E comunque, di Vlahovic, due pali e una rete annullata per offside di Cambiaso a monte del monte. Il Como di Fabregas, neo-promosso, perdeva i pezzi e palleggiava leggiadro (sin troppo): zero tiri nello specchio; e dietro, turbolenze da film d’avventura.

Bello il 3-0 (stesso scarto di Udine, la scorsa stagione): da sinistra a destra, da Mbangula (chapeau) a Cambiaso, mancino a giro. Ripeto: halma. Lo impone la differenza di stoffa; lo suggerisce il periodo. Ho colto, però, più gioia che noia. La panchina ridotta all’osso ha consigliato ritmi furbi e una gestione in pantofole. Il k.o. di Weah aveva sdoganato Nicolò Savona, 21 anni, ennesimo Next gen. C’era curiosità,
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