Si possono sfidare gli dei, non la Dea. Già contro la Lazio, Madama se l’era cavata con i cambi, Cancelo soprattutto, e con la riffa degli episodi. Questa volta, proprio Cancelo l’ha spinta verso il patibolo al quale, agli sgoccioli, l’ha poi inchiodata De Sciglio. Gasp era partito in tromba, l’Atalanta aveva preso campo, poi si era placata. Gli infortuni di Ilicic e Chiellini hanno sabotato la trama. Al posto di Chiellini, è entrato Cancelo: Castagne gli ha soffiato la palla come il fazzoletto a rubabandiera e ha segnato, indisturbato, dal limite. Era il 37’: due minuti dopo, ha raddoppiato Zapata, con una sassata che lo Szczesny dell’Olimpico avrebbe probabilmente murato. Nel finale, ancora Zapata: già sazio, sì, ma non al punto da rifiutare una caramella così dolce.
E la Juventus? La stessa di Roma pre-riffa: inguardabile. E nervosa, come documenta l’espulsione di Allegri. Reclamava una trattenutina di Freuler su Dybala a monte del 2-0: per carità . Mi ero permesso di definire «pericolosa» la vittoria di domenica. Pericolosa, perché il gioco non va reso un’ossessione, ma neppure declassato a stretto superfluo. L’Atletico si avvicina, e la squadra del Cholo è un’Atalanta più rognosa, più affilata, occhio.
La Dea marca a uomo, pressa, Gomez trequartista è la risposta allo spreco cosmico di Dybala tuttocampista. Allegri non c’entra con i harakiri dei singoli e gli errori del branco: c’entra, viceversa, per l’idea che la squadra trasmette, lontana anni luce da Old Trafford. Quel Matuidi incursore, boh. E Cristiano – per tirare, non dico per fare miracoli – a quasi 34 anni ha bisogno di munizioni; è passata l’epoca in cui faceva tutto da solo.
Dopo quattro anni, la Coppa Italia non sarà più della Tiranna. Il problema non è questo. E’ l’involuzione che i cerotti laziali e gli schiaffoni di Bergamo hanno accentuato, e non solo banalmente indicato.