Era nell’aria

Roberto Beccantini30 gennaio 2019

Si possono sfidare gli dei, non la Dea. Già contro la Lazio, Madama se l’era cavata con i cambi, Cancelo soprattutto, e con la riffa degli episodi. Questa volta, proprio Cancelo l’ha spinta verso il patibolo al quale, agli sgoccioli, l’ha poi inchiodata De Sciglio. Gasp era partito in tromba, l’Atalanta aveva preso campo, poi si era placata. Gli infortuni di Ilicic e Chiellini hanno sabotato la trama. Al posto di Chiellini, è entrato Cancelo: Castagne gli ha soffiato la palla come il fazzoletto a rubabandiera e ha segnato, indisturbato, dal limite. Era il 37’: due minuti dopo, ha raddoppiato Zapata, con una sassata che lo Szczesny dell’Olimpico avrebbe probabilmente murato. Nel finale, ancora Zapata: già sazio, sì, ma non al punto da rifiutare una caramella così dolce.

E la Juventus? La stessa di Roma pre-riffa: inguardabile. E nervosa, come documenta l’espulsione di Allegri. Reclamava una trattenutina di Freuler su Dybala a monte del 2-0: per carità. Mi ero permesso di definire «pericolosa» la vittoria di domenica. Pericolosa, perché il gioco non va reso un’ossessione, ma neppure declassato a stretto superfluo. L’Atletico si avvicina, e la squadra del Cholo è un’Atalanta più rognosa, più affilata, occhio.

La Dea marca a uomo, pressa, Gomez trequartista è la risposta allo spreco cosmico di Dybala tuttocampista. Allegri non c’entra con i harakiri dei singoli e gli errori del branco: c’entra, viceversa, per l’idea che la squadra trasmette, lontana anni luce da Old Trafford. Quel Matuidi incursore, boh. E Cristiano – per tirare, non dico per fare miracoli – a quasi 34 anni ha bisogno di munizioni; è passata l’epoca in cui faceva tutto da solo.

Dopo quattro anni, la Coppa Italia non sarà più della Tiranna. Il problema non è questo. E’ l’involuzione che i cerotti laziali e gli schiaffoni di Bergamo hanno accentuato, e non solo banalmente indicato.

Finché la rosa va

Roberto Beccantini27 gennaio 2019

Quando ha segnato Cancelo, la Lazio vinceva per uno a zero: e addirittura su autorete (di un disastroso Emre Can). Il risultato, a essere schietti, avrebbe dovuto essere tre o quattro a zero: penso alle parate di Szczesny su Luis Alberto e Parolo, al salvataggio di Rugani (su Immobile), all’erroraccio di Immobile.

Invece no, appena un gol di scarto. Allegri l’ha sfangata con i cambi. Bernardeschi ha propiziato il primo gol, Cancelo ha firmato l’uno a uno e costretto Lulic al rigore del sorpasso, trasformato da un Cristiano che aveva passato tutto il primo tempo a sbracciarsi con il mister: avanti, avanti. Allegri avrebbe potuto rispondergli come una domenica, a Bergamo, Pesaola giustificò il catenaccio del Bologna dopo promesse assortite di calcio-champagne: «Me hanno rubato la idea».

Mai vista una Lazio così bella, così padrona, così sprecona. Inzaghi aveva azzeccato tutto. Ed era stata la qualità del centrocampo – Parolo, Lucas Leiva, Milinkovic-Savic, Luis Alberto – a declassare la Tiranna a damigella spaesata, perennemente rannicchiata nelle sue laboriose trincee.

In Europa, non oso immaginare cosa sarebbe uscito da un simile bombardamento. In Italia, non solo la Juventus non ha perso: ha vinto e portato a undici punti il tesoretto sul Napoli. L’infortunio di Bonucci e l’ingresso di Chiellini non potevano sabotare la trama. La Lazio ha giocato la partita della vita mentre, per un’ora, la Juventus è stata inguardabile. Cristiano e Dybala sono cresciuti appena in tempo per ribellarsi alla deriva, e fermarla.

Bernardeschi a sinistra e Cancelo a destra hanno scalfito le certezze di Inzaghi. Fa sorridere alludere alle assenze di Pjanic e Mandzukic, quando è stata proprio la panchina a rovesciare la notte. Il calcio è questo. Finché la rosa va.

Robe dell’altro mondo

Roberto Beccantini21 gennaio 2019

Mi dicono che Emre Can abbia mirato e tirato dopo ventinove passaggi consecutivi: l’ultimo, strepitoso, di Dybala (miglior mediano in campo per distacco). Ventinove. Non ci credo. Sono sfizi da Napoli, da Manchester City. Non da Allegri. Allegri al massimo può fare lo zerozerosette con licenza di uccidere (le partite: e il Chievo, alla fine, è stato «abbastanza» ucciso). Ma ventinove tocchi senza se e senza ma appartengono a un allenatore che insegna, non a un tecnico che segna.

E poi: chi è stato il peggiore in campo? Cristiano Ronaldo. Fidatevi. Non tanto per il rigore che Sorrentino gli ha meravigliosamente parato (chapeau); quanto, piuttosto, per aver ciabattato volgarmente un paio di assist (Emre Can, Dybala). Lui, lo sceicco di Gedda e dintorni.

E’ finita 3-0, con reti di Douglas Costa (bellissima), Emre Can e Rugani, tutta gente che non aveva ancora timbrato il tabellino. Scritto che il Chievo di martello Di Carlo ha fatto quello che ha potuto, lo scarto, per una volta, è bugiardo: un 7-1 avrebbe meglio fotografato la differenza.

What else? Anche se il Chievo aveva pareggiato con la Roma e a Napoli, non sono queste le partite che eccetera eccetera. Ed è vero. La squalifica di Pjanic ha reso per una volta plausibile – ai miei occhi, almeno – il tuttocampismo del piccolo Sivori. Mi sono piaciuti Douglas Costa (per un tempo) e Bernardeschi (quantità, qualità). Ventinove passaggi a parte, narrano che, durante la sosta, lo Sean Connery di Livorno abbia imposto carichi zemaniani alla rosa. Questo spiegherebbe la brillantezza (molto) saltuaria fra Bologna di coppa, Milan di Supercoppa e Chievo.

Ho sperato che Cristiano lasciasse il rigore a Dybala. Devo accontentarmi degli applausi a Giaccherini, momento di tenerezza grande e strana, per un Paese così avaro di memoria.