Proprio un Armadius

Roberto Beccantini20 gennaio 2019

Che bel Napoli, in attesa di Araba felice contro Chievo. Bello, per come ha pian piano ricacciato indietro la Lazio, dopo averla sofferta in avvio. E bello, soprattutto, per il mondo in cui l’ha stesa nel giro di tre minuti: con Callejon, su azione «alla mano», e con Milik, a segno su punizione come a Cagliari. Il polacco, per la cronaca, aveva già timbrato due pali: il primo con una cannonata; il secondo in torsione, di testa, complice Strakosha.

«Armadius» Milik è una sicurezza, adesso che ha smaltito gli infortuni alle ginocchia e disperso le vedove del Pipita. Se la Lazio resta l’eterna immatura, come hanno ribadito la palla persa di Lucas Leiva sull’1-0 e lo sgorbio col quale Milinkovic-Savic ha «propiziato» l’espulsione di Acerbi – il Napoli di Ancelotti non occupa più militarmente il territorio, alla Sarri. Concede, conquista, rimedia, accelera. Gli mancavano Koulibaly, Allan, Hamsik e Insigne: quattro titolarissimi. Callejon si è sbloccato, Mertens ha agito più da sponda che da onda. E vi raccomando Fabian Ruiz, lui sì «tuttocampista» di lotta e di governo. La classica riserva che i gradi se li è conquistati sul campo. E pure per l’andaluso, un gran palo.

Diluviava e il San Paolo era mezzo vuoto. E’ stata una partita croccante, senza i calcoli che, spesso, accompagnano le scaramucce fra grandi o sedicenti tali. Ha parato anche Meret, specialmente su Milinkovic-Savic e Immobile, e il gol del Ciro laziale è stato un gioiellino balistico, ma la qualità del Napoli ha scolpito un calcio che, fra reti e legni, ha finito per domare gli avversari non meno del rosso per cumulo inflitto ad Acerbi, contestatissimo, dopo che l’ingresso di Correa li aveva rianimati.

Uscito dalla Champions non senza l’onore delle armi, il Napoli insegue un sogno e due coppe. Le rotazioni di Ancelotti sono tracce che portano a una primavera «seria». Al diavolo gli alibi.

Usa e Gedda

Roberto Beccantini16 gennaio 2019

Cristiano di qua, traversa di là. Questo trofeo usa e Gedda avrebbe meritato più doveri in campo, non solo più diritti fuori. Il caldo, d’accordo, e dunque un ritmo che sarebbe piaciuto a Khedira. Ha giocato, il Milan, come mi aspettavo: compatto, cauto, con Paquetà e Calhanoglu sherpa. In compenso, la febbre sarriana ha ridotto Higuain a un pugno di spiccioli (e di nervi).

In assenza di Mandzukic, Madama ha lasciato l’area in balia di Romagnoli e Zapata. Cristiano ci entrava con sussiego, Dybala quasi mai. Il giro-palla diventava eccitante quando ne venivano coinvolti Cancelo, al rientro, e Douglas Costa.

Puoi esportarle ovunque, ma le finali made in Italy sono queste, grovigli di lamiere fumanti dai quali l’ultimo passaggio esce spesso moribondo. E la fantasia? Ai domiciliari.

Certo, la partita la facevano i campioni: senza fretta, però, e con quel briciolo di supponenza che gli dei non sempre gradiscono. Chiellini, lui sì che ci dava. Gattuso ha cercato di trasformare la gara secca nel viagra degli sfavoriti, riuscendoci all’alba dei due tempi.

La traversa di Cutrone, in avvio di ripresa, è stata un petardo; la sgrullata del marziano, complice Donnarumma, una sentenza. Viceversa, il rosso-Var di Kessie ha mandato tutti a nanna. La Juventus, per eccesso di torello (62% a 38%); il Milan, per decesso di benzina. Le processioni di Dybala rimangono un mistero non meno noioso del braccio di ferro ideologico tra i pro Allegri (dieci trofei, zitti e a casa) e gli anti (dieci trofei, oh yes: ma emozioni, zero). Stavolta voto l’opposizione.

Alle signore arabe e ai signori sceicchi smisto volentieri il brivido di spiegarmi come avrebbero giudicato il braccio di Zapata e l’entrata di Emre Can su Conti. La democrazia si misura anche da questi dettagli. O no?

Buon anno (e buona Var) a tutti

Roberto Beccantini29 dicembre 2018

Come sarebbe finita, ai tempi di «Novantesimo minuto», Juventus-Sampdoria? Non lo so. La partita è stata gagliarda, dominata dal duello indiretto tra Cristiano e Quagliarella. Bene la Juventus all’inizio, poi meglio i doriani, nella ripresa più Juve che Samp fino all’errore di Perin e alla prodezza di Saponara.

La firma è della Var. Se i rigori di Emre Can e Ferrari appartengono al mani-comio, fra le cui stanze si continua a ballare sugli avanzi della volontarietà-involontarietà, caposaldo dei padri fondatori, la cancellazione del 2-2 è figlia di un fuorigioco (di rientro) di Saponara: richiamato, Valeri è corso davanti allo schermo e ha privilegiato il tocco di Defrel al tocco di Alex Sandro, ritenuto accidentale. Per la cronaca, e per la storia, ricordo che non si considerò una «giocata» la spizzata di Cionek sul tiro di Mertens in Napoli-Spal, e si annullò di conseguenza il gol di Insigne. Gli juventini faranno la ola; gli anti, le corna. Mi spiace per Saponara: ho rivisto, nella sua delusione, lo stupore del Platini giapponese.

Il resto è il solito menu. Giampaolo ha un senso del calcio molto geometrico. In compenso, mi dicono che Allegri non sappia più cosa inventarsi per tenere alta la concentrazione della squadra. Anche questa volta ci sono stati cali paurosi, dopo venti minuti e negli ultimi dieci. Audero, così così sull’incipit del marziano, si è poi riscattato su Matuidi e ancora su Cristiano (respinta-più-traversa, alla Berisha di mercoledì).

Ekdal e Praet in grande spolvero (per un’ora, almeno), efficace Rugani, e su Dybala siamo sempre lì: 7 da tuttocampista, 5 da punta. Due gol in totale: un anno fa, quattordici. Cristiano dà tanto ma costa. Evidentemente…

E’ mancato, alla Juventus, il colpo del k.o. Limite già emerso con Roma e Atalanta. Buon anno e buona Var a tutti.

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