Fuori il gioco o fuori

Roberto Beccantini17 dicembre 2018

L’Atletico del Cholo, l’avversario più rognoso, la squadra che la scorsa stagione venne «retrocessa» da Roma e Chelsea ma poi si aggiudicò Europa League e Supercoppa, lo stadio che ospiterà la finale, il derby di Cristiano.

Allegri lo aveva già assaggiato alla sua prima Champions: perse a Madrid (0-1), pareggiò allo Stadium (0-0). Fatturato a parte, l’Atletico è una sorta di Juventus spagnola, a Simeone – come ad Allegri – non gusta il circo. Prende pochi gol, ha un portiere eccellente (Oblak), poi guerrieri come Godin e Diego Costa, spadaccini come Saul, e la lama di Griezmann, pallone di «bronzo».

Con il Liverpool, il cliente più scorbutico che si potesse pescare. Lo stesso ragionamento, rovesciato, vale per loro. La Juventus è stata finalista nel 2015 e nel 2017, l’Atletico nel 2014 e 2016. Mandzukic è un ex abbastanza freddo, ma tutto – anche troppo, temo – ruoterà attorno a Cristiano.

Serve la Juventus di Old Trafford,, il vantaggio che ha l’Atletico riguarda le responsabilità meglio distribuite tra Simeone e la rosa. Alla Juventus, no: se vincerà, merito di Cristiano; se perderà, colpa di Allegri. Madama tiranneggia la serie A, i materassai sono terzi nella Liga. Si giocherà a metà febbraio: piano, dunque, con le capriole.

Se alla Juventus non poteva capitare di peggio, alla Roma seconda sì: il Porto l’ha già eliminata ma se si pensa a Barcellona e Manchester City, bé, non dico di brindare a champagne ma neppure ad acqua minerale.

Ed ecco, per concludere, il mio borsino. Champions, ottavi: Atletico 50% Juventus 50%; Schalke 40% Manchester City 60%; Manchester United 45% Paris Saint-Germain 55%; Tottenham 50% Borussia Dortmund 50%; Lione 30% Barcellona 70%; Ajax 45% Real Madrid 55%; Roma 45% Porto 55%; Liverpool 55% Bayern 45%.

La lotteria degli attimi

Roberto Beccantini15 dicembre 2018

Brutto derby, l’ha deciso un rigore «ignorante» che Zaza avrebbe dovuto evitare e Ichazo, riserva di Sirigu, stava per parare a un Cristiano Ronaldo che l’ha battuto male e, non pago, ha poi «spalleggiato» il portiere: un gesto greve. E così la Juventus va, 46 punti su 48, sei cambi rispetto a Berna ma nessuno nei 98’ di stasera, Allegri è proprio un tipo strano.

Scritto che, in precedenza, il peso di una trattenuta di Alex Sandro a Zaza e di una spinta di Matuidi a Belotti era sfuggito alla bilancia di Guida, e non è poco, il Toro ha fatto il suo e la Juventus, soprattutto per un tempo, no: molto imprecisa, molto «bassa», in balia di troppi campanili. Mazzarri, che già era senza Iago Falque, ha perso anche Sirigu, caduto male dopo uno scontro con Emre Can. Era il 20’: e comunque la parata più bella, più grande, rimarrà sua, su Cristiano.

Alla ripresa, il Toro è rientrato nei ranghi, salvo Belotti, capitano tuttocampista. Calato il pressing di Rincon su Pjanic, la Juventus ha occupato il centro del ring, anche se senza un episodio, «quello», l’ordalia si sarebbe probabilmente consegnata a uno 0-0 senza arte né parte.

Mandzukic sherpa prezioso, Dybala meglio da falso nueve che non da surfista tra le linee, Cristiano meno vago, centrocampisti più propositivi, da Matuidi a Emre Can: la Juventus, che aveva lo Young Boys nelle gambe, è venuta fuori alla distanza; il Toro, che non lo aveva, alla distanza è calato. Poi, certo, se l’equilibrio è così aspro, gli attimi diventano lotterie: la frittata di Zaza e Ichazo (che avrebbe dovuto accompagnare Mandzukic, non buttarglisi ai piedi) ha spaccato la notte.

Da una parte, Belotti e Izzo. Dall’altra, il solito monumento a Chiellini. La Tiranna è umana. Ma in Italia, per ora, basta. E avanza.

Holiday on ice

Roberto Beccantini12 dicembre 2018

Prima comunque, la Juventus di Berna, prima grazie alla caduta del Manchester United a Valencia, prima anche se sconfitta dopo una sarabanda che il destino aveva scelto come réclame del calcio mistero senza fine buffo.

Sino a un certo punto, però. Tra lo Young Boys e la Old Lady sembrava non esserci partita. Tre palle-gol sciupate da Cristiano (ebbene sì), un’occasione per Douglas Costa. Improvvisa, la frittata: di brasiliano in brasiliano, folle il passaggio di Douglas Costa, negligente il contatto Alex Sandro-Ngamaleu. Trasformato da Hoarau, il rigore non ha scosso l’Holiday on ice juventina.

Alex Sandro aveva sostituito Cuadrado, infortunato. Allegri aveva pregato i suoi prodi di lasciar perdere i rintocchi del Mestalla. Il campo era sintetico e bagnato, certo, ma lo United vi aveva vinto 3-0 e il Valencia pareggiato 1-1. Il derby di sabato? Difficile spiegare una notte così stravagante con argomenti che non siano la mira del marziano, l’attimo (molto) fuggente dei sambisti, il ritorno non proprio scintillante di Bernardeschi, il ritmo lento, gli episodi.

E’ stata la prima sconfitta di Madama in trasferta. Madama che, alla ripresa, ha invaso il territorio degli svizzeri, ha colpito un’auto-traversa (con Hoarau!), ha beccato il raddoppio in contropiede (con Hoarau, ancora lui), ha timbrato un palo (con Cristiano), eccetera eccetera.

Cruciale l’ingresso di Dybala. Ha firmato un gran gol e avrebbe addirittura siglato il pareggio, e che pareggio, se un Cristiano in fuorigioco (questa, poi) non ne avesse mortificato il gesto.

Non sono le partite di Mandzukic, queste «amichevoli». E Pjanic camminava. E non c’era Chiellini. E si sapeva, immagino, che il Valencia stesse vincendo. E il Real ha perso in casa 3-0 con il Cska. Basta, per favore.