Belli ma polli

Roberto Beccantini7 novembre 2018

Fino alle fine: bisognerebbe ricordarselo sempre. Quando il Manchester United ha ribaltato il destino, la Juventus avrebbe dovuto essere sul tre o quattro a zero: per il gol, straordinario, di Cristiano Ronaldo (su lancio al bacio di Bonucci); per il palo di Khedira e la traversa di Dybala; per le occasioni sprecate in contropiede (da Cuadrado, al quale mancava pure un rigore, e da Pjanic). Insomma: non la Juventus brillante della prima ora di Old Trafford, ma comunque padrona della situazione, spesso.

Dall’86’ al 90’ è successo di tutto. La punizione di Mata, splendida, la carambola di Alex Sandro nel mucchio selvaggio di una traiettoria randagia di Young. La Champions è il torneo dei dettagli, parole e musica di Mourinho. Perso per perso, José aveva ricavato poco dall’innesto di Rashford, comunque prezioso; molto, invece, dagli alluci di Mata e dai chili di Fellaini, centravanti d’emergenza e cruciale nella mischia del raddoppio.

Allegri, lui, aveva avvicendato Khedira con Matuidi, artefice del fallo su Pogba a monte del pari. Poi il solito Barzagli, e questa volta non è andata bene. Quindi Mandzukic, ma ormai non c’era più tempo. Beffa è il termine più ricorrente. Certo, alla Juventus già il pareggio sarebbe andato stretto, ma ha troppo sciupato e, agli sgoccioli, troppo balbettato. Giocava in casa, era in totale controllo e l’ovazione aveva come addormentato Pogba, svegliatosi in tempo per partecipare al sabba del ribaltone.

E’ la prima sconfitta della stagione, per Madama, ma non la prima volta che non chiude la partita e tribola, e rischia. Gli ottavi rimangono tranquillamente alla portata, il primo posto anche, ma bisognerà darci dentro con Valencia e Young Boys, visto che a parità di punti primo sarebbe lo United. E questo non era nei piani.

Punti esclamativi

Roberto Beccantini6 novembre 2018

Va bene così, soprattutto a San Siro: ma anche al San Paolo, visto cosa aveva combinato il Liverpool a Belgrado (altro che eccesso di zero: peggio, molto peggio). Con Messi in tribuna, il Barcellona palleggia nel cortile di Brozovic e lo cancella dalla notte. Si regge, l’Inter, sulle parate di Handanovic e il cemento armato di Skriniar e De Vrij.

«Made in Ramblas»: detto fra di noi, non è un brutto giocare. Si possono perdere (o pareggiare) le battaglie, ma poi, se e quando vinci le guerre, entri nella storia. Come al Camp Nou, la squadra di Spalletti ha fatto quello che ha potuto: poco, ma abbastanza – questa volta – per recuperare con il tremendismo del solito Vecino e il bisturi del solito Icardi. La magia degli ultimi minuti: fatali al Tottenham, fastidiosi al Barça.

Per i senzaMessi aveva realizzato Malcom, «quello» che sembrava della Roma. Non Suarez, non Coutinho, non Dembélé. Il calcio è (anche) questo. Che lezione, che reazione: con gli 80 mila di San Siro in brodo di giuggiole.

Mica fesso, Tuchel. Via una punta (Cavani, addirittura) e centrocampo più imbottito. Con Buffon e Thiago Silva al rientro, preziosi ma protagonisti della frittata del rigore su Callejon (scattato in fuorigioco?). Nel primo tempo, meglio il Paris, a segno con Bernat, uno dei nuovi. Nel secondo, meglio il Napoli. I duelli tra Koulibaly e Mbappé sono stati entusiasmanti, straripanti. Da Neymar mi sarei aspettato più tiri e meno cross. Ancelotti aveva riproposto la formazione del Parco. Non è stato facile liberare Insigne, autore del pari, e Mertens. Nella tonnara di metà campo è volato di tutto, compreso l’ennesimo giallo per Verratti, sempre dentro la partita (ai suoi ritmi, però).
Morale: l’Inter ce l’ha quasi fatta, il Napoli può farcela. E non è che i pronostici d’agosto fossero molto clementi.

Il bello della sofferenza. O no?

Roberto Beccantini3 novembre 2018

Non proprio di goleada come Napoli e Inter, ma con la sofferenza che spacca i giudizi, merito degli avversari o no? A naso, il Cagliari mi è sembrato più sodo di Empoli e Genoa (soprattutto), ma il mio naso non è quello che ispirò «Uno, nessuno e centomila» a Pirandello. E così sono dieci, le vittorie della Juventus di Allegri, tredici su quattordici calcolando la Champions.

Difficile fare di più: possibile, ogni tanto, fare meglio. Il gol lampissimo di Dybala (scivolando, scivolando) sembrava l’incipit di una cavalcata. E’ stato, invece, il segnale – inconscio, condiviso? – di una frenata non inedita. Szczesny ha soffiato il pari a Pavoletti, Joao Pedro l’ha strappato a Cancelo.

Madama è stata fortunata nel harakiri di Bradaric, sfortunata nel palo di Cristiano, gregario honoris causa. Madama è una tiranna con tratti di umanità, come documentano le reti lasciate a Genoa, Empoli, Cagliari. I sardi avrebbero potuto addirittura pareggiare con Pavoletti, in mischia, un attimo prima del 3-1 timbrato, in contropiede, dalla ditta Cristiano-Cuadrado.

Nessuno è perfetto. Nemmeno la Juventus. Che però lo sa, e si adegua (anche troppo, a volte). I picchi di Manchester e Udine spingono i dibattiti a paragoni estremi (e, spesso, estremisti). Con questa gara è finito il calendario «dolcetto»: dal Milan a San Siro, dopo la parentesi Mourinho, comincia la striscia «scherzetto». La rosa è la più ricca, oh yes, ma il centrocampo incerottato frena le geometrie (di Pjanic, in particolare).

Per i feticisti delle moviole, la serata ha offerto molta carne al Var. Tre episodi: il gol di Dybala (sul filo del filo); il testa-braccio di Benatia (non rigore per il lodo Collina); la spalla-braccio di Bradaric (per l’arbitro più spalla, per me più braccio). Cos’altro? La Juventus non chiude le partite. Vero. Ma Bentancur sta crescendo. Vero anche questo.