Da Team Usa a Team Real

Roberto Beccantini14 agosto 2024

Non hanno perso i cieli di Gasperini. Hanno vinto le stelle di Ancelotti. Da Team Usa a Team Real: 2-0 all’Atalanta e sesta Supercoppa in archivio. Per un’ora, Varsavia ha scortato una finale alla pari, un po’ pennica e un po’ trambusto, una traversa di qua (sforbiciata aerea di Militao su cross di De Roon) e una di là (Rodrygo), una paratissima di Courtois (su testata di Pasalic) e, più in generale, una Dea all’altezza delle esigenze e, soprattutto, delle emergenze (fuori Scalvini, Scamacca, Zaniolo, Koopmeiners).

Poi, come a Wembley contro il Borussia, quando rischiarono l’osso del collo nel primo tempo e strariparono nel secondo, i Blancos hanno sfoderato i loro Curry, i loro LeBron, i loro Durant. Che c’erano già, ma non abbastanza. Slalom di Vinicius, tocco al centro, rete facile facile di Valverde. Era il 59’: nove minuti, ed ecco Bellingham (voto otto, il migliore) beccare Mbappé, sin lì da 5, per il destro del raddoppio. E senza i tuffi di Musso, chissà come sarebbe andata.

La prima di Mbappé. La prima senza Kroos. Il 4-2-4 di riferimento necessita di serbatoi pieni e non mezzo vuoti come sotto Ferragosto. In compenso, l’esterno di Modric, per quanto le rughe ne consiglino il dosaggio, non annoia mai. Non era l’Atalanta di Dublino, né poteva esserlo: per la formazione e per il rango degli avversari. Gasp ha avuto poco da De Ketelaere e persino da Lookman, che la tripletta di maggio aveva caricato di un sacco di onori e di uno zaino di oneri. Carletto, che nulla ha inventato ma da tutti imparato, si è limitato a gestire l’harem offertogli da don Florentino. Essere ammiragli della Sesta flotta non è mica reato: specialmente se non lo fai pesare.

Il Real è la storia del calcio; l’Atalanta, la parabola del dentista. Il pronostico non è mai una sentenza. Stavolta, lo è stato.

Julio col bene che ti voglio

Roberto Beccantini11 agosto 2024

Da Curry-uomo-Curry a «Nole» me tangere a Julio col bene che ti voglio. Le ragazze del volley sono campionesse olimpiche per la prima volta nella storia. All’ora della pennica, hanno sbranato le «State Unite». Appassionato di molto ed esperto di nulla, mi inchino a Julio Velasco, un tecnico al quale devo una della massime che più mi hanno commosso ed entusiasmato («Charlie Brown dice a Snoopy: “Un giorno moriremo tutti”. E Snoopy gli risponde: “Sì, ma tutti gli altri giorni no”»). A Paola Egonu, a Myriam Sylla, a Ekaterina Antropova, a Sarah Fahr, a tutta l’Italia meticcia e di radici mobili che hanno fatto del «muro» un ponte verso la vita (e non una fuga da essa). Orro o mai più.

Si «giochi»

Roberto Beccantini26 luglio 2024

Un paziente, il gentile MarcoB, mi chiede un pensiero sui Giochi che, già cominciati, cominciano oggi a Parigi, sulla Senna (di prima, con il senno di poi; al di là della nuotata «editoriale» della sindaca Anne Hidalgo). Per la verità, invoca persino un pronostico, che poi – dato l’evento – sarebbe la somma di tanti, di troppi. Li lascio agli esperti. Me ne tengo uno. Se la Clinica mi desse dieci centesimi e mi intimasse di giocarli su qualcuno o su qualcosa, li punterei sul non-oro del basket Usa. Maschile, beninteso. Perché su quello femminile, a torto o a ragione, non ho dubbi. LeBron, per carità. E Curry. E Durant (se torna). Ma nessun campionato dell’ orbe terracqueo ha covato le serpi in seno (e che serpi!) come la Nba. Se ai nostri bei dì scrivevamo che prima di laurearsi re d’Europa e del Mondo, Michel Platini, Lothar Matthaeus – e persino Diego Armando Maradona, scusate la bestemmia – si erano sciacquati i panni chez nous, figuratevi un Nikola Jokic, serbo.

Giovanni Malagò – abbasso il quarto mandato – punta a migliorare il Quarantello di Tokyo. E’ presidente del Coni, ci mancherebbe pure che giocasse al ribasso. Che sia l’Azzurro cantato da Adriano Celentano e non l’Azzurro tenebra descritto da Giovanni Arpino. Stop. E guai a confondere Nazione, Nazionale e Nazionalismo. Si tifi con il garbo trasmessoci dal Barone, per il quale, beato lui, l’importante era partecipare.

Ho coperto dieci Olimpiadi, nove estive e una invernale, quella di Torino 2006. Da Settembre Nero all’ultima uscita pubblica di Luciano Pavarotti. Strada facendo, i Giochi sono diventati troppo, lo sappiamo tutti, ma ci piace pensare che ci aiutino – ancora – a fermare le guerre, anche se sempre più spesso, al contrario, ne fomentano i sinistri pruriti. Chiesero un giorno all’avvocato Agnelli: che marito è stato? Rispose: sono stato un marito devoto, non fedele. Ecco. Rispetto alle Olimpiadi anche noi siamo mariti devoti ma non fedeli, nel senso che le tradiamo con il calcio, le accusiamo di efferato business, di gigantismo siliconato, di costringerci a vivere da reclusi, ed esclusi, salvo, ogni quattro anni, far finta che nulla sia successo, di peccaminoso, e niente possa succedere pur di spingere l’adulto-adultero
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