Eppure era stato lui, di peso, a portarla in Russia. Lui, Leo Messi. E’ scomparso sul più bello, come già gli era capitato in Nazionale, mai però in una maniera così assoluta, così umiliante. Croazia tre Argentina zero è una sentenza che riassume una corona d’alloro e, forse, una lapide.
Non c’è stata partita neppure quando c’è stata. Troppo squadra, la Croazia del’uomo qualunque Dalic rispetto al volgo disperso di quel supposto genio di Sampaoli. Qualche cambio rispetto all’Islanda, ma la solita fuffa. Con Messi ramingo, Aguero soverchiato, la fase difensiva agghiacciante e un portiere, bé, un portiere sul quale mi ero già espresso nel «Fuoco amico». Il rigore fallito da Messi contro i grattacieli islandesi e la papera di Caballero hanno fissato i confini, sportivamente tragici ma legittimi, di una Nazionale legata al filo di Islanda-Nigeria.
La scuola dell’ex Jugoslavia si è sempre dissolta a un passo dagli esami di laurea, come per esempio 50 anni fa nelle finali europee di Roma. Se Rebic ha premuto il grilletto, Modric (giù tutto, non solo il cappello) e Rakitic hanno poi liquidato la pratica. Vi raccomando, anche, il contributo di Manzukic, di Kramaric, di Perisic e dei guerrieri che presidiavano i valichi.
C’era tempo prima, per sbloccare il risultato, e ce ne sarebbe stato dopo, per incollarlo. Niente. Qualche mischia, un sacco di botte, una serpentina di Messi e solo, o soprattutto, Croazia. Leo è «fuggito», letteralmente, all’ingresso, tardivo, di Higuain e Dybala. Mentre gli avversari correvano leggeri, Messi arrancava come se l’allenatore fosse lui. Con il Brasile, l’Argentina era una delle mie finaliste virtuali. Già all’esecuzione degli inni l’ufficio facce caro a Beppe Viola aveva stanato la barba livida e pensierosa della Pulce. Domenica compie 31 anni. Doveva essere il suo Mondiale. Paradossalmente, lo sarà . Comunque.