La fabbrica

Roberto Beccantini13 maggio 2018

Sette scudetti consecutivi (34 in tutto) più quattro doppiette scudetto-coppa più due finali di Champions lasciate ai marziani («Infandum, regina, iubes renovare dolorem»), più veleni ed eventuali: la Juventus è questa, una fabbrica che, in Italia, non chiude mai. Attorno è cambiato il mondo, la Milano cinese, la Roma americana, il battesimo della Var. Non lei. La bilancia su cui salire per pesare sentimenti e risentimenti. All’estero non è molto diverso, basti pensare ai sei titoli del Bayern e ai cinque su sei del Paris Saint-Qatar, ma quando fa comodo è la nostra erba a sembrare più verde, non quella dei vicini.

Riemersa da Calciopoli, la Juventus è entrata nel futuro prima degli altri. Il problema sembrava: quanto ci resterà? Il problema è diventato: quando vi saliranno gli avversari? L’ultimo ad arrendersi è stato il Napoli olandese di Sarri, «così bello quand’è bello», capace di andare oltre il proprio record di punti. Complimentissimi.

Nella griglia d’agosto avevo dedicato alla Tiranna questo pronostico: «Si riparte dalla rabbia di Cardiff e dal fiasco in Supercoppa. La più forte anche così, senza Bonucci e Dani Alves, e anche se non proprio completa (in difesa, a centrocampo). I Bernardeschi e i Douglas Costa decorano le corsie, ma in mezzo? Matuidi è un guerriero, Allegri dovrà inventarsi qualcosa, la pancia piena reclama scosse». Piccole, ma ci sono state: dalle sgommate di Douglas Costa a Cuadrado terzino.

Tre di Conte, gli altri di Allegri. Il primo fu lo scudetto della sorpresa e dell’imbattibilità, il secondo della conferma, il terzo dei 102 punti, il quarto della continuità nella diversità, il quinto della grande rimonta, il sesto della mossa del cavallo (Mandzukic), il settimo della formazione ballerina e del dibattito, Allegri sì Allegri no. Un uomo sodo al comando.

Arrendetevi!

Roberto Beccantini9 maggio 2018

Higauin in panca e Mandzukic in campo: ma «questo» è matto. Khedira e Pjanic camminanti, Douglas Costa metà terzino e metà ala, Dybala pascolante al largo, Cuadrado su Calhanoglu: complimenti, mister. E il Milan raccolto, come e meglio della Juventus, suoi gli unici dardi: di Cutrone e Suso, smorzati da Buffon. Così nel primo tempo della finale di Coppa Italia. Un primo tempo di esasperante lentezza, pieno di nebbia, di fumo.

Poi cominciò il secondo. E la Juventus, che nell’area del Diavolo non si era mai avventurata, come se fosse un ufficio chiuso per ferie, ha cominciato a entrarci. Donnarumma ha 19 anni e si chiama Gianluigi come Buffon, che ne ha 40. Alzi la mano chi poteva immaginare che la storia sarebbe dipesa proprio da loro, soprattutto da uno di loro?

Perché sì, il risultato finale è stato: Juventus quattro, Milan zero. E se tre gol sono venuti da calci d’angolo, all’oscuro della trama, almeno due pesano sui guanti del figlioccio di Raiola che su Dybala, viceversa, era stato prezioso, reattivo. Non il primo di Benatia, con un contatto Calabria-Matuidi che il Var cancellava ai dubbi di un pigro Damato. Alludo al secondo, di Douglas Costa, e al terzo, ancora di Benatia. Errori clamorosi, fatali. Senza l’attenuante della casualità che si può concedere, almeno in parte, all’autogol di Kalinic. Già che ci siamo: in Europa, la maldestra zampata di Matuidi, sul 3-0, avrebbe regalato al Diavolo l’onore delle armi. Ma siamo in Italia: e allora, palo.

E così, quarta Coppa Italia consecutiva e, salvo cataclismi, ennesima doppietta coppa-campionato. Hai voglia di dire che per un tempo più cinque minuti il Milan di Gattuso aveva giocato alla pari. Non escludo che già da domani ricominci il dibattito su Allegri sì o Allegri no. A un lettore è venuto in mente il colorito imperativo di Beppe Grillo: arrendetevi!

Quanto Costa

Roberto Beccantini5 maggio 2018

Si sapeva che la Juventus fosse in riserva. Si era fatta imprigionare dal Napoli e aveva sofferto persino l’Inter in dieci. Non si sapeva, viceversa, che Buffon e Allegri le avrebbero tolto anche quella poca benzina che aveva. Buffon, con un erroraccio che propiziava il rigore di Rugani su Crisetig, poi trasformato da Verdi (a proposito: nemmeno 3’20″ di Var sono riusciti a cambiare il giallo in rosso, come Irrati avrebbe dovuto, Irrati dopo Orsato; fuoco alle polveri). Allegri, «arrestando» Douglas Costa per un tempo.

In Italia, con la Signora, gli dei sono meno schizzinosi che in Europa. E allora: dall’autogol di Skriniar su cross di Cuadrado all’autorete di De Maio su cross di Cuadrado. Dopodiché, Douglas Costa. Le sue sgommate, le sue scintille, le sue rabone. L’hombre del partido, come già contro la Sampdoria. Assist a Khedira, la cui spintarella a Keita pareggia quella-da-rigore-più-rosso di Keita a Cuadrado in avvio di ripresa. Assist a Dybala. Sul secondo gol, va registrata la complicità di Mirante, fin lì – con Verdi – uno dei migliori.

Il Bologna di Donadoni ha fatto la sua partita e, sull’uno pari, aveva addirittura colpito un palo con Kraft. Non c’era la Juventus, in campo. C’era una squadra che credeva di esserlo. Gli avversari, tosti, non ci sono cascati. Fino, almeno, alla staffetta tra Matuidi, pasticcione, e Douglas Costa, letale. Vi raccomando la formazione di Allegri: Asamoah centrale di sinistra, Alex Sandro ala, Barzagli nel cuore del fortino: un biglietto della lotteria.

Marchisio ha acceso piccoli falò, Higuain pensa al Mondiale, al lavoro sporco che, per essere titolare, dovrà dedicare a Messi e allora accetta di vivere di briciole. Dybala, lui, giochicchiava tra le linee, senza arte né parte. Il gol è stato un attimo: bello, ma isolato. Che è poi il riassunto del Dybala attuale.