Cristiano, ma che strano…

Roberto Beccantini3 aprile 2018

C’è un Cristiano che non porge mai l’altra guancia. Gioca nel Real e segna sempre alla Juventus, già nove gol in sei partite. Due stasera: il primo dopo tre minuti, non facile per tutti tranne che per lui, ha indirizzato l’ordalia. Il secondo, in acrobazia, difficile per tutti tranne che per lui, l’ha chiusa. Tutti in piedi, allo Stadium: e un applauso che non finiva più.

Ci mancava solo il rosso a Dybala, un Dybala che, come Higuain, appena l’asticella sale, scende. Non sempre (Barcellona, Tottenham): spesso. In pratica, la Champions della Juventus finisce qui, nei quarti. Troppa differenza: soprattutto a metà campo. Isco, Modric, Casemiro e Kroos contro Bentancur e Khedira (tra i meno peggio) più un’ala che doveva fare il terzino (Douglas Costa) e un terzino che doveva fare l’ala (Alex Sandro). Con Benatia e Pjanic squalificati, nei panni di Allegri avrei battezzato un 4-3-2-1 meno vago (forse), ma dal divano è facile sputare sentenze. Mica devo confrontarmi con Cristiano, io: al massimo, devo dargli il voto. Nove.

C’è poi il discorso delle troppe coccole del campionato, coccole che, al di là dei meriti, trasformano un fortino inespugnabile (16 gol in 30 partite) in un reparto alla portata di troppi (11 gol in 9 gare). La Juventus, «questa» Juventus, ha dato tutto quello che poteva. Ha sfiorato l’1-1 con Higuain (gran parata di Navas), ha giochicchiato, cercando di andare oltre gli errori di Chiellini e gli anni di Buffon e Barzagli. Avrebbe potuto umiliarla, il Real di Zidane, come documentano le traverse di Kroos e Kovacic e, giusto agli sgoccioli, ebbene sì, una licenza poetica di CR7 in persona.

Sei scudetti, forse sette, ma da Cardiff allo Stadium non è cambiato nulla: 1-4, 0-3, crollo alla distanza e poker di Cristiano, con Messi l’unico extraterrestre di questo millennio.

Lazzaro Khedira

Roberto Beccantini31 marzo 2018

E’ stata la classica vittoria «made in Allegri», tra il ritorno al 3-5-2, un avvio brillante (con gran gol di Dybala), l’arretramento sistematico e il pareggio di Bonucci (proprio lui, meritatamente lui), molti patimenti e sbattimenti, una traversa di Calhanoglu, la manna dalla panchina e l’improvvisa esplosione del peggiore in campo (o uno dei peggiori): Khedira. Assist di sinistro per Cuadrado, fuori da dicembre, e destro filante nell’angolino. Insomma: c’è chi entra Gesù ed esce Lazzaro e chi, come il tedesco, entra Lazzaro ed esce Gesù.

Il Milan, un buon Milan, ha tenuto per un’ora. La difesa non soffriva più di tanto, Kessié assicurava ritmo, Suso e Calhanoglu dribbling, tiri e cross. Sono mancati, a Gattuso, i centravanti: André Silva, soprattutto.

Hai voglia, adesso, di dire che il 3-1 è uno scarto esagerato (e lo è), che era impossibile non pensare al Real da una parte e al derby dall’altra (impossibile, certo), che il pari del Napoli aveva gettato coriandoli strani, raccolti da Dybala e ignorati da Higuain. Tutto si può e si deve dire, tranne che questa Juventus – in campionato, almeno – non ne sappia una più del Diavolo. E non è solo una battuta.

Non stava in piedi, il centrocampo juventino. E il primo gol preso in competizioni domestiche nel 2018 aveva messo di cattivo umore la Bbc, fresca di restaurazione. Poi le staffette: Douglas Costa per Lichtsteiner, Cuadrado per Matuidi. Il Milan, tosto e reattivo, stava controllando le operazioni dal centro del ring. Non che la Juventus non cercasse di vincere: non ci riusciva, glielo impedivano.

Fino alla «doppietta» del fischiatissimo Khedira. Che cambiò la storia di una piccola, grande cronaca.

Buona Pasqua a tutti.

Coraggio pure

Roberto Beccantini27 marzo 2018

Il problema non è Di Biagio o, più in generale, il ct. Chi scrive, a proposito, terrebbe l’attuale traghettatore. Il problema sono i giocatori. Lo 0-2 con l’Argentina senza Messi e l’1-1 con l’Inghilterra senza Kane lo hanno ribadito al di là dei risultati, dell’etichetta e degli episodi (gli errori in uscita di Jorginho e Parolo che sono costati il gol di Banega e la punzione dalla quale è scaturita la rete di Vardy). A centrocampo, soprattutto.

Vero, tra Kiev e Wembley Immobile si sarà mangiato come minimo sei palle-gol (tre a tre), ma averle sbagliate significa che «c’era». E comunque, se non c’è Immobile c’è Belotti, e un domani potrebbe tornare Balotelli. Questi siamo. Non è colpa del tecnico se Jorginho e Insigne hanno combinato, in due partite, una sola azione «made in Sarri». Viceversa, diamogli atto che il rigore, poi trasformato da Insigne, se l’è procurato un debuttante di Manchester: Chiesa, appena entrato.

Il Var ci ha dato una mano, smascherando il penalty. E’ destino che a Londra gli italiani lascino il segno: il nuovo Wembley fu inaugurato da un’amichevole tra Under 21. Finì 3-3 e tutto i gol azzurri, compreso il primo in assoluto, li firmò Pazzini.

Una volta, quando a Wembley si vinceva con Capello o con Zola, si superava la metà campo molto meno di quanto non si sia fatto stasera. E non si sfogliavano tutti i quaderni e tutti i pizzini che, invece, sono diventati i simboli di un calcio abbinato più alla Nasa che al naso, come si faceva in passato (e proprio male non ci andava).

Mi è piaciuto Rugani, e molto Sterling, al quale Guardiola ha grattato via lo stretto superfluo. Che ci crediate o no, gli inglesi hanno giocato in contropiede più di noi. In casa, per giunta. Tutto è utile, quando non si va al Mondiale e bisogna ricostruire. Anche cantieri incasinati come questi.