Un cerottino

Roberto Beccantini5 settembre 2017

E’ bastato un colpetto d’acceleratore, ma proprio un colpetto, per immaginarci i bolidi che non sappiamo più essere. Da Spagna-Italia 3-0 a Italia-Israele 1-0 cambia poco sul piano del gioco, molto in chiave play off, visto che, complice l’1-1 di Macedonia-Albania, ormai ci siamo.

Prendiamolo come un cerotto su una ferita fresca e profonda, anche se poi, quando sorteggiarono i gironi, non uno che io ricordi collocò gli azzurri davanti alle furie. Certo, c’è modo e modo di perdere: e al Bernabeu abbiamo perso malissimo; e c’è modo e modo di giocare, cosa che in passato non poteva fregar di meno ma da Sacchi in poi ha cominciato a scuotere le coscienze (e le edicole).

Ancora e sempre 4-2-4, Ventura. E’ uno schema che coraggio e presunzione si palleggiano rinfacciandosi qualità dei giocatori e sensibilità del tecnico (ho detto sensibilità, non fissazione). Il tasso più modesto degli avversari ha alzato leggermente il livello della nostra manovra. Solo nel secondo tempo, però: il primo era stato un disastro senza un Isco a giustificarlo, e con un paio di brividi che avevano irriso persino i fanatici del possesso palla (71 per cento: contenti?). La sgrullata di Immobile ha evitato l’ennesimo plotone di esecuzione.

Se ti consegni a un modulo così zemaniano, la squadra deve restare corta e le ali sorreggere i centrocampisti. Nel dettaglio: Belotti e Immobile si sono più pestati che trovati, De Rossi e Verratti hanno trattato la palla come un bebè, passandosela con un affetto che limitava gli effetti; un po’ meglio Insigne (nel senso di più coinvolto); una piccola scossa, l’ingresso di Zappacosta.

Avremmo potuto anche raddoppiare, ma non è questo il punto. Il punto è che questi siamo e la speranza che sia tutta colpa del ct aiuta il nostro ego, non il nostro calcio.

Coraggio…

Roberto Beccantini2 settembre 2017

Il coraggio non è uno schema. E’ un’idea, uno stato d’animo, un atteggiamento. Spagna tre Italia zero ne è stata l’affascinante e brutale conferma. Affascinante, per come hanno giocato. Brutale, per come si millantava che avremmo giocato.

Quando vince il talento, tutti in piedi. Penso alla doppietta e ai numeri di Isco, alla sapienza di Iniesta, all’armonia di una manovra mai banale neppure nei momenti di stanca. E così Spagna quasi ai Mondiali e Italia quasi ai play off.

Si scende dal carro di Ventura con la disinvoltura di un popolo che non ha quasi mai chiuso un guerra con l’alleato con il quale l’aveva aperta. Chi scrive, aveva caldeggiato un più casto 3-4-3. L’infortunio di Chiellini ha buttato all’aria i piani. Il 4-2-4 del ct sembrava un inno all’ardimento, alla volontà di non essere schiavi nell’arena che, più di tutte, apprezza i padroni. E’ stato un suicidio. Perché non è la quantità a scolpire la differenza. E’ la qualità.

Noi, due centravanti veri e due ali. Loro, zero attaccanti di ruolo fino all’ingresso di Morata. Eppure non c’è stata partita, soprattutto a centrocampo, là dove lo schema si è rivelato un guscio, vuoto a sinistra (Spinazzola-Insigne) e un po’ meno a destra (Darmian-Candreva). Vi raccomando Verratti, al quale le attenuanti generiche non bastano per dissolvere la polvere che ha alzato. E Insigne? Con il Napoli, un gigante. In Nazionale, un nano. D’accordo, aveva di fronte quel Carvajal che ruberei al Real. Mettiamoci pure un Buffon non proprio irresistibile sulla traiettoria del primo gol di Isco: rimane la speranza che sia stata tutta colpa di Ventura e non degli spacciatori seriali di iperboli che continuano a infestare le edicole e i mercati.

A proposito: tra Under e Nazionale la Spagna ci ha inflitto un perentorio 6-0. Lo scrivo io, questa volta: coraggio.

Più Dybala che gioco

Roberto Beccantini26 agosto 2017

Con Bonucci e Dani Alves, la Juventus era stata polverizzata in mezz’ora (3-0, poi 3-1). Senza, ha rimontato l’ennesima partenza-incubo (due gol in sette minuti) e battuto un Genoa che ci ha provato fino all’ultimo. Quel pomeriggio, Higuain era entrato al 53’ e Dybala non c’era proprio. La tripletta di Paulo Omar spiega il risultato, anche se la rete del sorpasso – molto bella, tra l’altro – l’aveva realizzata Cuadrado, con Alex Sandro il peggiore.

Insomma, e non è la prima volta: i giocatori più del gioco, al di là di una reazione che, dopo l’autogol di Pjanic e il rigore di Galabinov, aveva coinvolto la squadra: con i suoi limiti (Khedira, la vaghezza dell’ultimo passaggio) e con le sue risorse (le fiammate improvvise dei singoli). Sei gol tra finale di coppa e campionato: Dybala è un progetto di fuoriclasse. Sta cominciando a segnare lontano da casa, un dettaglio cruciale. Guai a dimenticare, inoltre, il dribbling «a uscire» con lancio pettinato lungo-linea a Cuadrado. Mamma mia.

Il Genoa di Juric l’ha messa sul ritmo: le corse di Laxalt, le ante di Galabinov, il primo tempo di Pandev. E, al momento opportuno, uno paio di parate di Perin. Ancora una volta Allegri ha bocciato il mercato, salvo ricorrere a un paio di cerotti, Matuidi (discreto) e Bentancur (senza voto). Una volta capovolto il risultato, il tecnico ha inserito Barzagli, addirittura, ed è passato a un catenaccione che l’ultima perla della Gioia trasformerà in un possesso palla studiato, ci scommetto.

Per concludere, il festival Var. Due penalty sfuggiti a Banti, mediocre, e poi corretti con il video: pestone di Rugani a Galabinov (che però, precisione per precisione, aveva un tacco in fuorigioco), braccio ravvicinato ma largo di Lazovic su girata di Mandzukic. Si chiama calcio del futuro.

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