Scherzetto

Roberto Beccantini31 ottobre 2017

Altro che la frenesia di Halloween. Altro che le emozioni da vigilia di compleanno. Come se la Juventus fosse andata a letto presto: già sbadigliava prima del gol di Bruno Cesar, su iniziativa di Gelson Martins, «bevuta» di Chiellini e respinta troppo dolce di Buffon, non vi dico dopo. La sconfitta avrebbe aperto un baratro; il pareggio, invece, tiene viva la Champions.

Jesus rendeva ad Allegri la difesa (Piccini, Mathieu, Fabio Coentrao) più William Carvalho. Mezza squadra. Lo Sporting ha giocato con umiltà, catenaccio mobile e pressione su Pjanic, su Dybala, su Higuain.

La Juventus era lenta, distratta, imprecisa. Un disastro, a sinistra, Alex Sandro e Mandzukic, peggiori per distacco. Non molto di più, a destra, De Sciglio e Cuadrado. E Khedira? Sempre al posto giusto nel momento giusto ma nel modo sbagliato. L’usato sicuro non funzionava. Agli avversari bastava far girare la palla e, ogni tanto, avanzare in branco per lasciare le belle gioie in fuorigioco.

Nessuna eco degli spari di Higuain, nessuna traccia delle giocate esplosive di San Siro. Eppure, alla vigilia, avevano parlato tutti della partita della svolta. Invece no. Invece niente. Colpa dei dipendenti o colpa del capo? Non credo che Allegri volesse questo, ma questo ha avuto, questo gli hanno dato. E comunque, almeno stavolta: più colpa dei piedi che dell’idea.

Voce di popolo: guarda che all’Alvalade il Barcellona ha vinto su autogol e la Juventus bene o male ha poi pareggiato, con Higuain servito da Cuadrado terzino d’emergenza. Higuain che, di testa, aveva già sfiorato il gol. Certo. Alla ripresa, in effetti, Madama è scesa dal letto e ha cominciato a girare attorno a uno Sporting sempre più blindato (e comunque pericoloso in contropiede).

Caro popolo: e allora?

Scusate il ritardo

Roberto Beccantini28 ottobre 2017

Che ressa, attorno al carro. Non è più grasso, non è più isterico, non è più. Escluso dall’Argentina, ai margini della Juventus. Un pacco da 90 milioni. Gonzalo Higuain si è preso San Siro con due gol splendidi nella genesi e negli spari, quella non meno preziosa di questi. Introdotti dai tocchi e i veli di Dybala, i suoi destri sono stati chiodi che hanno bucato il palloncino di Montella, un Milan che per un tempo si era battuto a testa alta, sfiorando il pareggio con Kalinic, negato dalla premiata ditta Buffon & traversa.

Allegri aveva studiato una gabbia per Suso (Asamoah, ma non solo) e, zitto zitto, ricaricato il Pipita. Cruciale a Udine, a segno con la Spal, dominante al Meazza. Chiellini dietro, Pjanic in mezzo, Higuain davanti: ecco i confini.

Veniva, il Milan, dal rotondo 4-1 di Verona-Chievo. Una scintilla. E’ il primo confronto diretto che Madama si aggiudica, ancorché la grandezza attuale del Diavolo sia storia, non classifica. Sono state modiche le «disconnessioni», questa volta. E sul piano della manovra – per metà gara, almeno – non c’è poi stata tutta ‘sta differenza. La differenza l’hanno fatta i singoli, con buona pace degli scienziati.

Non c’era Bonucci, e dal momento che era mancato pure al Bentegodi, dove gli «orfani» avevano banchettato, vi lascio immaginare le strizzate d’occhio: meglio senza. Ah, les italiens. Non è stata un’ordalia da tramandare ai posti: lenta, confusa. Da ricordare, se mai, c’è il «nuovo» Higuain, centravanti totale. Non vado oltre, anche se scendere dal carro non sarà mai un problema.

Mi aspettavo più bollicine, dall’attacco del Milan. Il fatto che la difesa juventina non abbia beccato nemmeno un gol è una notizia che in passato avrebbe prodotto sbadigli. Oggi no, oggi è argomento di meditazione, addirittura.

Proprio un’altra storia

Roberto Beccantini25 ottobre 2017

Sei a due a Udine, 4-1 alla Spal. Cosa volete che vi dica. E’ una Juventus che sfugge alla storia dei sei scudetti. Viaggia a tre gol a partita (31 in dieci, miglior attacco) e ne becca uno a gara (10, quarta difesa). E con la Spal, allo Stadium, le reti al passivo potevano essere due, addirittura. Due su altrettanti corner: regolare la prima, di Paloschi; non la seconda di Oikonomou (per fuorigioco di Paloschi, confermato dai «varisti»).

Scusate se ho dato i numeri, ma siamo in Italia e la tendenza premia tradizionalmente i bunker, non le baionette. Tutto ciò premesso, molto bello il gol di Bernardeschi (stop di destro, sventola di sinistro), «viagresca» la punizione di Dybala, saettante il mancino di Higuain, plastica la sgrullata di Cuadrado.

Era una tappa di trasferimento verso cime più tempestose, pianeggiante a tal punto che qui e là non sono mancati i pisoli che, di solito, mandano in bestia il cappotto di Allegri. Il quale Allegri, come Semplici, aveva attinto al turnover. Difficile, per questo, tirare somme che non siano suggestioni. Detto di un Bentancur un po’ disordinato e del ritorno di Marchisio, tanto vale parlare dei confronti diretti. In un campionato così spaccato, potrebbero orientare la corsa al titolo.

Eccovi la classifica «avulsa», molto parziale ma già significativa: Napoli punti 7 (tre partite: 4-1 Lazio, 1-0 Roma, 0-0 Inter). Inter punti 7 (tre partite: 3-1 Roma, 3-2 Milan, 0-0 Napoli). Lazio punti 6 (tre partite: 4-1 Milan, 1-4 Napoli, 2-1 Juventus). Roma punti 3 (tre partite: 1-3 Inter, 2-0 Milan, 0-1 Napoli). Juventus punti 0 (una partita: 1-2 Lazio). Milan punti 0 (tre partite: 1-4 Lazio, 0-2 Roma, 2-3 Inter).

Visto il ritmo della concorrenza, l’esame di sabato, a San Siro, si annuncia cruciale. Contro il Milan senza Bonucci. Che – senza Bonucci – si è mangiato il Chievo. A proposito di «altre» storie.