All’italiana, ma un’impresa

Roberto Beccantini19 aprile 2017

Un’impresa all’italiana, sì. Sarà pur vero che il Barcellona è sceso dalla vetta, ma la Juventus si è alzata al punto da toccarlo e spingerlo giù. Tre a zero allo Stadium, 0-0 al Camp Nou, dove la squadra di Luis Enrique vinceva da quindici partite.

La Juventus di Allegri è meritatamente nelle semifinali di Champions League. Non è stata bella, come nel primo tempo di Torino. E’ stata compatta, forte, lucida. Ha sofferto, perché da queste parti è impossibile non patire, non sbirciare ogni tanto l’orologio. Ha fatto catenaccio per un tempo: e il catenaccio, sia chiaro, è polmone, non polmonite. Avrebbe potuto e dovuto gestire meglio le transizioni, i passaggi cruciali, non necessariamente gli ultimi. Le occasioni più nitide sono capitate a Higuain e Cuadrado, stanchi alla meta. Omarino Dybala, lui, deve crescere in trasferta.

Allegri non è l’allenatore dei miei sogni, ma il passaggio al movimento cinque stelle dopo Firenze è stata un gran mossa, complimentissimi. Grande perché ha aggiunto qualità senza togliere quantità, anzi. L’ambiguità tattica è la forza di questo modulo, un 4-2-3-1 che in fase difensiva diventa 4-4-2 se non 4-5-1. Molti ci cascano.

All’andata il Barcellona era stato Messi. Questa volta è stato Neymar, anche se i tiri più insidiosi li ha calibrati proprio la Pulce, abbonata alle barbe ai pali. Bonucci e Chiellini, per me i migliori, hanno cancellato Suarez e chiunque suonasse il loro campanello. Il Paris Saint-Germain si sciolse subito. La Juventus, di ferro, mai. Il mio borsino era: Barça 60% Juventus 40%. Rispetto a Berlino, li consideravo entrambi meno forti, ma i catalani ancora un po’ di più.

Disarmare in due partite il primo tridente al mondo: questo ha fatto la Juventus, non so se mi spiego.

Io scorto, tu scorti, egli scorta

Roberto Beccantini18 aprile 2017

A Santiago Bernabeu non interessavano i centri commerciali, gli alberghi e neppure le torri di pallottiano cemento. Interessava uno stadio che facesse paura. Se l’è fatto, gliel’hanno dedicato. Lasciate ogni speranza o voi che entrate: era di Dante. Jorge Valdano l’ha tradotto in «miedo escenico». Quello che provò Robert Valentine, scozzese, la sera in cui tirarono una biglia allo zio Bergomi, e Real-Inter finì 3-0 come se niente fosse volato. O quello che, sempre Valentine, provò in un Real-Juventus d’antan, annullando un gol limpido di Manfredonia. Vero: per 20’ minuti la Signora maritata Marchesi non era uscita di casa, Butragueno aveva segnato, il Real avrebbe meritato almeno un altro paio di gol. Ma non li fece. E lo subì.

Non ho dubbi che, secondo il codice Guardiola, Ancelotti sarà corso a complimentarsi con i suoi ex sodali, perché chi vince ha sempre ragione. E il Real ha battuto il Bayern 4-2 ai supplementari, dopo averlo rimontato pure a casa sua (2-1). Tripletta di Cristiano Ronaldo. Resta la scorta fornita dalla terna di Kassai. Nell’ordine: 1) fiscale rosso a Vidal (o prima o non per quel non-fallo); 2) manca il secondo giallo a Casemiro; 3) il gol del 2-2 di Cristiano Ronaldo è in fuorigioco di un metro; 4) il gol del 3-2 di CR7 è in fuorigioco di centimetri. Quattro a zero? No, quattro a uno: a monte dell’autorete di Sergio Ramos, Lewandowski era in offside, lui quoque.

Scritto che Cristiano ha realizzato cinque gol in due partite, non so se, tra andata e ritorno, sia passata la squadra più forte. Il Bayern, al quale non sono bastati due rigori, il primo dei quali inventato, ha pagato le due espulsioni (Javi Martinez all’Allianz, Vidal a Madrid). Immagino il sigaro di Santiago Bernabeu. Le nuvole che vedete in cielo sono il fumo delle sue «tirate». I centri commerciali? Gli svincoli? Lo stadio. Y nada màs. Forza Var.

Buona Pasqua

Roberto Beccantini15 aprile 2017

Ho seguito il primo derby made in China, molto divertente e tutto sommato equo, al di là delle lanterne rosse(nere) agli sgoccioli degli sgoccioli. E poi mi sono dedicato al sole di Pescara e alle carezze di Muntari a Omarino Dybala, uscito con la caviglia destra leggermente distorta. Per carità: scagli la prima tibia chi. Però.

Di Bello, non proprio l’arbitro: al massimo, le bollicine di Cuadrado. I gol di Higuain appartengono, da anni, al repertorio del serial killer. La partita era una di quelle tappe che la memoria (di e attorno a Zeman) rendeva suggestiva e infìda. Di pomeriggio, poi: e, per giunta, tra il Barcellona e Barcellona.

Alla Juventus, in questo preciso scorcio della stagione, non si poteva chiedere nulla più di quello che ha fatto, di quello che ha dato. Nel Pescara, decimato, si coglievano qua e là le orme del Maestro, orme che la modestia della rosa faticava a seguire. Se mai, era il tasso protervo di alcuni tackles a incuriosirmi.

Allegri, lui, ha dovuto gestire un Pjanic nervoso, un Mandzukic sempre più mediano, un Neto chissà come (dopo Napoli). Logico il turnover, ma prezioso anche il messaggio, con il movimento cinque stelle al gran completo meno Khedira, avvicendato da un dignitoso Marchisio.

Non ho visto, in compenso, Roma-Atalanta 1-1. Mi hanno riferito di un tempo buttato dalla Roma e un po’ di iella nella ripresa (palo di De Rossi, traversa di Dzeko). Gasperini, la cui conferenza disertata per la presenza di un giornalista non gradito sta facendo il giro dei manincomi, era privo di Gomez e Spinazzola. A Kurtic ha replicato Dzeko. Voce dal fondo: gli attacchi contano, le difese pesano.

E’ il momento degli auguri. Una Pasqua serena a tutti voi, Pazienti, e a tutti i vostri cari.