Con personalità

Roberto Beccantini6 dicembre 2016

D’accordo, il «massacro» di Kiev aveva trasformato la sfida di Lisbona in un alterco condominiale con in ballo «solo» il primo posto del girone, ma in casa giocava il Benfica, non il Napoli. E il Napoli ha vinto con pieno merito. Agli ottavi di Champions in prima classe. Complimenti. Questa sera tocca alla Juventus. Già qualificata, ospita la Dinamo. Per perdere la «testa», dovrà perderla in senso letterale.

Due su due, dunque. Come un anno fa, anche se non proprio: Juventus e Roma si classificarono seconde. Allegri dietro il Manchester City, Garcia (c’era ancora lui) dietro il Barcellona. Cosa sposti l’ordine d’arrivo, lo sapremo lunedì, giorno del sorteggio. E comunque: bisogna far paura, non aver paura.

Di solito, sono i calcoli che ci fregano. Questa volta, hanno fregato il Benfica. Non è mai facile vincere in trasferta, tanto meno allo stadio da Luz. Del Napoli, ho apprezzato la personalità. Sempre sul pezzo, nella luce del fraseggio e nel grigio dei cali (uno, soprattutto: Albiol, a giochi fatti). Insigne alla Dybala è stato prezioso; e l’ingresso di Mertens, addirittura determinante: assist a Callejon e raddoppio in punta di dribbling.

Non era un girone terribile, ma non è che l’esperienza europea del Napoli – di questo, almeno – fosse una montagna. Con Milik in campo, due vittorie: 2-1 a Kiev, 4-2 al Benfica. Senza, una sconfitta (2-3 con il Besiktas), due pareggi (1-1 a Istanbul e 0-0 con la Dinamo) e il successo di Lisbona. Sarri ci ha provato con Gabbiadini e con la banda Bassotti (Callejon-Mertens-Insigne). Hamsik, lui, non si discute. Diawara ha sfrattato Jorginho e Zielinski non sarà Allan ma spesso gli viene preferito.

Per vincere, il Napoli non ha alternative. Deve giocare meglio dell’avversario. Come ha fatto con Inter e Benfica. Indizi curiosi, in attesa di riavere il suo Armadio.

Sì

Roberto Beccantini3 dicembre 2016

Allo Stadium si votava in anticipo: dopo la legnata di Marassi, la Juventus è ancora la Juventus? Ha vinto, o meglio: ha stravinto, il sì. Sì, lo è ancora. In Italia, almeno: in Italia dove, soprattutto, dipende da lei. L’Atalanta veniva da otto successi e un pari: è stata spazzata via, letteralmente. Come fece il Genoa, con Madama, nel primo tempo di domenica scorsa.

Allegri voleva più fisicità: l’ha avuta. Voleva più gioco: l’ha avuto. Al di là del modulo (4-3-1-2), del contesto e di tutto il resto. Migliore, per distacco: Mandzukic. Ha fatto il portiere (due tiri «parati), il mediano, l’attaccante (terzo gol). Poi Pjanic. Poi Alex Sandro. Higuain continua a non segnare, ma spreme rivali, crea varchi. Non tutte le strade portano a lui, come a Napoli. Lui è «una» delle strade, come in Nazionale.

Sono stati i difensori, chiamiamoli così, ad aprire la scatola: Alex Sandro, Rugani. C’era una volta la Bbc: oggi c’è una fase difensiva che l’altalena di schemi tiene in ostaggio. L’Atalanta di Gasperini ha fatto quello che ha potuto: da mesi, faceva quello che voleva. Ecco la differenza della Juventus, quando fa la Juventus. La miglior partita della stagione, e il miglior Pjanic, ora mezzala ora trequartista, sempre nel cuore dell’azione.

Per un’ora, oltre a divertire, mi è parso che la squadra di Allegri si divertisse, addirittura. In rialzo «la precisione nella velocità», materia cara al mister. Non si pretende la luna, per carità. Genoa e Atalanta hanno fissato i confini estremi del rendimento. Per una volta, risultatisti e prestazionisti se ne vanno sotto braccio, scambiandosi segni di pace, pronti a perdonare persino la flessione che, agli sgoccioli, ha portato al bel gol di Freuler.

Era stata una settimana senza Champions: tu chiamale, se vuoi, combinazioni.

Un Genoa all’improvviso (mica tanto)

Roberto Beccantini27 novembre 2016

Un Genoa all’improvviso. Ma a essere sinceri, mica tanto all’improvviso. Sarebbe bastato leggere certe vittorie con la testa e non con la pancia. Scacco matto di Siviglia compreso. Il Genoa di Juric e l’Atalanta di Gasperini sono le squadre che non corrono di più: corrono meglio. Non sempre le due cose coincidono. In meno di mezz’ora il Grifo ha spazzato via la capolista: doppietta del Cholito Simeone, autogol di Al’ex Sandro. Uno spettacolo, degno dello spirito inglese che Marassi diffonde.

Allegri, lui, aveva toppato formazione: Danis Alves nella difesa a tre, Cuadrado punta (e spesso a litigare con Mandzukic). E quel centrocampo lì, da Hernanes a Pjanic, polpa ideale per le zanne del pressing avversario. Un solo prosciolto: Buffon.

La prima mezz’ora di Genoa-Juventus mi ha ricordato l’ultima di Fiorentina-Juventus da 0-2 a 4-2, all’epoca di Conte. Una squadra non entrata in campo (oggi), una squadra uscita dal campo (allora). Nel tacco di Bonucci che propizia l’azione dell’1-0 c’è il riassunto dell’ordalia: Bonucci, il migliore in Andalusia.

Sarebbe capzioso e ingeneroso parlare di assenti: anche Juric aveva i suoi, a cominciare da Pavoletti. Il rigore negato a Mandzukic (41’) è pagliuzza, non trave. Terza sconfitta in campionato e della stagione, la prima per k.o. Non una sentenza, per carità: ma un segnale, sì. Qualcuno, sedotto dai titoli dei giornali, aveva gonfiato il petto. Ci hanno pensato Simeone e Ocampos, Rigoni e Lazovic, con i loro chiodi, a bucarglielo.

Altri due «caduti» (Bonucci, Dani Alves) e la punizione di Pjanic come titolo di coda. Troppo tardi. Troppo poco. Una grande squadra che sa sopravvivere ai propri limiti, avevo scritto della Juventus. Il Genoa ha rovesciato il concetto: grandi limiti che sanno sopravvivere a una grande squadra.

Testa o croce (il gioco, il resto): sabato c’è Juventus-Atalanta, lo sapremo.

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