Amnesy international

Roberto Beccantini18 novembre 2014

Non so se mi spiego: abbiamo sconfitto, di carambola, la Nazionale che aveva liquidato il Portogallo in Portogallo (senza Cristiano Ronaldo: ma i giocatori non contano) e pareggiato in amichevole con la Francia di Opti Pogbà. Uno a uno con la Croazia, 1-0 all’Albania: Conte dice che i conti tornano. Come risultati, sì. Come gioco, non ancora. A San Siro, molto fumo; a Marassi, molte bollicine, tre invasori fra gli applausi (degli steward, anche) e tifo più «alba» che «ita»: un segno dei tempi. E dei campi.

Non chiedevo certo la luna. Mi accontentavo del dito che la indica. L’ho avuto. Così, mi sono divertito. E commosso, addirittura, all’ingresso di Acerbi: aveva vinto un tumore ai testicoli e per questo, visto che siamo in uno strano Paese, rischiato la squalifica per doping. Nella classifica Fifa, l’Italia è 11a. e l’Albania di De Biasi, un moderno Geppetto, 48a. Giocavano le riserve. Un sacco di tiri, da una parte e dall’altra. Ci sono stati anche un palo (di Cikalleshi), errori pacchiani (di De Silvestri, di Sirigu) e palle-gol, oh yes, non quante però millantate dagli spacciatori.

In attesa che «Winston Cerci» risolva l’eterno dilemma – grande coi piccoli, piccolo coi grandi – il suo dribbling ha rallegrato la serata del sottoscritto non meno della maglia strappata e incerottata. Ai Mondiali del 1938, in Italia-Brasile, Pepin Meazza stava battendo un rigore quando gli partì l’elastico dei pantaloncini. Non fece una piega: tirò e segnò.

Ho sorriso all’intemerata pre-partita di Conte: come farò per quattro mesi senza vederli (i ragazzi)? Ci vorrebbe un amico (in Lega). Ci vorrebbero gli stage di stato. Come no. Peccato che, da tecnico della Juventus, erano proprio questi i concetti, srotolati dal ct di turno, a mandarlo in bestia. Mi è venuto in mente Oscar Wilde: «La memoria è il diario che ciascuno di noi porta sempre con sé». Sempre?

Mal di pancia

Roberto Beccantini16 novembre 2014

Mettetele pure in fila, le attenuanti: gli infortuni, da Pirlo a Pasqual, l’ultimo della serie; la papera di Buffon; il fatto che non battiamo la Croazia dal 1942. Ma poi bisogna parlare della partita, e i croati ci hanno fatto un mazzo così. Non sembrava neppure una squadra di Conte, timida e sterile com’era, né italianista né europeista. Già il gol di Candreva (il migliore, comunque) era stata una fetta raccolta, e non una torta tagliata.

Nella classifica Fifa, l’Italia è 11a. e la Croazia 14a. Con l’uscita di Modric, fin lì padrone indiscusso di San Siro, la Nazionale di Kovac ha perso bellezza, non superiorità. E’ stato il torello di Rakitic e compagni, più che il mal di pancia del nostro portierone, a condizionarci. In questi casi si urla: giocate almeno con il cuore. Gli azzurri l’hanno fatto. Ma il cuore non fa miracoli. Curiosamente, Conte si aggrappa al 3-5-2 nel momento in cui persino Allegri, alla Juventus, l’ha ammainato, e pure Mancini, all’Inter, si accinge a farlo.

Abbiamo giocato prevalentemente in contropiede. La Croazia, penso a Kovacic, ha avuto il torto di specchiarsi, rischiando la fine di Dorian Gray. Sono sincero: mi aspettavo un po’ più di Italia, ma non una partita molto diversa. Noi, modica quantità; loro, diffusa qualità. Un disastro, il centrocampo: da Marchisio a De Rossi. In assenza di plausibili geometrie, Conte si è brerianamente difeso al limite dell’area, con El Shaarawy, vice Immobile, terzino d’emergenza. La staffetta Zaza-Pellé è stata un giro di roulette.

Ci hanno pressato, ci hanno accerchiato. Per fortuna, come se il possesso palla fosse diventato anche per loro la pace dei sensi, hanno tirato poco, a differenza degli ultrà portati da casa. Lo stop di Kuipers ha consegnato l’epilogo al cannoncino di El Shaarawy e all’occasionissima di Perisic. Ci è andata bene. Resta un mistero come nei nostri stadi continuino a entrare petardi e delinquenti.

Dalla parte di Mazzarri

Roberto Beccantini14 novembre 2014

Stavo studiando l’incidenza dei passamontagna sui dibattiti moderni, quando la gentile Teodolinda mi ha chiesto un parere sul caso MM. Cedo all’eleganza del tono, più che al brivido della notizia, visto che è prassi (detestabile) rimuovere l’allenatore non appena le cose vanno male. La Juventus licenziò Ranieri quando mancavano due giornate al termine del campionato. Un’altra Juventus, per fortuna. Oggi, ne mancano ventisette: e i tifosi pesano, come certifica lo strano caso del dottor Vucinic e del signor Guarin.

Mi spiace per Mazzarri, che non avrei esonerato al netto degli errori (e della pioggia che va). Reputo Mancini un grande giocatore sottovalutato e un buon allenatore sopravvalutato. Deduco che Thohir proprio in bolletta non sia, dal momento che dovrà pagare lo staff uscente e quello entrante. Deduco anche che il trenta per cento di Moratti conti ancora qualcosa.

Mancini si «dimise» dopo Inter-Liverpool e fu l’ultimo tecnico prima di Mourinho. Dopo il triplete del Vate (2010), l’Inter ha schierato: Benitez, Leonardo, Gasperini, Ranieri, Stramaccioni, Mazzarri. Mazzari la prese che era nona e l’ha portata al quinto posto, con l’Europa League all’occhiello. Come Stramaccioni, ha pagato un tributo forte agli infortuni. La difesa a tre, che soffiò a Conte la sera di un memorabile Napoli-Juventus 3-3, non ha funzionato. Per la cronaca, ci aveva già provato Gasperini. Molti si sono chiesti se Walter fosse da Inter; pochi, se «questa» Inter, intesa come rosa, fosse da Mazzarri.

Nella mia griglia estiva, l’avevo collocata dietro a Juventus, Roma e Napoli. Ha sei punti in meno rispetto a un anno fa. Mi sono sbagliato io, si è sbagliato Mazzarri o si è sbagliata la società? Inzaghi ha solo un punto in più e non dico che passi per un genio, ma quasi.

Con Mancini torneranno la difesa a quattro e, forse, il trequartista. Comincia un’altra storia. Senza Ibrahimovic.