Un po’ di calcio, finalmente. Briciole, monetine: poca roba, lo so. Ma calcio, perbacco, calcio normale, con le sue trame sghembe (che sofferenza, con l’Azerbaigian), i suoi tabellini buffi (testa di Chiellini, autogol della coppia Buffon-Chiellini, testa di Chiellini), i suoi improbabili nani della provvidenza (Giovinco, il mio cocco: un assist e una traversa).
Calcio. Lo scrivo con la stesso stupore con cui, immagino, le vedette di Cristoforo Colombo gridarono «terra». Un romanista, Florenzi, abbraccia uno juventino, Chiellini; uno juventino, Bonucci, dà il cinque a un interista, Ranocchia. E poi, Palermo. Un tifo caldo, generoso. Penso a Little Lions, Teodolinda, Salvadore: fieri della loro città e io fiero con loro.
L’ordalia viene dopo, confesso che non la facevo facile ma neppure così complicata. Si sapeva che Vogts-populi-vogts-dei avrebbe armato un catenaccio d’altri tempi, con un azero fisso su Pirlo. Il calcio esula da ogni convenzione e, spesso, da molte convinzioni. Puoi pareggiare anche senza tirare, basta uno sbuffo di vento, una «copula» tra stinchi, una parabola imbizzarrita.
Mai stati una gioiosa macchina da gol, gli italiani. Non che i soldatini di Conte abbiano preso sotto gamba gli avversari, tutt’altro, ma è proprio questo dettaglio – non averli sottovalutati – a rendere ancora più critica (e criticabile) la prestazione. Immobile e Zaza sono scesi sulla terra, abbiamo tirato poco e male, manca la fantasia che, al massimo, diventa geometria (di Pirlo).
Gli stenti aiutano a crescere. La partita, l’ha spaccata una riserva della Juventus, Giovinco. Ha avvicendato Florenzi, ha tagliato rivali cotti ma duri. L’importante era uscire dal bordello. Il tempo di una sigaretta, di una telefonata a casa. Tranquilli: lunedì c’è Malta e poi si torna dentro, tutti insieme.