Grandi firme

Roberto Beccantini27 settembre 2014

L’avversario più tosto, questa volta, toccava alla Juventus. L’Atalanta l’ha impaurita per una trentina di minuti e un episodio: il rigore (che non c’era) parato da Buffon a Denis. Palla nell’altra area, gol di Tevez, già autore del primo (e di quattro in totale). Poi i cambi, poi Morata: di testa. Ebbene sì, sono riapparsi i cross alti. Anche se Llorente continua a giocare spalle alla porta. Ordini di scuderia.

In campionato, l’andazzo è questo. Allegri e Garcia vincono sempre. Per la Juventus, un saldo-gol di 10-0; per la Roma, di 9-1. La stagione è lunga, piano con i paragoni, vecchi e nuovi. La prossima settimana si annuncia esplosiva: Manchester City-Roma, Atletico Madrid-Juventus e, last but not least, Juventus-Roma.

Colantuono le aveva tentate tutte: anche Boakye a uomo su Marchisio. Mandorlini idem. Il Verona dava segni di vita, per un tempo De Sanctis è stato più impegnato di Gollini. Nel sabato dei 38 anni di Totti, sostituito, hanno risolto la carabina di Florenzi, centrocampista enciclopedico, e il cannone di Destro, puntato da almeno quaranta metri. Nel basket, parleremmo di bombe da tre. Aperta parentesi: la martellata di Keita su Ionita era da rosso (non da Russo) e almeno da giallo la pedata di Campanharo a Pjanic. Chiusa parentesi.

Il turnover di Garcia è stato più massiccio di quello di Allegri. Come sarebbe finita, a Bergamo, se Denis avesse realizzato l’uno a uno? Era il 58’. Non lo so. Di sicuro, i campioni si sarebbero ributtati sotto. Di rigori pesanti, Buffon ne aveva già parato uno a Calaiò, la scorsa stagione, in Genoa-Juventus. Saranno pure dettagli, come canta l’Ornella, ma pesano quintali.

Nessuna sfida diretta alla sesta può decidere lo scudetto. Chissà come la Champions ne cucinerà il morale. Malmoe e Cska Mosca hanno stuzzicato l’appetito. Le resistenze domestiche non offrono plausibili riferimenti. Allegri, Garcia: sono proprio curioso.

Diffido…

Roberto Beccantini24 settembre 2014

Diffido sempre delle partite in cui il migliore in campo è il mio pupillo, Sebastian Giovinco. D’altra parte, natura non facit saltus. In Europa, soprattutto. Per questo, prendo su e porto a casa. Era il quinto catenaccio (su cinque) che la Juventus ha dovuto demolire. Chievo, Udinese, Malmoe, Milan, Cesena: l’ha fatto con il gioco che le è proprio, meno ossessivo dell’era Conte, più palleggiato, più circolare (lento, l’ho già usato).

Vidal su rigore, Vidal dal limite, Lichtsteiner su tocco di Padoin. Questa volta, zero palle-gol concesse: un tiro di Marilungo, dal limite, e stop. L’avversario più tosto toccava alla Roma. Ho sbirciato solo i gol: splendida la punizione di Pjanic. E così, dodici punti a testa; e nel saldo gol, Juventus 7-0, Roma 7-1. Anche la scorsa stagione, curiosamente, la squadra di Garcia aveva subìto la prima rete proprio a Parma.

Il calendario impone dosaggi oculati. Allegri ha due punti in più di Conte. Sabato, Roma-Verona e Atalanta-Juventus. Poi Champions: Juventus a Madrid, sponda Atletico; Roma a Manchester, sponda City. Dopodiché, il 5 ottobre a Torino, lo scontro diretto.

Sono curioso di vedere la Juventus alle prese con squadre più coraggiose. Al Cesena ha riservato il solito trattamento a base di possesso sfiancante (talvolta, anche per me) e triangoli fin troppi elaborati, come se le direttive aziendali fossero di andare in porta con la palla. Certo, l’impressione di forza che trasmette in Italia è straordinaria. Se mai, contro difese così blindate non sarebbe disdicevole, penso, qualche cross alto per Llorente, drasticamente bandito dal catechismo di Allegri.

Ventun partite allo Juventus stadium, ventun vittorie: la saga continua. A differenza di Benitez, bersaglio dell’ira napoletana, Allegri e Garcia brindano al turnover. Si avvicina, intanto, il rientro di Pirlo. Dolcetto o scherzetto?

La mossa

Roberto Beccantini21 settembre 2014

Succede anche da noi. Il Palermo era in difficoltà, e Beppe Iachini, il suo allenatore, senza un buon motivo che non fosse l’idea di farsi coraggio pensando follemente di sottrarne agli avversari, ha richiamato un centrocampista, Bolzoni, e inserito un centravanti, Belotti. Ce n’erano già due, di punte: Dybala e Vazquez. Era il 66’. Pure l’Inter ha inserito un terzo attaccante, Palacio, ma non è stata la stessa cosa.

Di scrivere che avrei espresso i medesimi concetti se, al 94’, Sorrentino non avesse tolto dall’incrocio dei pali la sgrullata di Osvaldo, non me la sento: la carne è forte, in questi casi, ma il risultato ancora di più. La mossa di Iachini, che in carriera fu un medianaccio mordi e (non) fuggi, ha giustificato il pareggio.

Mazzarri, reduce dalla campagna ucraina, deve a Vidic, provvidenziale in altre circostanze, la paternità del primo gol incassato in partite ufficiali. Ci sono stati poi altri due gol, il primo di Vidic, correttamente annullato per fuorigioco attivo di Osvaldo, e il secondo di Icardi, su sponda del serbo, revocato per un off-side di D’Ambrosio che il nuovo testamento, liberista fino al midollo, considera ininfluente. Un lettore, il gentile Ezio, mi ha comunicato le sue perplessità su quel «fuorigiochicidio» che sta devastando le pupille degli assistenti: avviso che lo spazio è tiranno, e un libro probabilmente non basterà.

Per la cronaca, e per la storia, la terna ha cancellato un’ipotesi di rete anche al Palermo, autore Belotti, per una spintarella (di luna) a Nagatomo: a funzioni invertite, in area, Valeri avrebbe concesso il rigore? La traversa di Vazquez, dopo il ricorso al tridente, ribadisce quanto la squadra sicula se la sia giocata alla pari. Dell’Inter non mi è piaciuto l’atteggiamento, pigro come a Torino. Male le punte, troppo statiche, e più Guarin (a modo suo) che Kovacic, artefice del pari. Gomme sgonfie. E, in generale, un passo indietro.