Mi chiede, il gentile Riccardo Ric, cosa penso di Carlo Taold dopo la sciagurata uscita su Optì Pobà . Cosa vuole che pensi, lettore mio. Tra (ba)nane, ballerini e albertini, non scorgo porti di Genova per la Costa Discordia del calcio italiano.
E non li scorgo per un sacco di motivi. Non è Carlo Tavecchio ad aver prodotto queste battute e questi italiani, ma sono gli italiani – quorum ego; non so lei – ad aver prodotto «questo» tipo di candidato. Secondo, perché in un Paese normale i precedenti penali lo avrebbero escluso dalla corsa elettorale ben prima della buccia di banana sulla quale è scivolato.
Dopodiché, in ordine sparso: adoro il duello e, quindi, ben venga la discesa in campo di Demetrio Albertini. E, mi creda, non per il «lignaggio» degli sponsor (Juventus, Roma), ma per un minimo di conflittualità . Detesto i voti montati e smontati tipo Ikea. Sogno un presidente straniero. Di più: un presidente straniero e dittatore. Che prenda la serie A e la riduca a diciotto, alé.
Da almeno vent’anni leggo di stadi di proprietà e di regole da cambiare: in caso contrario, mi riferisco alle regole, ogni presidente sarà prigioniero. Vi ricordo en passant che l’attuale capo della Federazione tedesca si chiama Wolfgang Niersbach ed è un ex giornalista. Vi rammento altresì che senza la spallata di Diego Godin, col cavolo che parleremmo di anno zero.
Come ho scritto più volte, abbiamo una classe di dirigenti senza classe. Tra i tessitori di Taold figurano Claudio Lotito, Adriano Galliani ed Enrico Preziosi: miracolati, a vario titolo, dalla giustizia (sportiva e non). Andrea Agnelli è in causa con la Figc per 444 milioni di euro: non proprio la situazione ideale per poter scuotere gli incerti. Tavecchio è stato messo lì: come Abete e troppi altri. Io voterei per Albertini, ma non mi scandalizzo di Taold. E’ nostro figlio, non nostro nonno.