Duecentomila

Roberto Beccantini28 luglio 2014

Duecentomila «visite». Comprese le mie. Vi ringrazio tutte/tutti: di cuore. Senza finte, senza smancerie. Questa Clinica fu inaugurata il 7 novembre del 2011, dopo la chiusura dell’ospedale de «La Stampa». Non è un blog, e lo sapete. E’ un piccolo nosocomio aperto giorno e notte, con annesso pronto soccorso. Basta entrare, si è subito accolti e visitati. L’ho intitolata a uno juventino doc, Cristiano Poster, e ne ho affidato la spazio culturale a un altro juventino doc, Lex Luthor.

Non è un blog, perché qui ci si cura: il passamontagna è tollerato. Rende più coraggiosi, più espliciti. Fiorentini, interisti, juventini, milanisti, romanisti, eccetera: a un malato non si chiedono le generalità; si scrutano i sintomi. Quando giurai su Ippocrate, a questo pensavo. Ed è per questo che fra le terapie della Clinica è contemplato l’oltraggio. Lo sfogo aiuta a tornare a casa più sereni. Dalla corrispondenza privata che lo staff sanitario ha intrattenuto, risulta che molti di voi sono diventati padri proprio in questo triennio. Ne sono orgoglioso. E in certe località, non necessariamente domestiche, la degenza di alcuni ha portato a una drastica diminuzione dei luoghi (e reati) comuni.

Il motto resta: «Agli indulti preferisco gli insulti». Ho avuto il piacere di conoscere molti di voi a tavola e non solo in ambulatorio. Ho faticato a distinguere i giacobini che affiorano dalle riunioni dei Calcipolisti anonimi.

Non un filo di pubblicità: la struttura è autonoma e dipende, esclusivamente, dalle patologie di coloro che la frequentano. Il tifo è passione viscerale, da trattare con flebo continue di morfina: soprattutto quando il mercato fa urlare – dal dolore, dalla rabbia – perfino i sogni. E allora, avanti con l’auto-gestione. Che non significa auto-combustione.

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Tra (ba)nane e ballerini

Roberto Beccantini27 luglio 2014

Mi chiede, il gentile Riccardo Ric, cosa penso di Carlo Taold dopo la sciagurata uscita su Optì Pobà. Cosa vuole che pensi, lettore mio. Tra (ba)nane, ballerini e albertini, non scorgo porti di Genova per la Costa Discordia del calcio italiano.

E non li scorgo per un sacco di motivi. Non è Carlo Tavecchio ad aver prodotto queste battute e questi italiani, ma sono gli italiani – quorum ego; non so lei – ad aver prodotto «questo» tipo di candidato. Secondo, perché in un Paese normale i precedenti penali lo avrebbero escluso dalla corsa elettorale ben prima della buccia di banana sulla quale è scivolato.

Dopodiché, in ordine sparso: adoro il duello e, quindi, ben venga la discesa in campo di Demetrio Albertini. E, mi creda, non per il «lignaggio» degli sponsor (Juventus, Roma), ma per un minimo di conflittualità. Detesto i voti montati e smontati tipo Ikea. Sogno un presidente straniero. Di più: un presidente straniero e dittatore. Che prenda la serie A e la riduca a diciotto, alé.

Da almeno vent’anni leggo di stadi di proprietà e di regole da cambiare: in caso contrario, mi riferisco alle regole, ogni presidente sarà prigioniero. Vi ricordo en passant che l’attuale capo della Federazione tedesca si chiama Wolfgang Niersbach ed è un ex giornalista. Vi rammento altresì che senza la spallata di Diego Godin, col cavolo che parleremmo di anno zero.

Come ho scritto più volte, abbiamo una classe di dirigenti senza classe. Tra i tessitori di Taold figurano Claudio Lotito, Adriano Galliani ed Enrico Preziosi: miracolati, a vario titolo, dalla giustizia (sportiva e non). Andrea Agnelli è in causa con la Figc per 444 milioni di euro: non proprio la situazione ideale per poter scuotere gli incerti. Tavecchio è stato messo lì: come Abete e troppi altri. Io voterei per Albertini, ma non mi scandalizzo di Taold. E’ nostro figlio, non nostro nonno.

Allegri, per forza

Roberto Beccantini16 luglio 2014

Mi piaceva il Massimiliano Allegri di Cagliari, capace di risorgere da cinque sconfitte. Un po’ meno, la versione milanista. Trovò Ibrahimovic e Pirlo, si tenne stretto il primo e lasciò andare il secondo. Posso perdonare la ghigliottina (fino a un certo punto, almeno), non però la nebbia sull’erede (Van Bommel, Ambrosini, De Jong, Montolivo?).

Nella scelta di Conte, il mercato non c’entra: sarà, ma non ci credo. Capisco lo stress che comporta sporgersi un po’ più in là del Bosforo: resto però dell’idea che con Cuadrado, Sanchez e magari Iturbe, passato alla Roma, Antonio avrebbe raccolto stimoli sufficienti per sfidarsi ancora.

Non resta che attendere. Che ne sarà di Pogba e Vidal: via entrambi o solo il cileno? Allegri prese in mano un Milan che era arrivato terzo. Galliani vi aggiunse Ibra e fu scudetto. Diverso il panorama della Juventus. C’è il nodo Pirlo, c’è il problema della pancia piena. Qui si parrà la nobilitate della società e del mister, il meno caro tra i papabili e più aziendalista di Antonio.

Il suo avvento mi ha riportato all’Ancelotti post Lippi: gli ultrà gli diedero del maiale. Ad Allegri, in conferenza, non sono state poste domande sul numero degli scudetti e sul gol di Muntari. Lo considero un passo avanti.

Va da sé che i cicli degli allenatori, al di là delle risorse disponibili, si sono drasticamente accorciati. Le dieci stagioni juventine del Trap e le dieci veronesi di Bagnoli fanno parte di un altro calcio. Prendete Mourinho: tre anni al Porto, tre e un pezzo al Chelsea, due all’Inter, tre al Real. E poi Guardiola: non più di quattro al Barcellona. Ancelotti, lui, due al Chelsea e due a Parigi dopo otto di Milan. Simeone è all’Atletico dal 2011, Klopp a Dortmund dal 2008, Wenger all’Arsenal addirittura dal 1996.

Il futuro è un posto diverso, non necessariamente migliore. Ma vale sempre la pena di esplorarlo.

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