La «vera» impresa

Roberto Beccantini12 maggio 2024

Altro che l’Inter della seconda stella. Altro che il magnifico Bologna di «Drago» Motta o la Dea del Gasp che passa ad Anfield, sculaccia il Marsiglia e viene sommersa di coccole persino da «L’Equipe». La vera impresa la stanno realizzando la Juventus e Allegri: non battere in casa manco la Salernitana, con tutto il rispetto. E dover condizionare l’immeritato ingresso in Champions ai risultati della concorrenza. Per carità, gli ultimi saranno i primi, lo dice il vangelo. Il calcio però nasce laico e dovrebbe esserci un limite a tutto, a tutti. Complimenti a Pierozzi – suo il gol di testa che sgonfia lo Stadium, complice uno Szczesny un po’ così – a Colantuono e a una società che, pur retrocessa, sale a Torino e se la gioca. E fortuna «gobba» che il polacco si riscatti su Ikwuemesi, guanto a ghermire la palla. E che, al 97’, Basic alzi sopra la traversa dal cuore di un’area ormai svaligiata.

Quinto pareggio consecutivo. Quarto posto in classifica: come, modestamente, avevo previsto (fidatevi, qualche volta). Scoprire oggi l’Allegri bis è esercizio uggioso, lo stesso dicasi per certi alluci, per certe anime. Per carità, i tre legni (nell’ordine: di Vlahovic, Cambiaso e Miretti) ribadiscono che il destino non ne può più; e che il rasoio di Rabiot, in mischia, non è manna dal cielo: dal campo, se mai.

Lasciamo perdere il gioco, da febbraio crollato ai minimi storici come Wall Street nel 1929 (ma non è che prima…). La finale di coppa con l’Atalanta, mercoledì all’Olimpico, ha suggerito una formazione che, oggettivamente, avrebbe dovuto comunque spezzare le reni «almeno» alla Salernitana (ripeto: chapeau). Invece no. Sono entrati Chiesa, Iling-Junior, Yildiz, Miretti e Milik. L’urgenza e la foga hanno agitato fischi a ogni processione. Sino alla lotteria del 92’.

Dedicato ai trombettieri della Superlega.

Todo el Bernabeu es pais

Roberto Beccantini8 maggio 2024

Ci vorrebbe Salgari, ma dal 1999 è prigioniero del Camp Nou, di Bayern-Manchester United da 1-0 a 1-2, quando ormai tutto sembrava finito. Tutto, davvero. E allora tocca a me. Real-Bayern da 0-1 a 2-1 ha ricalcato – episodio più, episodio meno – quel copione, quel pathos, quel suicidio. L’ha decisa una doppietta di Joselu (8), il classico Sancho Panza che ogni Cervantes vorrebbe offrire ai mulini a vento di Don Chisciotte. E dal momento che il calcio non è una scienza (evviva), il là lo aveva dato il (sin lì) migliore in campo. Neuer. Formidabile in avvio su Vinicius (complice il palo), bravo su Rodrygo, reattivo sempre. Sino all’87’. Il destro di Vinicius (8) era un petardo, non una bomba: confuso il tedesco, feroce lo spagnolo. Normale, in compenso, il sorpasso al 90’: cross di Rudiger e zampata sotto misura. Con le coccole del Var.

Joselu, in campo dall’80’ al posto di Valverde. Un centravanti di ruolo. Finalmente. Ha riempito l’area. Per la cronaca, e per la storia, l’equilibrio lo aveva spaccato, al 67’, Alphonso Davies, pure lui un cambio. E bravo Tuchel. Si era infortunato Gnabry. Fuori una mezza punta, dentro un terzino. Macché terzino: una fionda. Puntuale, sul contropiede raffinato da Kane, a esplodere una lecca micidiale. Al diavolo le etichette: le funzioni, please.

Real padrone, Bayern a pizzicarne gli sbadigli. De Ligt (6,5) spremuto da Vinicius. Musiala (5) e Bellingham (5,5) più sherpa che capi-cordata. Ancelotti va, dunque, per la quindicesima: 1° giugno a Wembley, con il Borussia Dortmund. L’effetto Bernabeu ha scortato i blancos e, verso il 103’, ha «suggerito» un avviso frettoloso di offside e un fischio non meno incauto a Marciniak: un attimo, e De Ligt segnava, con i rivali, quei birichini, già fermi. Dopo la Liga, vinta per distacco, la Champions: al Real le rimonte sono di casa. Carletto trova spesso i fiori per sedurre il destino. I 34 anni di Joselu, stavolta.

Bonsoir tristesse

Roberto Beccantini7 maggio 2024

Esce, dalla Champions, il Paris Saint-Qatar, con i suoi sceicchi imbronciati e sfigati. In finale va, così, il Borussia Dortmund che il destino, cinico e caro, ha risarcito del suicidio di maggio, in Bundesliga. Due legni all’andata, i francesi; e quattro stavolta: i pali di Zaire-Emery e Nuno Mendes, le traverse di Mbappé e Vitinha. Però non penso che la squadra di Terzic abbia rubato. Voi?

1-0 al Westfalenstadion, lecca di Fullkrug; 1-0 al Parco, testa di Hummels, 35 anni, uno di quei prof di Harvard cui Mou affiderebbe al volo le sue cattedre. Se di fronte si agita Mbappé, Real o non Real, non puoi non partire sfavorito. Terzic, un signor mister, ha accettato il pronostico e lo ha sovvertito. All’andata, giocando sempre alla pari. Al ritorno, giocando alla pari per un’ora, fra la paratona di Donnarumma su Adeyemi e la zuccata del libero. Poi, uscite le frecce – Adeyemi, acciaccato, e Sancho – catenaccione.

Non so di che cosa accuseranno Luis Enrique. Gli avevano suggerito: metti un centravanti vero e libera Kylian. L’ha messo: Ramos. Come non detto. Paradossalmente, è stato proprio il Migliore, Mbappé, a tradirlo. La gabbia dei tedeschi lo ha disarmato. Finché ha potuto, il Borussia non ha buttato via un pallone. Dopodiché li ha chiusi in area, alla Cannavaro, e non li ha fatti più uscire. Tutti, in blocco, hanno dato tutto. Mentre nel Paris, lezioso per un tempo, Hakimi e Dembélé si sono persi nel labirinto. Ha diretto all’inglese, in alcuni casi persin troppo, Orsato.

Per il Borussia si tratta della terza finale: nel 1997 batté la Juventus a Monaco; nel 2013 perse dal Bayern a Wembley, dove si giocherà il 1° giugno (ahi). Restano i pali. Che non saranno un’unità di misura «assoluta», ma quattro in un colpo insidiano le analisi e le certezze dei match-analyst, o almeno dovrebbero.

Domani, al Bernabeu, Real-Bayern (da 2-2). A qualcuno piace caldo.