La differenza

Roberto Beccantini22 dicembre 2013

Si finisce con Atalanta-Juventus 1-4 e Roma-Catania 4-0. Si riprenderà, la sera del 5 gennaio, con Juventus-Roma. In mezzo, quel nido di vipere che è la sosta di fine anno. Ho seguito la partita di Bergamo. La Juventus d’Italia, con o senza Pirlo, ha macinato un avversario rimaneggiato, sì, ma capace di bloccare la Roma e l’Inter. Succede spesso, chez nous.

Se Garcia sparigliò il mazzo con dieci vittorie, Conte risponde con nove, una sull’altra, per un saldo di 23 gol a uno. Il pareggio di Maxi Moralez ha fissato a 745’ l’imbattibilità di Buffon. Non sono questi i record che mi titillano. La sfida ha ribadito quello che, dopo diciassette giornate, è il confine tra la Juventus attuale e le altre di Conte. Tevez. E, a debita distanza, Llorente. Al di là del salomonico equilibrio (due gol l’attacco, l’argentino e il navarro; due gol il centrocampo, Pogba e Vidal).

Tevez è già a quota undici. Con ventun turni ancora in ballo, l’Apache ha già scavalcato i cannonieri delle precedenti stagioni: Matri nel 2012, Vucinic e Vidal un maggio fa. Dieci gol a testa.

La manovra sarà pure meno spumeggiante, e qualcuno dovrà magari portare qualche borraccia in più (Marchisio, zero gol), ma il livello di produzione non è affatto diminuito. Anzi. La Juventus ha concesso due tiri in 92 minuti. Dopo Tevez e Llorente, Pogba è il terzo nuovo titolare: «di fatto», visto che era già in rosa. Ha 20 anni e cavalca gli eccessi, nel fango di Istanbul preferì il fioretto alla scopa e sul gol del pari, a Bergamo, ha tamponato Asamoah. Che talento, però. E che fiuto del gol importante, non semplicemente del gol.

Conte non ha il sostituto di Pirlo. Lo sta facendo Marchisio. Nei nostri pollai, basta e avanza. Quarantasei punti, cinque in più: una media pazzesca. Il problema non è cosa Juventus e Roma troveranno sotto l’albero, ma sopra.

Dattilo-scritto

Roberto Beccantini18 dicembre 2013

L’associazione a delinquere ha resistito anche alla prova del processo d’Appello, al di là degli sconti, a Moggi and friends, dovuti alle frodi prescritte. In realtà, del misto «mafia-P2» cucinato da Narducci non è rimasto molto: gli iniziali 48 indagati si sono ridotti a una decina tra cui i tre arbitri condannati. Un po’ pochi, forse, per disporre di campionati interi (e comunque non alterati: Casoria dixit).

Tra costoro, credo che una menzione particolare la meriti l’ex arbitro Dattilo, condannato per aver espulso, su segnalazione di un guardalinee mai indagato, un giocatore che aveva colpito con un pugno un avversario e per aver ammonito, in maniera fraudolenta, secondo l’accusa, tre calciatori diffidati per non farli giocare la domenica successiva contro la Juventus. Solo che non erano affatto diffidati e, dunque, giocarono regolarmente.

La parte del leone sembrerebbe che continuino a farla le famigerate schede svizzere, nonostante gli avvocati difensori si siano affannati a convincere i giudici che, al netto dello spionaggio «elvetico», sarebbe bastato rincorrere conversazioni banalmente «italiane» per rendersi conto dell’aria che tirava, in quegli anni, attorno alla cosiddetta «cuopola». Lo documenta l’ultima scoperta del consulente di Moggi, Penta: il colloquio fra Racalbuto e Meani trascurato o sfuggito ai radar dei pm.

Per Bergamo è stato disposto l’annullamento della condanna, con rinvio a nuovo processo, per difetto di possibilità di difesa. Rimane il mistero sulle ragioni che, a parità di accuse, abbiano portato all’assoluzione di tutti gli arbitri che avevano scelto il rito abbreviato.

La «mia» guerra per bande esce sbriciolata anche dall’Appello. I dubbi non scacciano il rispetto, e viceversa. Sono curioso di leggere le motivazioni. Molto curioso. E poi la Cassazione.

Casa, dolce casa

Roberto Beccantini15 dicembre 2013

Casa, dolce casa. Dopo la tormenta e i tormenti di Istanbul, alla Juventus basta respirare l’aria del suo diletto cortile per tornare a sembrare il Real Madrid; Tevez, Cristiano Ronaldo; Vidal, con le sue finte, Sneijder; e Pogba, Pogba: l’originale. Il Sassuolo, che aveva raccolto preziosi pareggi a Napoli e a Roma, viene allegramente raso al suolo.

Non è una novità, nella storia e per la cronaca. La Juventus vampira e la Juventus donatrice di sangue. Il Tevez adrenalina in campionato (prima tripletta, dieci reti in tutto) e il Tevez camomilla in Champions (ultimo gol, aprile 2009). Sono gli eccessi che hanno reso il calcio universale e la Signora un caso freudiano.

Lo spirito di Pirlo ha occupato il Bosforo, non certo lo Juventus stadium. La contabilità, nel frattempo, s’ingrossa: otto vittorie consecutive, 19 gol fatti e zero subìti. Alla vigilia, il gioco delle parti aveva spinto Conte a sorridere di una parolina: «fallimento». Sbaglia, il mister, quando celia sull’obbligo di dover vincere la Champions. E quando mai, con questa rosa, gli era stato chiesto? Più terra terra, gli avevano fatto notare che, con tutto il rispetto per il Galatasaray di Mancini, e al netto della neve «alla turca», uscire dalla fase a gironi con una vittoria in sei partite (e quell’unico successo, con il Copenaghen a Torino), non è stato il massimo. Tutto qui.

L’obiettivo (due b o una?) era, e rimane, il terzo scudetto di fila. L’Europa League è una tassa più facilmente detraibile della Champions. Vedremo. La butto lì: Mourinho, l’anno del triplete interista, alternò il 4-2-3-1 di coppa al 4-4-2 di campionato. Il 3-5-2 d’ordinanza non si discute. La difesa a quattro ha portato (abbastanza) bene con il Real. Fra poco c’è la sosta. Prima o poi rientrerà Pirlo. Perché non giocare un po’ a scacchi?