Saper soffrire

Roberto Beccantini1 dicembre 2013

Un anno fa, alla quattordicesima, la Juventus perdeva a San Siro contro il Milan: rigore (ascellare) di Robinho. Questa volta ha battuto l’Udinese, in casa, con lo stesso scarto. Ha risolto, agli sgoccioli degli sgoccioli, dopo che Buffon era andato oltre i suoi stessi pugni, Fernando Llorente. Guidolin è un signor allenatore e l’ha dimostrato. Difesa e contropiede. Conte ha perso Pirlo, un Pirlo in forma, e ne ha pagato il fio. Non mi stancherò mai: da Lichtsteiner e Asamoah a Padoin e De Ceglie, il mio regno per un dribbling.

Lo zero a zero sembrava scolpito, e sarebbe stato legittimo, equo. Più possesso la Juventus, ça va sans dire, più occasioni l’Udinese (almeno, fino, ai titoli di coda).

Conte ha chiuso con un estemporaneo, per lui, 4-3-1-2. «Lotta continua» Tevez dietro a Llorente e Quagliarella. La variante ha prodotto confusione; e dalla confusione è nato l’episodio-chiave. Sei vittorie di fila: 2-0 al Genoa, 4-0 al Catania, 1-0 a Parma, 3-0 al Napoli, 2-0 a Livorno, 1-0 all’Udinese. Tredici gol a zero. Mettiamoci pure i refoli della sorte, gli inchini del destino: senza esagerare, però.

Il mercoledì di Champions aveva zavorrato Vidal, Pogba, costretto in panni non suoi, Marchisio (al di là delle bollicine introduttive). Per tacere dei terzini: scusate, ma li chiamo così. Poteva mancare l’implacabile scarabocchio di Bonucci? No che non poteva. La trama, in generale, mi ha ricordato Juventus-Catania 1-0, quella decisa da Giaccherini. Con la differenza Buffon.

Dall’Europa al campionato, esistono anche gli avversari: mai dimenticarlo. La Juventus sa soffrire. Può giocar male, e ci sono stati scorci in cui l’ha fatto anche stavolta, ma poi, è chiaro, più occupi il cuore del ring e spingi il rivale alle corde, più rischi che un contropiede ti pugnali o che una mischia ti baci.

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Senza esagerare

Roberto Beccantini30 novembre 2013

Nutro qualche dubbio sul fatto che Adriano Galliani sia stato il miglior dirigente italiano dell’ultimo trentennio. Per carità: i numeri sono numeri, e 28 trofei in ventisette anni costituiscono una scorciatoia per l’eternità, soprattutto in un Paese come il nostro, di bocca buona e schiene generose.

Il suo avversario era la Triade juventina, mica l’asilo Mariuccia. Nel tempo, le sue corsie preferenziali (anche troppo?) sono diventate Enrico Preziosi e Mino Raiola. Ha ragione, zio Fester, quando si ribella, non già al ricambio generazionale, ma al modo, allo stile. Buona uscita o non buona uscita.

Sarebbe piaciuto a Niccolò Machiavelli un dirigente così. Simbolo del potere forte e, grazie alla tv, immagine di un potere quasi formato famiglia (le cravatte, le classifiche ad squadram, le esultanze da ultra). Non discuto la competenza, i colpi, anche se Andrea Pirlo e Clarence Seedorf gli vennero regalati da Massimo Moratti. Discuto, se mai, la beatificazione. Adriano ha potuto contare sui quattrini del Berlusconi più onnipotente, su alcune leggine mica male (la spalmadebiti, do you remember?), sul conflitto di cattedere, specialità della casa: amministratore delegato del Milan, Galliani è stato un dirigente molto «all’italiana», uno e trino secondo modalità e comodità, prolunga aziendale del Cavaliere, nel calcio e nelle tv del calcio, nonché presidente della Lega, poltrona mollata soltanto dopo Calciopoli: e non certo di sua volontà.

Occhio, però, anche al resto, non proprio spiccioli: le ombre sulle luci di Marsiglia, lo scandalo Lentini (azioni del Toro girate al Milan a scopo cautelativo, roba da retrocessione fulminante), la B di Calciopoli schivata esclusivamente grazie al preservativo Meani e al diversivo Berlusconi. E’ stato un grande, sì, ma senza esagerare.

Buffo, no?

Roberto Beccantini28 novembre 2013

Troppa carne al fuoco, torno allo spezzatino.

1. Juventus molle e noiosa. Dal bombardamento di Copenaghen estrasse la miseria di un golletto. Dalla carestia di Torino, addirittura tre gol. A parte la solita dormita (là, su punizione, qui su fallo laterale). Buffo, no?

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2. Al Napoli potrebbero non bastare quattro successi e dodici punti. Alla squadra di Conte basterà non perdere a Istanbul: e dunque una vittoria, una sola. Quella con i danesi.

3. Vidal è un tuttocampista, la tripletta non gli aggiunge nulla. Sa fare molto e vede la porta, con la testa e (anche) di testa. In passato, quando gli sceicchi eravamo noi, tenere lui e Pogba sarebbe stato un gioco da ragazzi. Oggi che gli sceicchi sono altri, la fine è nota: si tratta solo di fissare una data. E un prezzo. Almeno per uno di loro. Da quello che leggo, i tifosi sono preparati.

4. Senza Cristiano Ronaldo, in formazione largamente rimaneggiata e addirittura in dieci dal 26’ del primo tempo (espulso Sergio Ramos), il Real di Ancelotti le ha suonate al Galatasaray di Mancini. A proposito di biscotti o menate varie.

5. In principio fu l’abbraccio di Chiellini a Sergio Ramos. Poi il tocco di Abate a Neymar. Quindi, a Dortmund, le leggera «copula» tra Fernandez e Lewandowski. Rigore, rigore, rigore. In Europa, tolleranza zero. Da noi, non proprio. Consiglio spassionato: facciamone tesoro.

6. Il Napoli di Benitez. Partenza tra gli olé e d’improvviso: 0-2 Arsenal, 0-2 Roma, 0-3 Juventus, 1-3 Borussia. Un sospetto: quattro attaccanti (Callejon, Hamsik o Pandev, Mertens o Insigne, Higuain) cominciano a essere troppi. Con le grandi, almeno.

7. Celtic bipartisan: la scorsa stagione, 0-3 con la Juventus; martedì, 0-3 con il Milan. Piano con le serenate.