E’ stata una finale divertente, soprattutto in rapporto alle tensioni che sempre i derby d’Europa stipano nei bauli. Per un’ora, meglio il Borussia. Poi, più Bayern. Bravo Neuer all’inizio; bravissimo Weidenfeller fino alla fine. Klopp ha confermato di essere un signor allenatore; Heynckes ha ribadito come e quanto le strade degli uomini siano a volte pià infinite di quelle del Padreterno. Ha riportato Bundesliga e Champions in Baviera, eppure dovrà togliere il disturbo. Auguri a Guardiola e al suo tiki-taka.
Scritto che, in occasione del rigore, il buonista Rizzoli avrebbe dovuto ammonire Dante (e, dunque, espellerlo per cumulo), e ribadito quanto l’assenza di Goetze sia stata cruciale, credo che la chiave siano stati – nel male e nel bene – i due esterni, Frank Ribéry e Arjen Robben. Nel male del primo tempo (Ribéry, un’ombra; Robben, due spari sul portiere), e nel bene del secondo: azione Ribéry-Robben a monte dell’1-1 di Mandzukic; trama rugbistica Ribéry-Robben per la «meta» del romanzesco 2-1.
Il francese, 30 anni, e l’olandese, 29, sono le «ali» del 4-2-3-1 che tanto piace a Conte. Sono campioni, non fuoriclasse, spesso scortati dall’etichetta di perdenti di successo. Naturalmente, non vivono più, come i loro antenati, incollati alla linea laterale. La loro posizione, sui gol, spiega geograficamente l’evoluzione del ruolo. Sono «ali» che debbono fare i terzini, come Eto’o nell’Inter del Triplete. Non terzini e/o centrocampisti come Lichtsteiner e Asamoah che, nel 3-5-2 juventino, debbono fare gli esterni d’attacco. Non è la stessa cosa.
Robben ha un piede solo, il sinistro. Anche per questo, ha graziato Weindenfeller e, soprattutto, Iker Casillas nella finale dei Mondiali 2010. Non è il massimo ma a Wembley, per una sera, lo è stato.