Oplà

Roberto Beccantini5 dicembre 2012

Sembrava uno dei tanti biscotti che sgranocchiamo a fine girone, tra un rigore negato, un palo lambito (da Giovinco) e una svirgolata gialappica (di Alex Teixeira). Lo Shakhtar era già qualificato, alla Juventus serviva un punto. Sembrava. Piano piano, la partita si è consegnata alla squadra più matura. Certo, gli episodi. Dal montante scheggiato da Pirlo alla carambola Kucher-Giovinco, con Lichtsteiner in fuorigioco «a monte», all’auto-palo di Asamoah. Non solo quelli, però: anche una gestione oculata, rispettosa della forze e, sopratutto, dei limiti.

Non c’è stato paragone, rispetto al pareggio dell’andata: a Torino il gioco l’avevano dettato i sambisti di Lucescu che, come tutti i brasiliani, rendono facili le cose difficili e difficili le cose facili. Avete presente Willian? Imbottigliato tra i rivali, si è perso nel traffico.

Mancavano Luiz Adriano e Marchisio, squalificati. La Juventus ha dovuto stanare un serpente: un confronto, cioè, che i cinguettii di armistizio avevano reso viscido, malizioso, sfuggente. L’ha aspettato, l’ha pinzato. Promossa come prima, la Juventus è, oggi, una delle sedici migliori d’Europa. Da Londra a Donetsk è cresciuta molto. D’ora in poi potrà giocarsela con tutti, alla pari, eccezion fatta per Barcellona e Real Madrid.

Ho apprezzato la spinta di Lichtsteiner, gli artigli di Chiellini, la lucida ferocia di Vidal, nonostante il giallo-lampo, le sponde di Vucinic, i tocchi «pane e salame» di Giovinco. Pogba non è Marchisio, si sapeva: sa cosa fare e dove andare, ma non sempre sceglie il sentiero più semplice, più diretto.

Domenica a Palermo, Conte ritroverà una Juventus capolista e negli ottavi di Champions. Vedremo se, per questo, continuerà lo stesso film o ne comincerà un altro: e quale, eventualmente.

Uno per tutti

Roberto Beccantini5 dicembre 2012

Piaccia o non piaccia, tutti assolti tranne Antonio Giraudo. Gli hanno ridotto la pena (dai tre anni inflitti in primo grado, e dai quattri richiesti, a un anno e otto mesi), ma è rimasta l’infamia dell’associazione a delinquere finalizzata alla frode sportiva (Juventus-Udinese, solo quella). Come partecipante, non più in qualità di promotore: di qui lo sconto (!). Il carro accusatorio ha retto (Giraudo più Moggi più Bergamo più Pairetto più Mazzini più De Santis, più eccetera). Dall’appello abbreviato, però, sono scesi tutti i passeggeri meno uno.

Ho sempre pensato a una guerra per bande, a maggior ragione dopo il disvelamento di Calciopoli 2 (le telefonate dell’Inter, gli altri nastri del Milan). Tre sentenze penali (due abbreviate, una ordinaria) e i verdetti sportivi nella loro interezza hanno scardinato la mia tesi. Ne prendo atto.

In attesa delle motivazioni, fatico a orientarmi. Gli arbitri e il loro presidente d’allora, Tullio Lanese, sono usciti indenni uno dopo l’altro. Tiziano Pieri, prosciolto nell’appello odierno, resta aggrappato comunque a Bologna-Juventus, una delle frodi contestate a Moggi sull’altro fronte. Il quale Moggi, a leggere le cinquecento e passa cartelle di Teresa Casoria, ha «cupolato» per sé, e non per la Juventus. Insomma: l’associazione cammina, ma è sempre più magra.

Ripeto: non che tutti i filistei dovessero morire con Sansone-Giraudo, per dare un senso compiuto alla condanna, ma il liberi tutti tranne uno qualche dubbio lo fa venire. Scrivo Calciopoli e non Farsopoli, non credo ai complotti e rispetto i tribunali: la sentenza, però, mi sembra tirata per i capelli, come i quattro mesi di Antonio Conte. Non perché non ne meritasse di più, ma perché non li meritava in base alle spiegazioni offerte dal Tnas. Di appello in appello, quello di Moggi comincerà il 24 maggio 2013. Campa cavillo.

Il lato G

Roberto Beccantini1 dicembre 2012

Come a Catania, è stato un rosso, tanto folle quanto corretto, a sfigurare l’ordalia. Barrientos al Cibali, Glik nel derby. Fin lì, il Toro aveva retto alla pari. Dopo, non più. Che abbiano segnato Claudio Marchisio e Sebastian Giovinco, juventini di «cantera» e di città, è una chicca statistica che non può non far piacere, se il riferimento – per molti- resta l’undici su undici del Barcellona di domenica scorsa, contro il Levante. Viceversa, se tifate per la globalizzazione, liberissimi di fregarvene.

Le vie del derby sono proprio infinite. La prima occasione – e che occasione – era capitata a Meggiorini. La Juventus, di passaggio dal 3-5-2 al 4-4-2/4-3-3, sembrava la squadra, timida e macchinosa, di San Siro. L’espulsione dello spericolato Glik ha sparigliato il mazzo. Il derby si è arreso al pensiero unico, con tutta la Juve sempre o quasi nella metà campo del Toro. La buonanima di Nils Liedholm raccontava che in dieci si gioca meglio. Ai suoi tempi, forse. Non adesso. Sono sicuro che Conte darà più importanza alla mezz’ora iniziale – sofferta, travagliata – che non al seguito. Le grandi squadre si cementano lavorando sugli errori e non sui pregi.

Giovinco ha realizzato il più utile fra i suoi gol inutili, Marchisio, a 26 anni, ha confermato di essere un centrocampista moderno, completo, ora rifinitore ora stoccatore. Così così gli altri orchestrali. Rimane il problema delle palle perse, dalle quali nascono, spesso, più occasioni che azioni. Del Toro mi hanno commosso Darmian e l’applauso della curva, comunque.

Un mezzo disastro, Rocchi. Il rigore sbagliato da Pirlo non è una novità, e pure su questo Conte dovrà meditare. La Juventus ha due punti in più della scorsa stagione e mercoledì a Donetsk senza Marchisio, squalificato, si gioca gli ottavi di Champions. Serve un pari. Non sarà una passeggiata.