Il fastidio del fastidio

Roberto Beccantini7 giugno 2012

Deve essere stata grave, la deposizione di Giuliano Tavaroli, se ne hanno parlato perfino Sky e la Gazzetta. Titolo della rosea: «Spiavo De Santis per conto di Moratti». Sommario: Tavaroli in aula ammette: «Il dossier Ladroni mi venne ordinato dal patron dell’Inter e lo gestii con Facchetti». Ho controllato: Facchetti, non Tronchetti. Ho ricontrollato: non Tronchetti, Facchetti. Siamo nel 2003, su per giù a tre anni dallo scoppio di Calciopoli. Con Claudio Sabelli Fioretti (prima lui, poi io) intervistammo Moratti sull’argomento. Fu vago. Agli inquirenti federali, negò.

In attesa di essere pesata e verificata, la deposizione di Tavaroli – in tribunale, sotto giuramento, al processo Telecom – conferma la mia tesi della guerra per bande. Lo è sempre stato, il calcio italiano, ma con l’accelerazione imposta da Berlusconi da una parte e dalla Triade dall’altra lo è diventato ancora di più. In mezzo, l’Inter e le romane. Ognuno, per giustificare le proprie mosse e il proprio marcio, ha invocato il diritto alla legittima difesa: l’ho fatto prima che lo facessero a me. Ci sono sentenze sportive (definitive) che hanno fissato il podio; e verdetti penali che, in attesa degli appelli, hanno riportato Calciopoli a Moggiopoli. Ci sono prescrizioni che, come nel caso dei farmaci evitarono alla Juventus il tormento di un altro processo, così hanno salvato l’Inter dal rinvio a giudizio (sportivo) per articolo 6 (Facchetti) e articolo 1 (Moratti). Ci sono dirigenti imbelli come Abete, con gli aggettivi al posto degli attributi.

Non ho le certezze opposte di Cristiano Poster e Tororosso. Ogni tanto ripenso a una frase di Massimo Fini: «Ci sono i carnefici, le vittime e le finte vittime. Queste sono le peggiori perché hanno l’apparenza delle seconde e la sostanza delle prime». Una cosa però mi dà fastidio: il fastidio di Moratti quando si nomina «invano» il grande Giacinto. Ma se sono loro, i primi.

Calcio, calcio!

Roberto Beccantini5 giugno 2012

Calcio, calcio. Come una volta si gridava «Terra, terra». Gli Europei in Polonia e Ucraina. Tredicesima edizione, sedici nazioni in lizza. I segnali di Chelsea-Barcellona e gli infortuni di Puyol e David Villa mi spingono a staccare la Spagna dalla vetta. Ha vinto gli Europei del 2008, con Aragones ct, e i Mondiali del 2010, con Del Bosque in panchina: non escludo che il destino, come fece con il Lippi sudafricano dopo il Lippi tedesco, pretenda indietro un po’ di «suerte». Le sartine spagnole sono nel nostro girone. In Sud Africa, avanzarono a furia di 1-0 (quattro consecutivi). Mica fesse.

Non credo nell’Inghilterra, e non solo per i k.o. di Barry, Cahill e Lampard. Vice Capello d’emergenza, Hodgson è un Reja di passaggio, difficile che trasformi una zucca in carrozza. In compenso, credo nella Germania e nell’Olanda. I batavi sono i vice campioni del Mondo. Hanno il vizio di guardarsi allo specchio, Robben e Sneijder sono attesi all’ultimo balzo, il più complicato. Germania, basta la parola. Tre Mondiali, tre Europei: una parità di bilancio al di sopra di ogni spread. Low è uno dei rari ct che ricorrono al centravanti classico (Gomez o Klose), nel segno della vulgata barcellonista.

Anche Prandelli, con G. Rossi e Cassano, era saltato sul carro di Guardiola. Rossi si è rotto, resiste Cassano, è stato promosso Balotelli. Il k.o. di Barzagli rimescola le carte, fermo restando, così pare, il ricorso al 3-5-2 (o 5-3-2 in base alla «coccolosità» del tecnico). E’ un’Italia gracile e confusa, in balìa di infortuni e ombre, spinta dalla storia ma frenata dalla cronaca. Ha paura, fa paura. E meglio un girone duro che un gruppo morbido.

Come sorpresa, tengo la Francia di Ribery e Benzema. Avanza a fanali spenti, deve farsi perdonare l’infamia sudafricana. Occhio, inoltre, alla sfinge Russia. Tutte le altre, mucchio selvaggio.

Una riflessione

Roberto Beccantini4 giugno 2012

Una riflessione, prima di buttarci sugli Europei. Questo non è un blog, questa è una Clinica aperta 24 ore su 24. A volte le terapie funzionano, a volte no. Il Primario non rifiuta nessuno, per principio. E non censura nessuno, per scelta, a rischio e pericolo del buon nome della struttura (voce dal fondo: ma chi se ne frega).

Ribadisco: agli indulti preferisco gli insulti. Purché siano diretti al sottoscritto, e non fra i pazienti. E meno che mai ai morti. Non dovrebbe essere difficile, in un Paese civile: evidentemente, questo non lo è; o non lo è più la mia Clinica. Se fossimo all’interno di un normale blog, temo che la maggior parte degli «inquilini» sarebbe già stata espulsa. Lo sapete, detesto i filtraggi: mi ricordano i metodi della Stasi. Non vorrei, però, che alcuni frequentatori mi costringessero a gambizzare il mio senso di libertà.

L’urlo ha un peso; e anche l’invettiva. Sono sassi da portare in tasca, sono fionde da usare per difendere il proprio pensiero. A patto di non esagerare: nessuno vi nega la libertà d’espressione. L’uso indiscriminato del passamontagna rende ancora più losco il clima. I pitali che lasciate la sera tracimano di rancore, di odio, di livore: e per che cosa? Per il terremoto che ha colpito l’Emilia? Per la disoccupazione dilagante che sta falciando la fiducia dei giovani? No: per le stelle di Agnelli o il tavolino di Moratti.

Non ho le certezze dei miei degenti, e non dico che siano spunti banali: sarebbe come sputare sul piatto dove ho mangiato per 40 e passa anni. Vogliamo però, tutti insieme, fissare un limite, un confine? Ogni argomento vive di luce propria per quattro-cinque commenti, poi precipita nell’oltraggio trasversale. Se i temi annoiano, liberissimi di cambiare ambulatorio, medico, primario. Pongo una sola condizione: non insultatevi; insultatemi.