Le due Inter

Roberto Beccantini3 settembre 2012

La Roma di Zeman è questa, o anche questa? Perché sì, siamo alle solite. Le risorse misurano le ambizioni, la continuità pesa entrambe. Siamo appena a inizio campionato e, dunque, piano con le iperboli. Il risultato, tosto, fissa un primo confine: con il Pescara hanno vinto 3-0 sia l’Inter in trasferta sia il Toro in casa. Può darsi che il blitz abruzzese abbia drogato la fiducia.

Non discuto i meriti della Roma, a cominciare dallo spirito, i cambi di Zeman e il lavorone del tridente. Mi ha deluso l’Inter, calata nel carattere e nelle gambe (Europa League ci cova?). Poca roba Sneijder e, gol di carambola a parte, poca anche Cassano. Palacio è entrato tardi, Stramaccioni avrà avuto i suoi buoni motivi. Attenzione: se si prendono gol solo in casa (due dall’Hajduk, due dal Vaslui, tre dalla Roma), significa che la squadra pende. Soprattutto quando non può limitarsi al menù esterno, difesa raccolta & contropiede manovrato (3-0 Hajduk, 2-0 Vaslui, 3-0 Pescara). Appena si allarga e si allunga, sono guai.

Molti fuorigioco, difesa zemaniana non così spericolata come in passato. Totti merita un discorso a sé. Sempre un po’ qui e un po’ là come all’Olimpico, con il Catania, ma decisamente più incisivo. Suoi gli assist a Florenzi e Osvaldo. Splendida la rasoiata verticale del 2-1. Un tocco e via, nella pancia della Maginot. Inter e Roma hanno rovesciato le prestazioni del turno introduttivo. Cose che capitano. Certo, era la prima sfida diretta del campionato. Non una sentenza, ma un indizio.

Cassano, lui, mi è sembrato il solito Cassano: più fumo che arrosto. Cassano (Palacio), Sneijder, Milito, sta a vedere che, in certi casi, reggere i tre attaccanti continua a essere un problema. Non so se la Roma abbia buttato via la maschera. Un anno fa, sempre alla seconda (per via dello sciopero), Inter-Roma finì 0-0. C’erano Gasperini e Luis Enrique. Un anno o un secolo fa?

Accanimento?

Roberto Beccantini2 settembre 2012

Chiedo scusa, ma continuo a non cogliere accanimento nei confronti della Juventus. Neppure nei confronti del Milan, se è per questo. Il rigore su Pazzini, a Bologna, non c’era; l’espulsione di Brkic, a Udine, non esiste, dal momento che non esiste la chiara occasione da gol. Lancio-campanile di Pirlo, Giovinco in mezzo a Danilo, Domizzi e Brkic, controllo aereo complicato a prescindere. L’errore di Rizzoli – che, come a Pechino, segnala il penalty e il resto all’arbitro centrale – è tutto qui: nel suggerire il rosso, e non il giallo (a Danilo, comunque; non certo al portiere).

La partita dura un quarto d’ora scarso. Peccato. La squadra di Guidolin veniva dai rimorsi-Champions di martedì notte: già aveva faticato in parità numerica, figuriamoci dopo, in dieci. Pilota automatico, i campioni, e via. Invito a non prendere l’effervescenza di Giovinco per bollicine di champagne: troppo comodo, e troppo facile, in quelle condizioni. Grande con i piccoli, o gli avversari «piccoli» perché menomati: mai avuto dubbi, su questo. Il problema è un altro, il solito: quando diventerà grande con i grandi?

Dubito che i dieci italiani schierati da Allegri a Bologna, undici con Tagliavento, corrispondano a un disegno condiviso: se mai, a un piano obbligato, d’emergenza. Sfortunato con la Sampdoria (due pali), fortunato in Emilia (rigore inventato, papera del portiere): tre punti in due partite, un anno fa erano stati due in tre gare. La tripletta di Pazzini aiuta a pensare positivo. In un campionato povero ed equilibrato come questo ci sta molto, se non proprio tutto: non è da scudetto, questo Milan, ma anche con Ibra non è che offrisse un calcio raffinato e stellare. Aveva il solista che gli risolveva tutte o quasi le sparatorie. Oggi, deve inventarselo.

Guelfi e juventini

Roberto Beccantini31 agosto 2012

Guelfi e juventini. Il titolo non c’entra nulla ma mi piace: profuma di Berbatov, richiama alla memoria le divine commedie tra Fiorentina e Juventus, due calvi che si sono contesi un pettine rubato dal primo Fulham di passaggio. Scrivo dopo le palle del mercato e le palline di Montecarlo, prigioniero di una domanda: è stato più fausto il sorteggio di Champions (Chelsea, Shakhtar Donetsk, Nordsjaelland) o quello di Marotta (Nicklas Bendtner)?

A naso, direi il sorteggio di Champions. Bendtner, danese, mi ricorda Amleto e il suo essere o non essere: non certo l’attaccante da venti gol che serviva alla Juventus. Bendtner è un Matri più fisico, più mobile e più matto. Non sposta montagne. La parola al campo. Se ho preso un granchio, mi «corriggerete».

Ricapitolando: Van Persie, Suarez, Dzeko, Benzema, Cavani, Higuain, Fernando Torres, Falcao, Cardozo, Fernando Llorente, Jovetic, Drogba. L’ordine d’arrivo mi ha ricordato lo sprint del campionato del mondo di ciclismo a Gap, 1972: Bitossi, Bitossi, Bitossi, Basso! Van Persie, Van Persie, Van Persie, Bendtner! Con il rischio – evitato – che si potesse tornare a Borriello.

Capite perché detesto il mercato? Perché droga i sogni, produce attese smodate, adesca e travia i lettori. Il 27 maggio avevo scritto: «Van persi». Il 7 giugno replicai con «Voglia d’Italia: sarà vero?». Brutta storia, Scommessopoli; e in giro, Juventus compresa, non c’è il becco di un quattrino. Spopola il prestito oneroso. L’errore di Marotta e della società non è stato l’epilogo, obbligato: è stato il metodo, populista. Ciò detto, Asamoah, Isla, Pogba e Giovinco sono stati acquisti validi.

Palla al centro, finalmente. Vedo la Juventus in pole, di poco, ma occhio alla Champions: costa. Subito dopo, Napoli e Inter. Quindi Roma e Milan. Il Milan, azzerato, è un gruppo: ad Allegri il compito di trasformarlo in squadra.