Una riflessione

Roberto Beccantini4 giugno 2012

Una riflessione, prima di buttarci sugli Europei. Questo non è un blog, questa è una Clinica aperta 24 ore su 24. A volte le terapie funzionano, a volte no. Il Primario non rifiuta nessuno, per principio. E non censura nessuno, per scelta, a rischio e pericolo del buon nome della struttura (voce dal fondo: ma chi se ne frega).

Ribadisco: agli indulti preferisco gli insulti. Purché siano diretti al sottoscritto, e non fra i pazienti. E meno che mai ai morti. Non dovrebbe essere difficile, in un Paese civile: evidentemente, questo non lo è; o non lo è più la mia Clinica. Se fossimo all’interno di un normale blog, temo che la maggior parte degli «inquilini» sarebbe già stata espulsa. Lo sapete, detesto i filtraggi: mi ricordano i metodi della Stasi. Non vorrei, però, che alcuni frequentatori mi costringessero a gambizzare il mio senso di libertà.

L’urlo ha un peso; e anche l’invettiva. Sono sassi da portare in tasca, sono fionde da usare per difendere il proprio pensiero. A patto di non esagerare: nessuno vi nega la libertà d’espressione. L’uso indiscriminato del passamontagna rende ancora più losco il clima. I pitali che lasciate la sera tracimano di rancore, di odio, di livore: e per che cosa? Per il terremoto che ha colpito l’Emilia? Per la disoccupazione dilagante che sta falciando la fiducia dei giovani? No: per le stelle di Agnelli o il tavolino di Moratti.

Non ho le certezze dei miei degenti, e non dico che siano spunti banali: sarebbe come sputare sul piatto dove ho mangiato per 40 e passa anni. Vogliamo però, tutti insieme, fissare un limite, un confine? Ogni argomento vive di luce propria per quattro-cinque commenti, poi precipita nell’oltraggio trasversale. Se i temi annoiano, liberissimi di cambiare ambulatorio, medico, primario. Pongo una sola condizione: non insultatevi; insultatemi.

La parata di Buffon

Roberto Beccantini1 giugno 2012

Dalla parata di Roma, che in segno di rispetto per le popolazioni martoriate dell’Emilia avrei sospeso, all’ultima parata di Gigi Buffon il passo è greve. Da una vecchia informativa, ia ia o, salta fuori ‘sto giro milionario di euro che porta a una tabaccheria che porta a una banca che porterebbe a delle scommesse. Il tutto, a ventiquattr’ore di distanza dall’«alzamiento» di Coverciano: vergogna, vergogna, vergogna. La consecutio ha sorpreso anche il sottoscritto, garantista per tutto e con tutti: persino con Auricchio, fino a quando ho potuto.

Gli assegni risalgono al periodo gennaio-settembre 2010: il capitano della Nazionale e della Juventus non è indagato, a differenza di Domenico Criscito, escluso, e Leonardo Bonucci, incluso. Buffon è un incallito scommettitore: non è reato. Buffon, calciatore di mestiere, sa che può scommettere su tutti gli sport tranne che sul calcio: questo sì, reato sportivo. Il suo avvocato ha parlato di «imboscata». I giornali ci hanno inzuppato il biscotto, come avrebbero fatto i miei Pazienti se fossero stati giornalisti o direttori. Ciascuno, naturalmente, seguendo la linea editoriale del proprio tifo, del proprio livore.

In un Paese normale, visti i tempi e la rilevanza del personaggio, gli organi inquirenti avrebbero già fatto luce. Da noi, si procede per corvi, per veline, per soffiate: piaccia o non piaccia. Siamo diventati un impero sul quale non tramonterà mai l’ombra: colpa nostra, non solo «merito» delle procure. Al posto di Buffon, convocherei una conferenza per spiegare il giallo tabaccheria. Nello stesso tempo, sono curioso di vedere come finirà questa storia: sempre che continui.

Per concludere, prime sentenze di Scommessopoli. Pene scandalosamente miti, in linea con i «quaranta sfigatelli» evocati da Cesare Prandelli. Chi lo spiega, adesso, a Michel Platini?

Il codice (pat)etico

Roberto Beccantini29 maggio 2012

Domenico Criscito no e Leonardo Bonucci sì ribadiscono quanto il confine tra etica ed etichetta sia labile e subdulo. Un avviso di garanzia con perquisizione in camera (a Coverciano) batte, dunque, un avviso di garanzia (spiccato e non arrivato): l’importante è saperlo. Avrei portato Criscito, scritto ieri; e per la proprietà transitiva della logica, anche Bonucci. Nel rispetto totale di coloro che non la pensano come me – e, quindi, avrebbero bloccato entrambi per questioni di opportunità, di morale o quant’altro – credo che Cesare Prandelli abbia adottato la decisione sbagliata.

La voce del popolo non sempre è la voce di Dio, ma è chiaro che la cesura del ct fomenterà pissi pissi da bar sport, Bonucci è della Juventus e Criscito lo era, Bonucci è un pesce e Criscito un pesciolino. Non toccare il tasto della presunzione di innocenza – che, viceversa, andrebbe pigiato, sempre – significa mettersi dalla parte del torto, a maggior ragione di fronte a una decisione così politica e così ipocrita. La «pressione disumana» con la quale Cesare aveva addobbato l’Europeo di Criscito, per giustificarne l’esclusione, ha tutta l’aria di un alibi cucinato al volo e al dente, su ricetta di Giancarlo Abete.

Cesare resta un allenatore che studia il calciatore attraverso l’uomo. Lo avrei gradito più coraggioso: o tutti dentro o tutti fuori; sia che l’uno, Criscito, abbia ricevuto l’avviso di garanzia, e l’altro, Bonucci, non ancora; sia che il reato contestato al secondo risulti meno grave di quello notificato al primo.

Siamo alle solite: gli esempi che vengono dall’alto – e in questo caso, l’alto è Prandelli – lasciano spazio alle capriole dell’incoerenza e alle acrobazie del codice (pat)etico. Tutto il mondo ride di noi. Come alla vigilia dei Mondiali 2006, ultima stampella alla quale aggrapparci.