La banalità del male

Roberto Beccantini28 maggio 2012

La banalità del male. Dal 1980 a oggi, in ordine sparso: toto nero uno e due, passaportopoli, doping amministrativo, doping farmaceutico, calciopoli una e due, premiopoli, scommessopoli. Il tutto, nonostante lo scudo della responsabilità oggettiva: che, non a caso, i dirigenti più illuminati vorrebbero disarmare. Chi scrive, avrebbe portato Criscito agli Europei: scelta non facile, capisco, ma il pesce mi sembra troppo piccolo per poterlo trasformare in un simbolo, soprattutto se lo si definisce «un ragazzo straordinario» (Demetrio Albertini). E poi il pesce puzza sempre dalla testa, come ben sanno Abete, Carraro e Petrucci.

Alla vigilia dei Mondiali 2006, senza arrivare all’avviso di garanzia per il reato di associazione a delinquere finalizzata alla frode sportiva, Buffon lasciò Coverciano per andare a deporre, a Parma, su un argomento scottante (scommesse, ça va sans dire), con corredo di ombre che coinvolgevano Cannavaro e Lippi (figlio, processo Gea). Sordo all’indignazione popolare, Guido Rossi li imbarcò tutti per la Germania. Prandelli si è incartato con il codice etico: troppi distinguo e poco coraggio.

Capitolo Conte. E’ indagato di associazione, e gli hanno perquisito la casa. Sono con Andrea Agnelli: massima fiducia negli organi inquirenti. Le partite del Siena sotto inchiesta sarebbero «circa otto». Non una. E, di quel Siena, Conte era l’allenatore. Complice, testimone distratto o vittima? Ce lo diranno Di Martino, senza «enfatizzare», e Palazzi, entro fine luglio.

Non siamo più ai tempi pittoreschi di Trinca & Cruciani, siamo in sella a un’organizzazione transnazionale di stampo malavitoso. Il problema non è quello posto da Buffon: a fine stagione «meglio due feriti che un morto». Il problema è quello posto dagli zingari: «meglio due feriti ricchi (per averci scommesso su) che un morto». Ci siam sempre fatti delle gran risate. Ecco i risultati.

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Van persi

Roberto Beccantini27 maggio 2012

Il tridente Palacio-Milito-Lavezzi non mi dispiace, così come le casse piangenti del Milan potrebbero trovare un bel fazzoletto nei recuperi di Cassano e Pato al servizio di Ibrahimovic. Il quale ha giurato eterno amore a Galliani, pur in assenza di rinforzi all’altezza dei suoi appetiti (e dei suoi, umanissimi, sbadigli). I problemi di Milan e Inter cominciano dalla metà campo in giù: Montolivo è un giovanotto che, spesso, perde le chiavi di sé, finendo per essere «altro» alla mezz’ala che il versatile repertorio aveva indicato prima a Bergamo e poi a Firenze.

Come la parola “progetto”, top player è termine inflazionato e, dunque, fastidioso. La Juventus lo insegue in attacco, là dove il cannoniere più prolifico, Matri, si è fermato a dieci gol. Il gioco di Conte ha sin qua previsto il ricorso a un pick and roll di impronta cestistica, con il lungo (la punta) abile nel favorire l’entrata della guardia (il centrocampista). Dal momento che gli avversari ne avranno studiato gli schemi, urge una rinfrescata.

Quale attaccante, allora. Qui si parrà la nobilitate di Marotta. Destro è completo ma giovane (all’estero direbbero: è completo «e» giovane); Dzeko è riserva del Manchester City e viene da quella Germania virtuosa nei bilanci ma ruffiana nella propaganda (Diego); Suarez sa cavarsela con il pivot (Carroll, Liverpool) e senza; Higuain ha scoperto il gol, ma tra Cristiano Ronaldo, Di Maria, Ozil, Benzema, Kakà certe scoperte riescono meglio; Van Persie, nell’Arsenal targato Wenger, ha dimostrato di prediligere il 4-2-3-1, nel solco di Henry. E così, all’imbarazzo della scelta si affianca l’imbarazzo, forte, di pagare cara la scelta sbagliata. Nessun fuoriclasse all’orizzonte; giocatori più in gamba, almeno sulla carta, sì. Da Van Persie a van persi (i quattrini, i candidati) c’è però un crepaccio. Occhio a non finirci dentro. Non sarebbe una novità.

Odio il mercato

Roberto Beccantini23 maggio 2012

Odio il mercato e, dunque, mi porto avanti con gli alibi con i quali giustificherò tutte le analisi che vorreste e non avrete. Lo odio da quando, ragazzo a Bologna, mi ero invaghito di Amarildo, riserva di Pelè e protagonista del Mondiale brasiliano in Cile. Lessi che sarebbe andato alla Juventus. Ne ero felicissimo. Conservo le pagine, i titoli, con tanto di verbi al futuro e zero condizionali. Passò un anno e Amarildo finì al Milan. Probabilmente, avrei dovuto cominciare a detestare i giornalisti e continuare ad amare il mercato. Sbagliai strada. Meglio così: se avessi scelto quella giusta, non ci saremmo conosciuti.

Ci sono cose peggiori, certo. Il mercato piace in quanto sogno, segno, oppio e adrenalina del popolo. Lo cucinano i giornalisti e i procuratori, tra molto fumo e qualche arrosto (prima poi, me la dovevo giocare…). Per carità: ogni tanto l’eresia e l’utopia diventano realtà – esempio: Zico all’Udinese – ma il rapporto resta molto basso, molto liquido.

Non mancano gli svaghi: la scorsa estate, Gasperini chiese Palacio a Moratti e non lo ebbe; oggi, all’Inter, non c’è più Gasperini ma arriva Palacio. Questioni di bilancio (allora non si poteva, ora si può)? Ripensamenti? Moratti resta unico.

Si chiude il 31 agosto, vi lascio immaginare la noia (Ranieri/Moravia) e la nausea (Mourinho/Sartre). Sempre che non ci «salvino» gli Europei o i botti di Scommessopoli. Ormai, non tira più nemmeno la conta delle stelle, e non è che De Laurentiis possa delirare una volta al giorno per assicurare titoli alternativi. O mercato o Barbara versus Galliani. Da Higuain a Destro il salto non è lieve e, temo, ce ne saranno di più spericolati.

Passano gli anni e Giovinco è sempre a metà (o metà?). Corsi e ricorsi, Vico e Fico, Balotelli e il codice Prandelli. La frase del giorno è di Ibra: se vado, vado; se resto, resto. Però.