La finale di Coppa Italia ha regalato il primo trofeo al Napoli di De Laurentiis e inflitto la prima sconfitta alla Juventus di Conte, dopo lo scudetto e 42 partite. L’etica è stata espulsa sin dai barbari fischi all’inno di Mameli. Il Napoli ha meritato, alternando le lame di Hamsik e Lavezzi allo scudo di Cannavaro e Aronica. E poi il cuore: tanto, come nella tradizione. Credo che la pancia piena della Juventus e la gaffe di Storari su Lavezzi abbiano orientato il risultato. Le celebrazioni di Del Piero, pezzo di storia della Juventus, hanno condizionato il varo della formazione fino al masochismo. Non mi è piaciuto Brighi: mai affidare sfide così delicate a un arbitro all’ultima partita. C’era un rigore anche su Marchisio, ma per carità , «omnia munda mundis» e poi mancava ancora una vita.
Mazzarri ha raccolto quanto seminato. Se la Juventus è storicamente squadra da Giro o Tour, il Napoli ha confermato di privilegiare le «classiche», tendenza, questa, ribadita anche in Champions. A proposito: l’ha vinta, non più tardi di sabato sera, quel Chelsea che aveva eliminato il Napoli negli ottavi, ai supplementari (e se fosse rimasto quel genio «compreso» di Villas Boas, chissà ).
In attesa di capire dove andrà Lavezzi (all’Inter o al Paris Sg?) e se resterà Cavani, onore al Napoli, e complimenti al Toro e al Pescara. Tornano in serie A, senza se e senza ma. Il Toro di Cairo e Ventura, il Pescara di Zeman. La società che, più di tutte, si agita nell’immensità dolorosa del passato; l’allenatore che, meglio di tutti, sa eccitare gli attaccanti e titillare noi guardoni. Il problema del Toro è evitare i su e giù che ne hanno caratterizzato i più recenti safari: pochi uomini (al comando), ma buoni. L’eresia di Zeman affascina e spaventa. Il suo limite è la dottrina, soprattutto quando ascende a dogma. Averne, però.