Altro che terza stella

Roberto Beccantini2 maggio 2012

Altro che terza stella. La paperissima di Buffon spiazza quei tifosi che avevano già ordinato champagne e davano dei «gufi» ai pochi saggi scampati alle ammucchiate. Il Lecce era in dieci, la Juventus padrona. Un suicidio senza attenuanti. E così il Milan, che ha liquidato l’Atalanta, si porta a meno uno. A San Siro, nell’azione del primo gol, le moviole hanno certificato un leggero fuorigioco di Muntari, sempre nel centro del destino (!). Nulla a che vedere con il gelido piedino di Buffon, goffo in assoluto ma così clamorosamente cruciale e decisivo soltanto per gli errori sotto porta dei «compagni» attaccanti e centrocampisti. Meno vistosi, non meno pesanti. Mai legarsi a un episodio, mai.

Domenica, Cagliari-Juventus a Trieste e Inter-Milan, con l’Inter rimontata a Parma e fuori, ormai, dalla zona Champions (saranno cavoli di Napoli e Udinese). Domenica 13 maggio, Juventus-Atalanta e Milan-Novara. Conte servirà ancora per lo scudetto, ma sarà il caso che si sbrighi. Prendere o lasciare, il calcio è (anche) questo. La Juventus veniva da otto vittorie e aveva la nona in pugno. Ha dominato la partita per 94 minuti meno un tackle. Meglio in altre occasioni, come freschezza e lucidità. I nervi bollono, quando si scorge l’ultima curva, e gli alluci trepidano. Gestire tensioni e pressioni diventa un terno al lotto.

Ma ditemi: dove lo trovate un altro sport come il calcio; e come il calcio italiano, soprattutto? Le maglie stuprate di Marassi, Totti ostaggio della curva romanista all’Olimpico, la rissa di Udinese-Lazio e, fresca fresca, l’aggressione di Delio Rossi a Ljajic. Poveri noi, se perde la testa – e in quel modo, poi – anche un allenatore come il buon Delio.

Tutto, però, sfuma ai piedi di Buffon, anche il corpo a corpo dialettico che avvinghia Conte e Allegri. Non sarà facile pesare l’entità dello choc. Per fortuna, lo sapremo presto.

I due Vucinic

Roberto Beccantini29 aprile 2012

Otto vittorie consecutive, 23 gol fatti e la miseria di uno subìto. Dalla sera di Firenze, 17 marzo scorso, la Juventus ha cambiato passo, marcia, tutto. Il Milan è sempre lì, a meno tre, ma adesso sono tre anche le giornate che mancano. Al di là dell’esito finale, quanto vale, sul piano tecnico, l’imbattibilità della Juventus? Sarà la prossima Champions a certificarlo: se è pacifico che molto, moltissimo, si debba alla bravura di Conte, resta da fissare quanto c’entri la mediocrità del panorama.

Scritto che la passeggiata di Novara non ha spostato una virgola, e che la «menata» della terza stella ha titillato solo i tifosi, e per fortuna non tutti, oggi parlo di Mirko Vucinic. Se Pirlo è stato il confine del duello, indebolendo il Milan e rafforzando la Juventus, Vucinic è il ring sul quale non finiremo di scannarci. Domanda: è, in assoluto, da Juventus? Risposta: no. Va bene in «questa» Juventus, è grande in «questo» campionato che, estero su estero, mi sembra piccolo.

Il montenegrino ha classe da vendere, che discorsi, ma sette reti sono oggettivamente poche, anche dopo aver messo in fila i servigi richiestigli: pressing alto, allargarsi, favorire le incursioni dei centrocampisti, fornire assist. Mirko è il pendolo di Conte, con quell’aria da bandolero stanco che ora seduce ora irrita; sembra perennemente in vestaglia e ciabatte, pigro nel darsi, dimentico del taxi che ha prenotato e lo aspetta sotto casa. Un tipo così. Più che Boksic, ricorda il Bettega della maturità, punta o mezza punta a seconda delle esigenze. Sia chiaro: ricorda.

Senza la fionda di una Nazionale competitiva, la Juventus è l’ultima occasione per cancellare i troppi se e ma che, a 28 anni, continuano a frenarne la carriera. Fino a Firenze, Vucinic è stato un bicchiere mezzo vuoto; da Firenze a Novara, mezzo pieno. C’è chi lo chiama progresso, io lo chiamo limite.

Il lapsus del destino

Roberto Beccantini25 aprile 2012

Il gol di Borriello è un lapsus del destino: non tutti gli errori (di mercato) vengono per nuocere. E’ stata l’ennesima domenica strana di un campionato stranissimo, dove la Juventus non perde mai e da sette partite vince sempre; e dove il Milan, strafavorito alla vigilia, resta incollato alle ambizioni con le unghie dei suoi lungodegenti, da Boateng a Cassano. I due rigori consecutivi che Pirlo ha sbagliato tra Roma e Cesena sono, anch’essi, palline di roulette. A proposito: il braccio di Moras era un pelo fuori area; la parata di Nesta, viceversa, così plateale che solo un arbitro casalingo come Gervasoni poteva giudicare «involontaria».

Il Genoa è stato più aggrappato al risultato di quanto non lo sia stato il Cesena, sempre e comunque a mercé di uno dei Pirlo meno ispirati della stagione. Le svolte sono arrivate dalle panchine: Borriello, Boateng, Cassano. Molto può ancora succedere, visto quello che è capitato – e come, soprattutto – fra Barcellona e Chelsea, ma i punti di distacco rimangono tre e i turni, adesso, sono quattro. Nessun dubbio che la Juventus sia più in carne del Milan. A Novara, Conte dovrà scalare un muro non meno spesso di quello romagnolo. Sulla carta, dovrebbe essere più dura per il Milan a Siena. Ma la carta non sempre canta.

Sette vittorie consecutive, la Juventus di Conte ha eguagliato l’Inter di Ranieri. In compenso, a Udine, ho colto finalmente un po’ di Stramaccioni, Sneijder e Alvarez dietro Milito. Morale: due gol l’olandese e uno l’argentino (di destro). Per una volta, hanno tradito Handanovic e Di Natale. Cosa aggiungere sulla corsa al terzo posto se non che oggi, dopo le sconfitte di Lazio, Udinese e Roma, favoriti diventano Napoli e Inter? Arrivederci Roma, già. Luis Enrique sta arrivando «nudo» alla meta. Totti, come Del Piero, non è il problema né la soluzione. Il problema è la squadra: senza difesa, chiunque o comunque giochi.