Il fattore Ibra

Roberto Beccantini28 novembre 2011

Rispetto a un anno fa, il Milan ha due punti in meno e sei gol in più. Ha mandato a segno tredici giocatori, contro gli otto della Juventus, che nel girone di ritorno ospiterà a San Siro. Se confrontiamo le rose, non c’è paragone. Tanto che al mercato di gennaio dovrà muoversi più Marotta che Galliani: questo, almeno, suggerisce la logica. La Juve deve fare fronte all’esubero di esterni e attaccanti, nonché alla carenza di centrali difensivi e centrocampisti. Non ha soldi, dovrà prima vendere. Conte è sceso dal 4-2-4 per salire di corsa sul 4-3-3. La classifica si spiega con il gioco e la rabbia sprigionati da una formazione molto fissa, quasi tipo. Il vantaggio è un’onta: l’Europa negata. Si parla di Montolivo, classe 1985: ha colpi nascosti all’interno di una carriera troppo altalenante. Può giocare in tutti i ruoli del centrocampo, ma proprio per questo rimane in bilico fra l’eclettico e il generico. In Sud Africa, fu il meno peggio di una Nazionale eliminata già nella fase a gironi. Insomma: utile, non determinante. Ma di «determinanti» disponibili non ne vedo.

Al Milan piace Tevez: così dicono, così leggo. Se Cassano è perso per il resto della stagione, Allegri può sempre contare su Ibrahimovic, Pato, Robinho, El Sharrawy e Inzaghi. Non discuto il valore di Tevez: discuto la necessità di arruolarlo, tanto più che in Champions non sarebbe utilizzabile. Perché allora non Amauri, tutt’altro genere di punta, ma impiegabile ovunque?

A meno che Galliani non abbia paura della Juventus (ne dubito fortemente). O tema che, per la legge dei grandi numeri, prima o poi Ibra faccia flop. Perché sì, la differenza resta Zlatan. Nel 2004, la Juventus era arrivata terza: prende Ibra, due scudetti (poi revocati). Nel 2006, l’Inter era arrivata terza: prende Ibra, tre scudetti. Nel 2010, il Milan era arrivato terzo: prende Ibra, scudetto. Coincidenze? Io dico di no, voi?

Ho creato dei mostri

Roberto Beccantini24 novembre 2011

Qualcosa si muove. All’atto del sorteggio di Champions, si disse e si scrisse: Milan facile facile, Inter facile, Napoli difficile. L’impresa, per ora e sinora, è di Walter Mazzarri e del suo calcio all’italiana, capaci di mettere in riga il Manchester City, primo e solo in Inghilterra. Su Roberto Mancini, resisto e insisto: giocatore sottovalutato, allenatore sopravvalutato. Pochi possono permettersi di scrivere a Gesù bambino e trovare sotto l’albero, non necessariamente a Natale, tutti i balocchi invocati, da Dzeko ad Aguero. E comunque, mai uno in meno; al massimo, uno in più.

Il Barcellona resta di un’altra categoria. Lo ha dimostrato anche a San Siro. Giocatori e gioco: a volte, prima questo; spesso, prima quelli. Essere di un’altra categoria non significa essere imbattibili. Il mordi e fuggi del Milan era la ricetta giusta. La stessa che impiegarono il Chelsea di Guus Hiddink, eliminato al 91′ da Iniesta, e l’Inter di José Mourinho, le squadre che più e meglio hanno scombussolato i piani di Pep Guardiola. Oggi, il Barcellona è più sazio e Messi-dipendente di quanto non lo fosse la scorsa stagione. Oggi, il Real di Mourinho è la squadra più vicina. Il Barça è palla corta e ricamare; il Real, palla bassa e accelerare. Pittura, il Barça; scultura, il Real.

Per concludere, una nota di costume (?). Mercoledì notte, Sky ha intervistato i tifosi del Milan all’uscita dallo stadio. Tutti ragazzi, quasi tutti contro l’arbitro (Stark, tedesco). Ebbene sì, di una partita così lontana dai nostri pollai, così ricca di talento, così fertile di occasioni, avevano colto il fiore di un rigore generoso, oh yes, ma non certo scandaloso. Abbiamo creato dei piccoli «mostri», schiavi delle moviole dettate per telefonino dal papi in poltrona. Mi ci metto anch’io. Siamo al Boskov parodiato e rovesciato: «Tifoso fazioso vede sentieri, dove altri solo autostrade».

Piano con le sviolinate

Roberto Beccantini20 novembre 2011

Disturbo se parlo di calcio? Grande favorito resta il Milan. A Firenze ha giocato con lo specchio in mano per un tempo, e con la mano sul freno per l’altro. La terna gli ha tolto un gol valido e un paio di rigori: i ricchi non ci sono abituati. L’Udinese ha valori forti e una rosa piccola, difficile che possa reggere la sfida italiana senza lasciare qualcosa in Europa, o viceversa. Il Napoli sta pagando la politica del doppio binario, e a differenza del golosissimo Manchester City di Roberto Mancini va meglio in Champions: ma è un «meglio» che, temo, non basterà per accedere agli ottavi.

Gli arbitri hanno favorito l’Inter e danneggiato il Napoli: il Napoli di De Laurentiis contro la Lazio di Lotito, sai che libidine (ma no, era un modo di dire). E la Juventus? Non è più solo Pirlo, ed è tornata a essere anche di Buffon: buon segno. Il Palermo, a Torino, aveva vinto le ultime tre partite: gli mancava mezzo attacco e in trasferta non aveva (non ha) mai segnato. Aumentano le tracce di un gruppo che si batte giocando e gioca battendosi. Il Marchisio attuale mi ricorda un po’ Tardelli e un po’ Lampard: fende il traffico a testa alta e segna con una facilità disarmante. Non lo avrei mai detto.

Ribadisco il giudizio: con Inter, Milan e Roma non c’è mai stato problema, neppure dopo Calciopoli, al di là degli alti e bassi fisiologici. Altro discorso, i Palermo e i Napoli: è con loro che la Juventus dovrà cambiare marcia, per liberarsi del mio pronostico (sesto posto) e dei due lugubri «settimi» che ne avevano lacerato l’orgoglio; con il Palermo l’ha cambiata.

Lunga è la strada, e infestata di serpenti, di caimani. Antonio Conte sta facendo un lavorone. Non mi illudo e non ci scommetto ancora, ma un allenatore che sa adattare il proprio verbo alle esigenze e alle risorse, avrà sempre il mio rispetto.