Roma 2020, giusto così

Roberto Beccantini14 febbraio 2012

Giusto così. Sono altri i problemi, altre le priorità. Nel bocciare «con sofferenza» Roma 2020, Mario Monti ha pensato all’Italia reale, non all’Italia raccontata dalla propaganda. Vero, anche ai tempi di Cristoforo Colombo il mondo non se la passava granché bene, ma per quanto mi sforzi non riesco a scorgere Cristofori Colombi, oggi. E nemmeno un’America che non sia l’ennesima favola di un’Olimpiade a «costi zero».

Allarmato dalle macerie di Atene 2004, il presidente del Consiglio ha parlato di conti poco chiari e rischi troppo alti. Ci sono poi gli indizi: i Mondiali di nuoto, che la capitale organizzò nel 2009, hanno lasciato buchi imbarazzanti. La stessa contabilità di Torino 2006 non fu un inno alla premesse e, soprattutto, alle promesse. Nel calcio, ci sono stati rifiutati gli Europei del 2012, conquistati niente meno che da Polonia e Ucraina, e quelli del 2016, assegnati alla Francia.

Rimane la dura sostanza, e non la semplice forma, di un Paese sportivamente inaffidabile. Abbiamo una classe dirigente senza classe, o comunque incollata al rango, alla poltrona, al privilegio. Manca il ricambio, il no di Monti è la sconfitta della casta. Cito in ordine sparso: il sommergibilista Petrucci, il sandulliano Carraro, l’eterno Pescante – lui che, nel 1998, ebbe almeno la dignità di dimettersi da presidente del Coni dopo lo scandalo del laboratorio antidoping dell’Acqua Acetosa – l’incompetente Abete. Per tacere, passando alla politica tout court, di Alemanno e delle sue giostre di parenti-serpenti.

Siamo il Paese in cui persino la neve diventa di destra o di sinistra. Rinunziare a un’Olimpiade non significa degrado. Significa non millantare paradisi artificiosi. Un purgante al posto di una pozione stregonesca: altro non ci resta, visti i sacrifici imposti, e le imposte spesso allegramente sacrificate.

A sua insaputa

Roberto Beccantini12 febbraio 2012

Rinviati a giudizio. Il mio.

1) In casa, in vantaggio e con il contropiede a disposizione. Come ha perso l’Udinese contro il Milan? In contropiede.

2) Al di là degli episodi, ribadisco la bontà del mercato invernale di Galliani («a sua insaputa»): niente Tevez, una mina vagante; conferma di Pato, in attesa che recuperi; spazio a Maxi Lopez, un affamato, e a El Shaarawy, un talentuoso. Colpa, anche, di Moratti e dei suoi 25 milioni (?) pro City: Tevez era già del Milan, Pato già del Paris Saint-Germain. Ripeto: che autogol.

3) A Handanovic e Amelia «invertiti», avrebbe vinto l’Udinese.

4) Tutti avrebbero inserito Maxi Lopez, pochi però al posto di Nocerino (e non di Robinho): complimenti ad Allegri.

5) Meglio il rispetto del calendario, soprattutto se la squadra va bene (e la Juventus sta andando bene). Nessun alibi, però.

6) Da Novara a Novara, da Gasperini a Ranieri, da sette vittorie consecutive a un punto in quattro partite: l’Inter si è attorcigliata su se stessa, né Laocoonte, né serpente. Al netto dei pali e dei rigori vaganti, un disastro su tutti i fronti.

7) Novara-Inter sei punti a zero, tre Tesser, tre Mondonico, e poi i gol di Caracciolo, due soli: uno (con il Genoa) alla Juventus, uno all’Inter. Calcio, mistero senza fine: sul serio.

8) Le dimissioni di Capello non mi hanno sorpreso: era dal ko tedesco in Sudafrica che le covava. Fabio ha bisogno di sniffare campo tutti i giorni; e se non vince, si annoia (e annoia).

9) Manchester United-Liverpool, Suarez rifiuta la stretta di mano di Evra, al quale aveva dato del «negro» per ben sette volte, ricavandone una squalifica di otto turni. Gesto ripugnante. Mi auguro che il Liverpool lo sospenda.

10) «Houston, abbiamo un problema». Lo ha avuto anche Whitney. Pace alla voce sua. Mi mancherà tanto.

Soprattutto lui, ma non solo lui

Roberto Beccantini7 febbraio 2012

Le motivazioni della sentenza napoletana ci informano che il papa non fu ucciso, anche se qualcuno ci provò. Fuor di metafora, il campionato 2004-2005 fu regolare, anche se qualcuno – Luciano Moggi, soprattutto – cercò di alterarlo. Reato di pericolo, si dice in gergo, delitto a consumazione anticipata. Dalle 561 pagine che sto leggendo (impresa non facile, visto il pessimo italiano dello slang giudiziario), emergono tanti dubbi, uno su tutti: perché associazione a delinquere e non guerra per bande, dal momento che le indagini furono da un lato fin troppo coinvolgenti e dall’altro fin troppo trascuranti?

Le sim straniere a designatori e arbitri sono la linea di confine. Supportano le sentenze sportive, al di là dell’illecito ordito ma non realizzato: basta il tentativo, nel calcio (e non solo). Penalmente, viceversa, ci sono concreti margini per limare le condanne: i cinque anni e quattro mesi di Moggi, spiegati così, mi sembrano un’enormità. Se il principale imputato non ne esce bene, non ne esce bene neppure la Procura, visti i «cazziatoni» che affiorano. Insomma: qualora le intercettazioni fossero state meno orientate, nella rete dei processi, sportivi e non, sarebbero finiti altri pesci, e che pesci, da Carraro all’Inter, tanto per citarne un paio.

Al di là delle spiegazioni fornite, continuo a non capire come le responsabilità di Moggi, il cui potere è stato definito «esorbitante», possano risultare disgiunte da quelle della Juventus. A livello civile, ci arrivo (a fatica), anche se proprio questa cesura contribuisce a gonfiare i «muscoli» dell’ex dg fino ai confini dell’associazione, in onore della quale è stata riesumata perfino la Gea. Ma sul piano sportivo? In questo caso, lo sbarramento dovrebbe essere garantito dalla responsabilità oggettiva, sotto assedio da tutte le parti, Scommessopoli inclusa.