Credo che l’errore di Moratti sia stato Rafa Benitez: il suo esonero, ora è un anno, e non già la sua assunzione. Dopo la tripletta, chiunque avrebbe pagato pegno alla cassa di José Mourinho. I tifosi sono nostalgici. Gli interisti rimpiangono Mou, appunto, gli juventini Lippi, i milanisti Sacchi, i veronesi Bagnoli e così via. Benitez era una scelta panglossiana, il meno peggiore degli allenatori possibili in quel momento e per quelle esigenze. Un solo distinguo: era tecnico più da lotta che da governo. Aveva portato al successo cani sciolti come il Valencia e, in Champions, il Liverpool del Duemila. Per questo, avrebbe avuto bisogno di una società forte, presente, solidale.
Viceversa, per la prima volta nella storia Moratti non fece mercato, arrivando persino a vendere Balotelli. Evviva il financial fair play, ma insomma, non è che Benitez chiedesse la luna. Una Supercoppa di Lega e il Mondiale per club non bastarono a rendere fecondo il rapporto di coppia. Non discuto gli errori di Benitez, anche se conservo gli epinici dedicategli dopo Inter-Bari 4-0 del 22 settembre 2010: meglio la sua Inter di quella del Vate, addirittura. Ad Abu Dhabi Rafa alzò la voce, il padrone non gradì e così fu Leonardo: un seduttore, non un carismatico. E, soprattutto, un «non allenatore», mestiere che non ha mai avuto nelle corde; tanto che, archiviati il secondo posto e la Coppa Italia, mollò tutti per rifugiarsi nel castello del Paris Saint-Germain. Moratti gli aveva regalato, a gennaio, il mercato negato in estate a Benitez: Pazzini, Ranocchia, Nagatomo, Kharja.
Dopo Leonardo, una pila di nomi (Bielsa, Capello, Villas-Boas). Dopo la pila di nomi, Gasperini. Dopo Gasperini, Ranieri. Via Oriali, e sempre più potere ai giocatori, come una volta. Squadra a fine ciclo, urgenza di rifondazione. Nessun allenatore vale Eto’o: proprio per questo, tanto valeva tenersi Benitez. O no?