Totonno, il tessitore

Roberto Beccantini13 dicembre 2023

Di Antonio Juliano detto Totonno ricordo un gol al vecchio Comunale di Torino, la zebra di Nuccio Gauloise Parola contro il ciuccio di ‘o lione Vinicio. Una parabola arcuata, subdola, da vicolo più che da viale, che sorprese Zoff e innescò, a sua insaputa, i battiti di un «core ‘ngrato»: José Altafini. Era il 6 aprile 1975: finì 2-1, Juventus prima Napoli secondo.

Totonno, vezzeggiativo dialettale di Antonio, ci ha lasciato a 80 anni. E’ stato bandiera di Napoli e capitano del Napoli, come documentano le 505 partite e i 38 gol. Chiuse nella mia Bologna, sazio ma verticale, sempre. Ai ragazzi precoci e feroci di Instagram dico che era un regista, in senso classico, nella pancia di un calcio che la marcatura a uomo spremeva e scremava. Armonico e ormonico: nel corto e nel lungo. E il tiro, sant’Iddio: lo sentiva come un dovere, non come un fastidio. E occhio: nel suo acquario nuotavano i Mazzola e i Rivera. Ho reso l’idea?

Ha giocato molto e vinto poco (2 Coppe Italia). E’ stato campione d’Europa nel 1968, protagonista della semifinale con l’Urss e della prima finale con la Jugo. Ha raccolto spiccioli bellicosi da tre Mondiali: nel 1966, Mondino Fabbri gli risparmiò la fatal Corea preferendogli un Bulgarelli zoppo; nel 1970, Valcareggi lo sacrificò a Picchio De Sisti, salvo girargli una piccola mancia al posto di Bertini nella finalissima con il Brasile; nel 1974, «Uccio», ancora lui, lo bocciò a favore di Capello. Apriti cielo, in quel mese di «Azzurro tenebra» successe di tutto, la guerra tra clan, il vaffa di Chinaglia, Juliano sedotto e abbandonato.

Da dirigente è stato prezioso nell’avvento di Krol e fondamentale nell’operazione Maradona: se volete approfondire il tema, vi consiglio «Nel nome di Diego», libro scritto da Franco Esposito e Dario Torromeo. Da Napoli, le finte di Ferlaino. Da Barcellona, le trame di Juliano. Regista anche lì, soprattutto lì.

Sbadigli e artigli

Roberto Beccantini13 dicembre 2023

Sbadigli di Champions. Zero a zero a San Siro, e così: Real Sociedad prima, Inter seconda. La partita si dipana noiosa, con i baschi che per una quarantina di minuti nascondono la palla (anche a sé stessi, però), e la capolista che vive sulle sgommate di Thuram. Non chiedetemi dei portieri, e nemmeno di saette vaganti: briciole.

I dribbling di Kubo sono stati l’unico antidoto all’abbiocco. Strano, però, che proprio un nippo si rotoli per terra. Corretto il giallo varista: simulazione, altro che rigore. Se mai, qualcosa di molto serio aveva rischiato Cuadrado su Oyarzabal. Dall’entità del turnover non mi è parso che Inzaghino abbia cercato di vincere con la bava alla bocca. Già a San Sebastian non era stata una gita (1-1) e la Lazio incombe. Aver inserito Lau-Toro così tardi mi è parso un segnale. Che delusione, Alexis Sanchez. La Real di Alguacil: testa alta, tiki-taka felpato, pressing sussultorio. Il busillis riguarda la fase di tiro. I meriti di Achab-Acerbi e compagnia non si discutono. Ciò premesso, le cantere ispaniche continuano a sfornare un sacco di fini dicitori. Ma serpenti dal morso fatale, pochi. Meglio comunque loro, tra andata e ritorno.

** Napoli-Sporting Braga 2-0. Autorete di Serdar, su cross di Politano; raddoppio di Osimhen, gattonando, su passaggio di Natan (sic). Missione compiuta: qualificati e Maradona «espugnato» (l’ultima vittoria risaliva al 27 settembre: 4-1 all’Udinese). Per carità, i portoghesi sono scarsi: e quando non lo sembravano, ci ha pensato Meret. Per il resto: Napoli sempre in partita, e non dentro/fuori come in troppe occasioni; Osimhen dal pallone d’oro africano a una rete che fa morale; difesa vergine, al di là delle tentazioni e delle omissioni; Natan coinvolto e non più corpo estraneo. In attesa di Kvara, Mazzarri passa dai sospiri ai respiri. L’importante era metterci un cerotto. Messo.

Il duro muso

Roberto Beccantini12 dicembre 2023

Un livornese di Pisa: e già questo è un indizio. Il papà chirurgo: eccone un altro. E ben due lauree: ops. Giorgio Chiellini si è ritirato a 39 anni. Terzino di spinta, e poi stopper di spinte, brutto, sporco e cattivo nell’immaginario populista, la caccia a Bukayo Saka come manifesto riassuntivo di una carriera tutta bisturi, spigoli e turbanti.

Se per un attimo riesumiamo dalla polvere degli scaffali il vecchio motto di paron Rocco – «Una squadra perfetta deve avere un portiere che para tutto, un assassino in difesa, un genio a centrocampo, un mona che segna e sette asini che corrono» – penso che non sia poi così difficile individuare il ruolo di Chiello.

Primi calci (senza secondi fini) in terra labronica, quindi Firenze e infine Juventus, 17 anni, con la vacanze americane di Los Angeles a stemperare la retorica. Perno, tra Barzagli e Bonucci, della Bbc contiana. Muso duro del corto muso di Allegri, il sinistro ora scalpello ora martello, gli speroni come baionette, il naso adunco a indicare arrembaggi e saccheggi. Antico e moderno, segnò al Barcellona di Messi, Neymar, Suarez e Iniesta; firmò il gol inaugurale dell’era Sarri; si avvinghiava, si aggrappava, d’anticipo o a rate, Marine in perenne missione. Masticava gli attimi, non si chiudeva a chiave: e da terra – quando ci finiva, complice – sbirciava il panorama delle tibie con l’occhio del corsaro pago ma curioso.

Ha vinto e rivinto molto. Gli mancano la Champions e il Mondiale; non però l’Europeo. Chiellini stopper, Bonucci libero: una coppia di fatto, e di fatti, che ci ha accompagnato per un sacco di tempo e di polemiche, tranne quando vestivano azzurro, colore che da sbirri feroci li trasformava in premurosi caschi blu.

Non ballava sulle punte. Se mai, sulle «punte» bivaccava, più vampiro che elzeviro. A uomo o a zona, da Deschampas a Mancini: un guerriero. Steve Jobs raccomandava: «È meglio fare il pirata che entrare in Marina». Giorgio detto King Kong è stato un pirata della Marina.