Il Conte Max

Roberto Beccantini29 ottobre 2024

Lontano dal circo di Inter-Juventus 4-4, il Conte Max lascia il possesso a Fonseca e si prende il risultato, che non sarà tutto ma siamo lì: Milan-Napoli 0-2. E la capolista se ne va. C’era una volta Verona. Da quel giorno, il «primo», otto vittorie e un pari. E che non si sappia in giro: la miglior difesa (con Madama). Il Milan era spolpato, tra infortuni e squalifiche: persino Pulisic (sino, almeno, al 62’: quando, ormai, incombeva la sentenza). Si è notato. Al Napoli, mancava «Robotka»: si è notato di meno.

La partita. Dieci minuti made in City, Gilmour, McTominay e Di Lorenzo appendono il Diavolo al muro. E già al 5’, Lukaku: servito da Anguissa, spallata a Pavlovic (peso massimo contro peso massimo, alla vigilia – toh – dei 50 anni di Rumble in the jungle) e jab sinistro. Dopodiché: un passo indietro, tutti, in attesa degli eventi. Il Milan è un aeroporto senza torri di controllo, e con check-in troppo fragili (penso alla coppia Pavlovic-Thiaw). Si protende, attacca, crea vortici, da un paio di errori in uscita ricava golosi pertugi, ma Musah non ha il radar ai piedi.

Morata fa tutto, tranne quello che dovrebbe fare e che nessuno, al suo posto, riesce a fare: il centravanti. E così, naturalmente, raddoppia ‘o Napule: 43’, Kvara (fin lì «anche» terzino, come Politano) molla la fascia, si accentra e, di destro, infila un Maignan non più onnivolante. Georgia al governo.

Gioca, Okafor, come giocava l’ultimo e il penultimo Leao (che entrerà, pure lui, al 62’, materia per l’ennesimo dibattito sulla fuffa). Meret para quello che deve, un ginocchio di fuorigioco cancella, a Morata, il gol della scossa. Il Conte Max, da parte sua, toglie la «Lu-Kva», inserisce Mazzocchi, passa a cinque, sigilla ogni spiffero (fidatevi: il Buongiorno si vede anche dalla sera) e lavora di transizioni. Personalità e solidità. Daranno la colpa a Fonseca. Ci è abituato.

Esausto da Rotterdam

Roberto Beccantini27 ottobre 2024

Elogio della follia: da Rotterdam, Erasmo starà brindando. Da Coverciano, un po’ meno. E fra le nuvole (Brera, Frossi), non vi dico i moccoli. Inter-Juventus 4-4. Il fanciullino pascoliano che è in me sta strillando. Ve la spiegheranno, io non ci riesco. Difese allegre – molto allegre, se è per questo – ma per una volta il derby d’Italia non ha annoiato né avvelenato.

Non si può non partire dal tabellino, bussola indispensabile: 15’, 1-0 rigore di Zielinski (fallo di Danilo su Marcus Thuram); 20’, 1-1 di Vlahovic (bel ricamo Cabal-McKennie); 27’, 1-2 di Weah (da una fuga e toccata di Conceiçao-Garrinchao); 35’, 2-2 di Mkhitaryan (uno-due, splendido, con Marcus); 38’, 3-2 rigore bis di Zielinski (calcio di Kalulu a Dumfries); 53’, 4-2 di Dumfries (da angolo); 72’, 4-3 di Yildiz (palleggio, arresto, tiro); 82’, 4-4 di Yildiz, ancora (da un lancio del Portoghesino).

Al di là delle assenze (pesanti per Inzaghi, pesantissime per Thiago), o forse proprio per questo, è successo di tutto. Ha deciso un turco, sì. Ma non Calha, che non c’era. Yildiz: che è entrato (con Mbangula, fuori Vlahovic: uffa, Motta). Se gioca Danilo (al secondo penalty consecutivo) e Gatti (da capitano alla panca) raccatta solo spiccioli, ci deve essere per forza qualcosa. Perché sì, i resti di Madama sono stati più incisivi e decisivi delle staffette interiste.

Sul 4-2, Di Gregorio ha evitato che l’Inter scappasse oltre: su Dimarco, su Barella. Cinque occasioni, non una di meno. Il confine, eccolo. Una squadra satolla; e una che doveva farsi perdonare l’onta dello Stoccarda. Caduto è un muro (persino Kalulu, lui quoque), non la caccia a un gioco che possa reggere anche contro i pesi massimi (soprattutto se distratti). E mai Madama ha tirato come oggi. Immagino Inzaghino, tradito da Lautoro: il risultato è l’unica cosa che Conte (non è mia, porca vacca).

Soffrendo e cambiando

Roberto Beccantini23 ottobre 2024

Tacco di Lautaro, cross di Dimarco, zampata di Thuram. Era il 93’: Young Boys-Inter 0-1. Tre titolari sguinzagliati sul più brutto: c’è chi può. L’idrante del gol spegne i dibattiti sul turnover di Inzaghino, «omaggio» alla Juventus di domenica (ma non certo a quella di ieri). La Champions è come il West: le sparatorie possono crepitare ovunque. Anche sul sintetico di Berna, perché no. I Giovani Ragazzi le avevano buscate da Aston Villa (0-3) e Barcellona (0-5). Ci hanno dato dentro, hanno creato pericoli, hanno colpito un palo con Monteiro. Mai domi. Mai succubi. Ma senza quel popò di risorse in panca.

Già provvidenziale su Bisseck, Von Ballmoos aveva addirittura murato un rigore ad Arnautovic, frutto di una sbracciata di Hadjam a Dumfries, due tra i più ficcanti. Barella vice Calhanoglu, emergenza di lusso. Di Taremi si ricorda il tacco per Bisseck. Di «Arna», il penalty e poco altro. Dimarco aveva avvicendato Carlos Augusto, infortunato. Non riesce a sbloccarsi Zielinski, al quale la trama aveva offerto una delle occasioni più limpide. La sofferenza del campo è stata lavata e sanata, non tanto dal «giuoco», quanto dai giocatori.

** Atalanta-Celtic 0-0. Venivano, gli scozzesi, dall’1-7 di Dortmund. Brendan Rodgers ha alzato un «bloque bajo» da provetto muratore. La Dea ci ha provato, non con il coltello fra i denti: la traversa di Pasalic, i tuffi di Schmeichel e gli errori di mira (del croato, in particolare) hanno scheggiato ma non sabotato il dominio territoriale. Né sono bastati i rinforzi: De Ketelaere, Samardzic, Zaniolo, persino Cuadrado. Alla distanza, il ritmo è calato e le zanzare di Glasgow, fastidiose, hanno pizzicato la ciccia dei rivali. Sono mancati, al Gasp, Lookman e Retegui, prigionieri di gabbie munite. E’ il secondo 0-0 casalingo, dopo quello con l’Arsenal.