Come non detto

Roberto Beccantini23 April 2025

Il Parma di Chivu aveva battuto per 2-0 il Bologna di Italiano e rimontato due gol all’Inter. Dunque, l’1-0 alla Juventus non può e non deve sorprendere. Nonostante le perdite, già al 10’, di Vogliacco e Bernabé. Non un segno di cedimento. Non un cenno di patteggiamento. Alla prima sconfitta del suo «traghetto», Tudor-Tutor farà bene a meditarci su. Senza le bollicine di Yildiz, uno stagno. E, in difesa, si continuano a beccare gol di testa (già dieci): era il 45’, quando Valeri ha pennellato da sinistra e Pellegrino, centravanti argentino di garra e spada, anticipato Kelly e incornato in bellezza. Sotto gli occhi di Crespo, che illustrò il Tardini non meno del Thuram in tribuna.

Così, la zona Champions diventa sempre più una lotteria. Il Parma di Bonny e Leoni (nomen omen) ha fatto la sua partita, di agguati e di morsi. Madama non si è alzata dai blocchi come a Roma e con il Lecce. Temeva, probabilmente, le transizioni degli avversari. Morale della favola: io la passo a te, tu la passi a me, Kalulu che scende sulla destra, Nico che si accentra, zero scintille, zero tiri, zero parate di Suzuki.

Male la coppia Kolo Muani-Vlahovic. Il francese, a venire incontro; il serbo, a perdere ogni scontro. McKennie e Cambiaso giravano al largo, se non in folle, e la rifinitura, in generale, risultava monca. Anche perché i dirimpettai blindavano i valichi e resistevano ad attacchi oggettivamente barbosi e fumosi.

Tardivi, i cambi del croato. Sul piano tecnico, una partita modesta. Ma a questo punto della stagione i giudizi estetici sono piume al vento. Conta ben altro. Il Parma ha fatto il dover suo. Chivu l’ha rialzata e aggiustata. Pellegrini è il maglio che mancava. La Juventus, in compenso, è ricaduta nel vagabondaggio tattico che aveva ingessato Thiago. All’impatto di Igor, molti avevano colto clamorosi cambiamenti. Beati quei molti.

Vaghe stelle dell’Orso

Roberto Beccantini20 April 2025

Le Pasque di Bologna e Inter sono sempre al sangue (e, per fortuna, mai «di sangue»). Questa, l’ha risolta Orsolini, in mezza rovesciata, al minuto 94. Orsolini, un cambio. Come Bisseck, che aveva sbucciato la palla del cross, con le treccine, offrendola al suo sinistro. E allora: aggancio al vertice (Inter e Napoli 71) e sorpasso in zona Champions (Bologna 60 e Juventus, in attesa di Parma, 59).

La gloria pesa. E i campioni, senza Dumfries e Thuram, venivano dalla battaglia con il Bayern, senza Musiala e «Kompany». La partita è stata ispida, sporca, equilibrata, con poche occasioni e una gran tonnara ovunque (e comunque). Italiano, espulso al pari di Farris, è un «dentista» alla Gasperini, avanti di pressing e di trapano. Ha costretto l’Inter a togliersi lo smoking alla James Bond e infilarsi la tuta alla Cipputi. Sono state le staffette a forzare il destino. In particolare, Cambiaghi e l’Orso. Aveva perso a Bergamo, il Bologna, a rimorchio di un inguardabile Lucumi: di botto, tra i migliori in campo.

Se al Dall’Ara il Napoli di brontolo Conte aveva sofferto e pareggiato, a Monza, ieri, sembrava ancora succube pallido e pavido dei sermoni del suo tecnico. Mancano cinque giornate e il calendario costringe Inzaghino, fin da mercoledì sera (derby di coppa, da 1-1), ad assorbire in fretta la rabbia e voltare pagina ancora più in fretta. Poi la Roma, poi il Barça.

Canta Napoli, canta Bologna al ritmo di Lucio Dalla e del rock di Italiano, tre finali con la Viola e il viso patibolare del falegname di emozioni, oltre che di erezioni. L’aveva studiata bene, e l’ha realizzata meglio. L’Inter è calata di netto nell’ultimo quarto d’ora, sulle ceneri di una carica di Lautaro a Ravaglia. Certo, Correa titolare e Arnautovic in panca fanno sempre impressione. E naturalmente: Bologna da Champions.

Resistere, resistere, resistere

Roberto Beccantini16 April 2025

Ancora Barcellona e Inter in semifinale, dunque: come l’anno del triplete di Mou. Dopo il 2-1 in Baviera, la squadra di Inzaghino strappa un 2-2 non meno tribolato, non meno guerriero. Tra pioggia, vento e lampi (in campo). La Champions sa essere spietata, non sempre bacia il possesso (63% a 37% per i «crucchi»): bada al sodo, corteggia gli episodi. E il cuore.

Il simbolo è stato Lautaro. Pasta di capitano. Non solo per il gol: per tutto. Kompany rendeva ancora fior di titolari, Musiala in testa, e ha cominciato requisendo il pallone. Con il catenaccio dell’Inter ad assorbirne il torello, e il contropiede ad agitare le onde, appena possibile.

Si aggirava, Kane, come una cartolina a sé stesso. D’improvviso, al 52′ o giù di lì, un destro alla vecchia maniera, in anticipo su Dimarco. Ops. Ma ecco la reazione, fulminea come martedì scorso, quando il Bayern cominciava a pensare, immagino, alla finale nel salotto di casa. Due angoli (di Dimarco, di Calhanoglu), la zampata del «Toro» (che mai avrei tolto) e la capocciata di Pavard, un ex.

Ari-ops. Fatta? Kimmich, Laimer e Olise (a differenza di Sané e Goretzka) hanno ripreso a premere, pirati barbosi ma cocciuti. Il pari aereo di Dier, pilotato da Eolo, apparecchiava un epilogo bollente, scabroso. I cambi (Gnabry, Coman) davano spinta. Sul fronte opposto, Thuram boccheggiava e Bastoni, stremato, usciva. Dalle parti di Sommer fischiavano cross, si accendevano bolge e candele. Il Bayern è il Bayern, dalla difesa un po’ così ma dalla benzina che non finisce mai.

Da qui a maggio, ogni sfida moltiplicherà il concetto di battaglia, già domenica di Pasqua a Bologna e poi mercoledì con il Milan di coppa (da 1-1). Battaglie, ma anche stimoli. Perché essere in lizza su tutti i fronti, unica italiana, questo comporta: soffrire e sognare.