Per usare un lessico tristemente di moda, non ci avrei scommesso un euro. Juventus prima con il Milan e unica squadra imbattuta. La scorsa stagione, dopo sedici partite, tutte ne avevano già perse almeno un paio. E la classifica era questa: Milan 36, Juve, Napoli e Lazio 30, Palermo, Roma e Inter 26, Udinese 23. Oggi, invece: Juve e Milan 34, Udinese 32, Lazio 30, Inter 26, Napoli e Roma 24. L’andatura è più lenta e la «testa» più corta: solo Juve e Udinese si sono migliorate. La sosta natalizia cela non meno insidie di quanto il mercato di gennaio non nasconda illusioni.
Si diceva di Conte: è un fissato del 4-2-4. Negativo: ha smontato e rimontato il modulo fino a sbagliare, quando ha sbagliato, per eccesso di zelo. A Udine, per esempio, avrei confermato il 4-3-3 e affiancato Quagliarella a Matri. Il totem con il quale tutti dovranno misurarsi è Zlatan Ibrahimovic. Siamo alle solite: il tenore contro l’orchestra, il solista contro il coro. Attenzione a Inter e Roma: zitte zitte, stanno risalendo la china. Ranieri prima o poi calerà l’asso Sneijder; Luis Enrique, come Conte, non ha zavorre europee che possano fiaccarne le guarnigioni.
In regime di tre punti per vittoria, l’imbattibilità è pericolosa. Può portare a inconsci appagamenti: la Juve ha già pareggiato sette volte. Troppe. Favorito, resta il Milan: sai che scoperta. La Juve avrebbe bisogno di un centrale difensivo, di un Behrami in mezzo e di un Ibrahimovic in attacco (di un Ibra, non di un Borriello). Galliani prenderà Tevez o Maxi Lopez: beato lui. Gira e rigira, la Juve di Del Neri aveva solo quattro punti in meno. Cominciò a crollare alla ripresa, fra Parma in casa e Napoli fuori. Perse Quagliarella, smarrì Krasic: buona notte. Conte ha costruito una squadra vera. Dopo le vacanze, la Juventus volerà a Lecce, dove a febbraio conobbe una delle più cocenti umiliazioni.
Insomma: tanto tuonò che pioverà.
Gentile ju29ro, proprio il suo sito mi fece perdere tempo, a suo tempo…, perché insisteva con lo scrivere che Telekom avesse distrutto le telefonate che compromettevano l’Inter. Invece c’erano. Sarebbe bastato presentarle al processo sportivo. Solo che eccetera eccetera.
X il Beck – Vedo che è rimasto abbastanza affascinato dal presunto buco investigativo dei CC in occasione del pranzo fiesolano dei Della Valle mentre mostra molto meno interesse per quello sulle schede svizzere. A lume di naso, mi creda, gli investigatori avrebbero avuto meno difficoltà ad eseguire intercettazioni telefoniche sulle predette schede svizzere di quante non ne avrebbero dovuto affrontare per eseguire inindagini ambientali nel ristorante senza rischiare di compromettere la riservatezza delle indagini stesse. In un mio precedente post, al quale lei mi sembra non aver dato molta importanza, mettevo in evidenza come sarebbe stata sufficiente una telefonata dalla quale risultassero contati diretti fra Moggi e qualche arbitro, per confermare, irrimediabilmente per la difesa, il castello accusatorio. Evidentemente qualcuno ha ritenuto di poter fare a meno di questa telefonata, che sarebbe stata una prova inconfutabile, preferendo portare a sostegno delle proprie tesi solo indizi costituiti da contatti telefonici tutti da accertare e poter liberamente pescare nel torbido delle presunzioni. D’altra parte, se venisse smontata anche la presunta rilevanza processuale delle schede svizzere, cosa rimarrebbe alla accusa?
ma se umberto agnelli è pres di figc e juve,la polizia è comunque libera di indagare su di lui…se qualche società comanda procure e intercettazioni,gode dell’immunità totale.un presidente dovrebbe fare solo quello di lavoro,e non avere altre aziende..
Gentile ju29ro, i conflitti di interesse ci sono sempre stati, pensi quando un arbitro, in maniera assolutamente legittima, acquistava una Fiat. O Umberto Agnelli fu presidente della Juventus e presidente della Figc. Pensi a Berlusconi, alla politica,alle televisioni.
finchè ci saranno tutti questi conflitti di interesse ed intrecci (vedi inter-telecom) ci saranno sempre veleni
Grazie, signor Ju29ro.
CALCIOPOLI
Un processo costruito sul falso
Serve un’indagine sull’indagine
Telefonate scomparse, misteri irrisolti: le rivelazioni dell’investigatore pentito al
«Corriere dello Sport» obbligano a riscrivere la storia dello scandalo dell’estate ’06
di GIGI MONCALVO (Libero 27-12-2011)
La clamorosa intervista di Edmondo Pinna, pubblicata sul “Corriere dello
Sport” di venerdì – sicuramente la prima di una serie di prossime puntate -
apre nuovi scenari sul retrobottega delle indagini, condotte in una sola
direzione, riguardanti “Farsopoli”. Pinna ha intervistato uno dei “magnifici
dodici” del gruppo di investigazione. Finalmente, per gli amanti della verità,
arriva una importante conferma di come tali indagini sono state fatte. È un
racconto da brividi poiché, se questi sono i metodi di investigazione, chissà
quanti innocenti sono in galera o sono stati condannati, quanti malfattori
gongolano, e quanti colpevoli di reati ben più gravi, importanti e dannosi di
quelli di “Farsopoli”, l’hanno fatta franca.
Primo dato. In via dei Selci a Roma, sede del Nucleo Investigativo dei
Carabinieri, una delle strutture che in genere conduce le indagini più
delicate di tutta Italia, lavorano 60 investigatori. Per lunghissimo tempo,
nell’arco di qualche anno, dodici di questi uomini – un quinto dell’intero
organico -, cioè ufficiali, sottufficiali e agenti di polizia giudiziaria sono
stati destinati a occuparsi di “Farsopoli”. Nel paese certo c’erano indagini
ben più importanti da svolgere. Ad esempio, nel 2006, quella sullo “strano”
spoglio delle schede che a tarda notte aveva capovolto, per poche migliaia di
voti, il risultato delle elezioni politiche consegnando a Romano Prodi il
governo della nazione. Ma evidentemente il “capo” politico dei carabinieri,
cioè il ministro della Difesa Arturo Parisi, molto amico di Prodi, portò una
ventata di “aria nuova” agli alti comandi di viale Romania. Un’aria che scese
giù per li rami fino ad arrivare ai gradi inferiori. Il problema più rilevante,
dunque, è questo: chi ha fatto in modo, e dato ordine, che quell’inchiesta
diventasse prioritaria e assorbisse così tante energie di uomini e mezzi? Tale
scelta ovviamente non va attribuita ai carabinieri, ma – oltre al superiore
livello politico – anche ai magistrati di Napoli che avevano ordinato un certo
tipo di inchiesta agli uomini in divisa.
I magnifici 12
C’è un secondo aspetto. La “filiera” al vertice dei “magnifici 12
investigatori della squadra Off-side” era composta, in ordine gerarchico
decrescente, dal tenente colonnello Giovanni Arcangioli, il maggiore Attilio
Auricchio, e infine il maresciallo capo Michele Di Laroni, braccio destro di
Auricchio. Furono questi ultimi due a dare all’inchiesta in nome in codice
“Off-side”. Un giornalista della “giornalaccio rosa”, Maurizio Galdi, inviato in pianta
stabile al processo di Napoli, scrisse: «Off-side perché il desiderio è di
mettere in fuorigioco l’intero sistema calcio. Sono gli unici a sapere ciò che
sta succedendo, per due anni vivranno nell’ombra, mimetizzandosi». Tanta
enfasi e tali tinte eroiche su Auricchio e Di Laroni forse erano dovute al
fatto che il maresciallo fece addirittura ricorso contro una multa presa dal
giornalista. Dato che si scoprì che il reporter era, fin dall’inizio delle
indagini, un collaboratore dei carabinieri. E quindi non si trovava nelle
migliori condizioni di obiettività per scrivere su quel tema. Anche se, di
certo, riceveva soffiate unidirezionali per dar corpo a un certo tipo di
teorema accusatorio. Ma su di lui, né l’Ordine dei Giornalisti, né la
direzione del suo giornale, ha mosso un dito…
Copertura dall’alto
Dall’intervista dell’investigatore “indignato”, e col voltastomaco,
protagonista del racconto al “Corriere dello Sport”, emergono altri dati
preoccupanti: quando viene avviata un’inchiesta, che ha una forte “copertura
dall’alto”, poi accade che a prendere il sopravvento siano due o tre elementi
della squadra investigativa che condizionano il lavoro di tutti e, valendosi
del loro grado, ne possono combinare di tutti i colori raccogliendo materiale
che poi determina processi falsati. Bastano un paio di inquirenti in mala fede
e si arriva a tutto tranne che alla la ricerca della verità, badando solo a
compiacere la direttiva arrivata, oppure a procurare vantaggi a coloro cui fa
gioco quell’indagine.
C’è ad esempio, la notizia di incrinature al vertice: il responsabile delle
indagini, Arcangioli, ha firmato solo la prima informativa dei carabinieri e
non la seconda, quella sul Milan. Dimostrando che non condivideva il lavoro di
Auricchio e Di Laroni e non si voleva assumere la responsabilità delle loro
“conclusioni”. Ma allora perché è rimasto al suo posto? Arcangioli arrivò “ai
ferri corti” con Auricchio: considerava giustamente inopportuno andare avanti
con un’indagine che non portava risultati, che appariva debole e senza
riscontri, nonostante impegnasse una buona parte dell’organico della caserma.
Com’è possibile che, nonostante l’aperta dissociazione del suo superiore,
Auricchio poté continuare le indagini “a modo suo”? Su quali
“protezioni”poteva contare?
Andiamo avanti. «Tutte le sere si facevano le riunioni a fine servizio.
Attorno ad un tavolo», e ognuno parlava dei risultati dello spicchio di
indagini o intercettazioni a lui affidate, dice l’investigatore intervistato.
«Le telefonate dell’Inter? Che ci stavano si sapeva…». Si faceva il punto,
ma alla fine erano «Auricchio e Di Laroni che decidevano cosa mettere o non
mettere nell’informativa». A loro completa discrezione. . . Ogni telefonata
intercettata veniva inserita nel brogliaccio e, per capirne la rilevanza prima
di trascriverla o meno, si indicavano tre “baffetti rossi” col pennarello
accanto ad essa, se era considerata importante. Come mai molte di queste
telefonate con i baffetti rossi non sono finite nell’inchiesta? «Evidentemente
non ci dovevano andare (….). So soltanto che quello che veniva fatto, veniva
fatto per costruire. Poi io ti porto il materiale, t’ho portato il mattone ma
se tu non ce lo metti, ’sto mattone..». E Auricchio e Di Laroni hanno evitato
di mettere molti mattoni…
Ecco spiegato perché certe intercettazioni non sono finite nell’inchiesta,
anche se le telefonate «c’erano perché ci sono le registrazioni ». Ma di
spiegazione ce n’è un’altra, inquietante: «La cosa un po’ anomala è il server
delle intercettazioni. È in Procura, a Roma, a Piazzale Clodio. Quando c’era
qualche problema, e capitava spesso, telefonavamo a chi era in Procura:
“Guarda, la “Postazione 15” qui non funziona, che è successo?”. “Vabbé adesso
controllo….”. Dopo un po’ richiamavano da Piazzale Clodio: “Ti ho ridato la
linea, vedi un po’”. Andavi a controllare, magari avevi finito alla telefonata
250 e ti ritrovavi alla telefonata 280. E le altre 30? “Me le so perse.. . ” ».
Chi contattava il responsabile del server a Piazzale Clodio? «Non ci parlavamo
solo noi, c’era anche il responsabile della sala. Ci parlava Auricchio, ci
parlava Di Laroni… ». E ancora: è tecnicamente possibile non intercettare
un’utenza sotto controllo per un determinato periodo di tempo?
«Tranquillamente. Tu stacchi il server e la cosa si perde». Questo fa pensare
che c’erano altre orecchie in ascolto, magari in un palazzo di Milano. E
quando sentivano certe cose, o si accorgevano dei numeri di appartenenza di
chi stava chiamando o rispondendo, staccavano il server e impedivano anche ai
carabinieri di registrare…
Orecchie tese
Insomma, intercettazioni selezionate e pre-selezionate. Sia alla fonte, in
origine, straccando il server. Sia dopo, evitando di farle trascrivere. Con
una ulteriore appendice molto italiana o napoletana, a detta
dell’intervistato: cenette a Napoli, da “Zi’Teresa”, con Auricchio e
Arcangioli con uno dei pm dell’inchiesta. L’investigatore non fa il nome
dell’ex pm Beatrice, che già si era smarcato dichiarando che fino al 2009,
prima di passare ad altro incarico, non conosceva quelle telefonate ritrovate
dalla difesa di Moggi. Sugli “altri personaggi” delle cenette, il “Corriere
dello Sport” ci darà certo ragguagli. Così come il bravissimo Pinna (mi
raccomando, occhio a non parlare al telefono…) ci dirà quanti caffè presero
insieme Auricchio e Baldini, per esempio, perché i numeri che hanno dato nelle
loro risposte in aula non combacia. A questo punto – come da anni afferma
ju29ro (juventino vero. com), la punta di diamante dell’informazione su
“Farsopoli”, «solo una “indagine sull’indagine” potrà cercare di dare le
risposte a molte domande su tanti fatti poco chiari e chiariti, anche perché
chi dovrebbe fare informazione cercando la verità e facendo indagine si è
invece accontentato di chiedere ad Auricchio, dopo la sentenza, se avesse
“stappato lo champagne?”. Buchi rosa e buchi neri, ma da oggi un po’ meno
neri».
Ju29ro: in che senso, scusi, “accuse più coraggiose su Milano?”. Grazie.
no :-D,si pone più o meno i suoi stessi interrogativi,ma fa accuse più coraggiose su milano.
Grazie della segnalazione, signor ju29ro. Immagino un feroce attacco alla Triade…