Devo essermi perso un passaggio. Avevo scritto che avrebbe chiuso la Clinica, non la Juventus. Mi sbarazzo subito della zavorra, gloriosa o rimasticata che sia: l’assenza dei totem (Pirlo, Tevez, Vidal), gli infortuni (da Marchisio a Khedira, soprattutto), il calendario (nulla è perso, anche se le prime due, nella storia, la Juventus non le aveva mai perse).
Il problema è stato il modo di porsi, e qui gli alibi sfumano come i titoli di coda dei telefilm. La Roma ha preso i campioni per il bavero e li ha dominati/controllati fino al rosso di Evra: il rigore sfilato a Florenzi, il palo di Pjanic, i gol di Pjanic e Dzeko, le parate di Buffon. Tanta roba. Poi, per carità, con un portiere meno scattante di Sczcesny, ci sarebbe potuto scappare persino il due a due, ma solo i pazienti più talebani possono aggrapparvisi.
E’ stato come passare da quattro anni di Renzo e Lucia (Lisander Manzoni, modestamente) a un mese di Renzi e Madia: semplificare l’amministrazione del gioco con Padoin e un catenaccio così passivo proprio il massimo non è. Non si tratta di spargere allarmismi a buon mercato ma, semplicemente, di essere realisti. Si sapeva di Dzeko: occupa quel ruolo di centravanti che Garcia e Sabatini avevano espulso dalle lavagne. Non si sapeva, viceversa, di De Rossi centrale difensivo, affinché l’azione cominciasse dai suoi piedi, e di Totti escluso per la seconda consecutiva dalla formazione e dei cambi. Complimenti, Garcia.
Si guardava a Roma-Juventus come al righello per misurare le distanze residue. Scomparse, letteralmente. Se non, addirittura, rovesciate. Alla Roma è mancato l’ultimo passaggio; alla Juventus, tutto. E quando manca tutto, specialmente là dove il gioco deve nascere, non c’è cerotto che tenga, da Cuadrado a Pereyra. Allegri dovrà lavorare sulla tattica, sulle teste, sui nervi. Mirare su Padoin è come sparare sulla Croce Rossa, ma l’ultimo Pogba mette paura. Isterico, come la squadra, impreciso. Ha 22 anni, nessuno gli chiede la luna, anche se dicono che valga già cento milioni: gli si chiede di dare una mano, e non, possibilmente, di farsela dare.
Il 4-3-3 della Roma, alimentato dai tocchi di Pjanic e le sgommate di Nainggolan, ha schiacciato la Juventus fino al limite dell’area, costringendola a un 5-3-2 di pacchiana memoria. Nulla contro il catenaccio, a patto che non diventi una spugna. Sono rare le scialuppe alle quali aggrapparsi: il golletto di Dybala, le scintille conclusive, scintille più di orgoglio che di manovra, le parabole dei calci d’angolo, non più ad altezza stinco (e pure qui, bravo Dybala). Ma la notizia più bella riguarda la chiusura del mercato. La dedico ai palpeggiatori di trequartisti, ai consumatori di prestiti onerosi (o riscatti onerosi? bo’), a quelli che sfogliano in bagno i siti della Gazzetta, nella speranza che i suoi esperti tolgano i veli al Draxler di turno. Chi scrive, si sarebbe accontentato di un Cigarini: per avvicendare e liberare Marchisio.
Ho colto anche un deficit atletico, come se la scadenza di Shanghai avesse condizionato le tabelle del signor Mister. Quando, viceversa, la Supercoppa avrebbe dovuto costituire una tappa, non un traguardo. Alla ripresa del campionato, mi butterei sul 4-3-1-2, con Pereyra dietro a Morata e Dybala.
Lo zero della Juventus in classifica rappresenta l’indizio di un campionato diverso. Non tradisco il pronostico, anche se era da tempo che non vedevo una Juventus così schiava di Roma. Ma il mercato chiude, e io festeggio lo stesso. Chi vuole favorire?
Rico ci saluti Cusin!
Gli dica che siamo tutti con loro…
Poi la leggo che ora non posso.
Saluti.
Ecco cosa mi fa odiare i Gobbi: la pervicacia nel negare quello che è accaduto , la assenza di indignazione( nei tifosi) e la mancanza di autocritica in una società sempre dentro alla fogna dell’illegalità. Avrebbero potuto rimettere la loro coscienza in gioco se solo avessero usato le sentenze di calciopoli per darsi una ripulita, una svolta netta ed inequivocabile nel loro cammino. Ma l’illegalità l’hanno dentro il DNA, sono marci geneticamente e non sanno di esserlo. E non si accorgono di essere odiati in patria e disprezzati e dileggiati all’estero. Sono come dei barboni che vivono nella merda e non ne sentono più il puzzo.
Ovvio che il sistema di connivenze con la categoria dei giornalisti sportivi, la più miserabile del pianeta, li difenda e cerchi di ribattere con delle parole prive di senso , di logica e di lucidità.
Per noi la cosa importante è sapere di non essere come loro.
Rico dopo la sua dotta esposizione mi sorgono due domande:
Come si altera il risultato di un’intera stagione con due arbitri.
Come si configura nell’inchiesta sportiva l’occultamento di prove che più tardi verranno definite dal pm della fgci come “comportamenti configurabili come illecito sportivo”
@bit, l’italia è un paese ridicolo perché nessuno è disposto a riconoscere di aver torto, nessuno riconosce autorità ad nessuno se parte della propria fazione! se i giudici avessero assolto Moggi&co adesso le persone come lei direbbero, l’italia è un paese ridicolo ma a volte funziona…
intendiamoci, fa ridere allo stesso modo in cui fa ridere qualsiasi cosa in italia. è un paese ridicolo qualsiasi cosa faccia e gestisca, dalla politica / pubblica amministrazione in giù. non è che solo i giudici si elevano da questa condizione. fanno ridere pure loro. e queste motivazioni ne sono l’ennesima conferma (e lo scrivo con amarezza).
mah, per me queste motivazioni non hanno spazzato alcuna certezza. anzi, semmai hanno rafforzato l’unica certezza che ho: la giustizia italiana fa ridere. no perchè anch’io posso avere tutto lo “strapotere esteso anche agli ambienti giornalistici ed ai media televisivi” ed essere osannato “come una vera e propria autorità assoluta”, ma non per questo vado a finire in galera. almeno in un paese civile.
x MARTINELLO
Settembre verrà ribattezzato come il mese delle motivazioni. Quelle del processo per diffamazione nel quale Gianfelice Facchetti si è costituito parte civile contro Luciano Moggi e quelle del processo interminabile di Calciopoli, con la schiacciante conferma di quanto illecitamente operato da (ancora lui) Moggi. Le motivazioni delle due sentenze sono state depositate a distanza di una giornata. Due sentenze molto diverse fra loro, nonostante l’imputato fosse la stessa persona. La Cassazione ha scelto parole molto dure per confermare la condanna di Luciano Moggi: parole difficili da aggirare anche dal popolo delle motivazioni. Quello capace di estrapolare da 150 pagine l’unica virgola benevola ed assurgerla a verità inconfutabile. Difficile farlo oggi.
E se il quotidiano sportivo torinese non ha esitato a mettere in prima pagina un estratto delle motivazioni del processo Facchetti (alludendo ad una imprecisata lobbying) restano forti alcune perplessità in merito. A partire da un atteggiamento ondivago riscontrabile nelle stesse motivazioni, che alterna un fare puntiglioso ad una leggerezza preoccupante. Sembra forte il disappunto per la presentazione in ritardo della querela di Gianfelice Facchetti (dovuta al fatto che aveva visionato il programma nel quale Moggi parlava di suo padre su segnalazione e in un secondo momento rispetto alla programmazione). Non c’è disappunto alcuno invece per un’indagine aperta nei confronti dell’operato di Giacinto Facchetti in qualità di presidente dell’Inter, conclusasi con la relazione di Palazzi. Una relazione alla quale non è stato possibile replicare e che è arrivata 4 anni dopo la sua morte. Un ritardo di poco conto, insomma. A voler essere puntigliosi.
Proprio della famosa relazione di Palazzi vengono citati alcuni passi, anche se poi il giudice si affretta a sottolineare di non volersi addentrare nell’ambito (peraltro sconosciuto) della giustizia sportiva. E’ un tira e molla che accenna e poi smussa, che insinua e poi alleggerisce. Che si basa su dati non corretti, come la frase “infelice” che avrebbe pronunciato Facchetti in una conversazione con Bergamo a proposito dello score di Bertini con l’Inter, invocando un 5-4-4 (lo score era di 4 vittorie, 4 pareggi e 4 sconfitte) con il 5 che stava per le vittorie (auspicate). Quella frase viene pronunciata da Bergamo e non da Facchetti. Giusto per correttezza.
E i riferimenti a quanto pubblicato dalla stampa in merito alle “nuove” intercettazioni come a materiale importante non tiene conto che si trattò di una semplice mossa di Moggi per difendersi, brillantemente cavalcata dai media. Quelle telefonate rappresentano il momento in cui il processo Calciopoli è stato volutamente consegnato al destino della prescrizione. Telefonate non pertinenti e spesso trascritte in maniera scorretta: tutto questo ha bloccato il processo allungandone i tempi. Di certo non ha contribuito alla ricerca della verità. Purtroppo. Perché alla fine stiamo ancora aspettando la grande rivelazione. La madre di tutte le intercettazioni.
Moggi (che il giudice ha assolto nel processo di diffamazione concedendogli il diritto di critica e parlando di azione allusiva) e i testimoni da lui portati nel processo Facchetti (De Santis, per esempio) sono stati descritti nelle motivazioni con parole durissime. Si parla di strapotere, esteso a tutti gli ambiti (dai giornalisti e media alla Figc passando per gli arbitri). Un sistema malato e colluso, “un sistema illecito di condizionamento delle gare del campionato 2004-2005 (e non solo di esse)”. Moggi ha un ruolo da assoluto protagonista nelle vicende narrate. Un ruolo che ha portato vantaggi sia alla sua persona, sia alla squadra che ha servito per anni. La Juventus. In un pomeriggio di settembre sono state spazzate via le certezze di un intero popolo. Nessuna virgola benevola, nessuno spazio entro il quale rifugiarsi. La parola fine brilla soddisfatta. Toccherà accettarle, queste parole così dure e così definitive. Toccherà farsene una ragione. Chi con senso di giustizia, chi con rassegnazione. Fino alle prossime motivazioni.
Cari saluti e in bocca al lupo x tutto.
Le sentenze si rispettano !!
Ma quando si leggono le motivazioni, il dubbio che siano state scritte da Amurri e Verde , è fortissimo !!
X settemonnezze – Certo che definire una associazione a delinquere ramificata ed estesa quando di fatto sono stati individuati e condannati 3 o forse 4 componenti della stessa (cioè il minimo perché sia giuridicamente esistente) è sostenibile solo da giudici che, a voler loro bene, hanno la faccia come il culo. Esattamente come certi tifosi intertristi che sostengono che la loro squadra ha vinto 18 scudetti. .
Al re dei mediocri non pare vero di essere ancora in doppia vita
A casa ora, fetido: c’è il pannolone da sistemare