Real Madrid-Liverpool è la storia di due storie. Il Real offrì il ventre alla nascita della Coppa dei Campioni, diventandone premurosa (e danarosa) mamma. Le prime cinque edizioni e, in tutto, 13. Il Liverpool è stato la seconda squadra inglese (non la prima: fu il Manchester United di Bobby Charlton e George Best) ad alzarla, collegando le ruvide tradizioni dell’isola alla manovra «danubiana» del continente. Da qui, 6 trofei.
In finale, sono uno a uno. Nel 1981, a Parigi (ma al Parco dei Principi), i Reds di Paisley beffarono i Blancos di Boskov. Decise una rimessa laterale, sfuggita ai radar ispanici e sfruttata dal Kennedy meno famoso (Alan). Nel 2018, a Kiev, fu il Real di Zidane a regolare il Liverpool di Klopp. Il 3-1 venne orientato dall’agguato di Sergio Ramos a Salah, fuori subito, dalle papere di Karius e dalla doppietta di Bale, la riserva più sfarzosa del mondo. Coincise, l’ordalia, con l’ultima notte «bianca» di Cristiano.
I miei favori andavano al City di Guardiola. Figuriamoci. Da una parte, Benzema; dall’altra il tridente. Vi raccomando i duelli sulle fasce (Alexander-Arnold contro Vinicius, per esempio) e in mezzo (Modric nei paraggi di Thiago). Il Liverpool è sempre guidato da Klopp, il Real da Ancelotti, che gli portò la «decima» (e l’ultimo «scudo»). Il tedesco è una fiamma perennemente accesa, l’emiliano un fiammifero che ha imparato a bruciare i venti, anche quando ne sembra prigioniero. Ne ha vinte cinque, di Champions: due da giocatore, perno del Milan fusignanista, tre da tecnico (due col Milan e una, appunto, col Real). Il Liverpool gli evoca l’inferno di Istanbul (da 3-0 a 3-3, dai rigori alla «santità » improvvisa di Dudek) e il paradiso di Atene (2-1, doppietta di Pippo Inzaghi). Klopp, già piegato dal Bayern a Wembley nel 2013, quando guidava il Borussia Dortmund, si è rifatto a Madrid, nel 2019, 2-0 al Tottenham.
Van Dijk e c. hanno dato il meglio di sé in trasferta (tutte vinte). Hanno eliminato Milan e Inter (che li sconfisse ad Anfield). Benzema e c. hanno ghigliottinato il Paris di Messi, Mbappé e Neymar, liquidato il Chelsea detentore, sgonfiato il City fresco campione di Premier. Rimonte pazzesche, degne in tutto e per tutto degli affetti e degli effetti domiciliari. Il Bernabeu e Anfield non sono semplici stadi: sono scrigni, sono arsenali di sogni, di incubi. Di emozioni esplosive. Il campo neutro di Saint-Denis sposta premesse e promesse, non però la storia che accompagnerà i duellanti.
Dopo l’Europa League dell’Eintracht Francoforte e la Conference League della Roma, tocca alla Champions. Domani sera, ore 21: le finali non sono mai «belle», a meno che un episodio non le faccia saltare per aria. Real-Liverpool appartiene ai ricchi, di tasca e di spirito. Mi butto sul rosso: 51% a 49%. Ma proprio perché il cinquanta-cinquanta mi sembra, come dire?, un po’ troppo «feo y aburrido». brutto e noioso.
Signor Beck condivisibile quello che scrive. Su Allegri, non contesto le sua capacità per vincerne cinque di fila, nello specifico contesto la sua incidenza, o meglio quella che gli viene attribuita, per la vittoria degli stessi. Su Mou, contesto lo stesso principio e non lo definisco incapace, ma sopravvalutato. Rispetto alle sue rose quando ha vinto e quindi rispetto a quanto effettivamente abbia inciso sulle sue vittorie. Perché poi va a Londra sponda Spurs e incide poco o nulla (ovviamente per incidere non intendo vincere la Premier, cosa oggettivamente proibitiva Ranieri a parte che rappresenta l’eccezione).
En passant… Allegri ha rifiutato il Real (tutto vero). Santa pazienza.
toh, di nuovo un Primario…..(a latere, 1) Mennea fu pure recordman del mondo 2) Quel Real non aveva solo un marziano, ma anche dei mercuriani quali Benzema Modric….e non solo)
Capisco quanto deve essere frustrante dover sempre rispondere sempre le stesse cose, in un loop infinito.
Dire che un allenatore è più bravo di un altro solo perché ha vinto di più è fuorviante e anche un po’ da mascalzoni.
Scritto da Alessandro il 28 maggio 2022 alle ore 09:59
mai detto. Anzi, scritto che l’ atichetta di “allenatore vincente” è fuffa. Ci sono una valanga di allenatori bravissimi che hanno vinto niente. (uno, Pioli, fino ad una settimana fa) Ma se uno vince, e soprattutto rivince. è indubbiamente bravo. Semplice come il calcio
Allegri è un grande allenatore in Italia, ma è lo stesso che, in Europa, ha trovato la Juventus nella stessa urna dell’Apoel Nicosia, nel sorteggio dei gironi della Champions, al quarantacinquesimo posto, nel ranking UEFA, e l’ha portata ad attirare l’interesse di CR7. L’ha lasciata al quinto posto nel ranking UEFA. “Senza Messi. Allegri due finali di Champions perse, Guardiola una finale di Champions persa” (cit. Beccantini).
Poi, se fai 102 punti, in campionato, posso immaginare il livello della concorrenza…
Buon giorno, gentile Logan. Siamo sempre lì, agli slogan. Tipo: chi vince festeggia, chi perde spiega. Partiamo da un dato: nello sport si concorre per vincere. Su questo siamo tutti d’accordo: ok? Ok. Secondo step: se io competo e vinco sono bravo; se io competo, vinco e rivinco sono più bravo. E così via. Entriamo, a piccoli passi, nell’ambito della Grandezza. Indiscutibile. In ambito internazionale, quella di José Mourinho. Per esempio.
Poi lei, gentile Logan, esercitando un suo pieno diritto, mi dirà : sì, però, per me fra i cento grandi allenatori della storia del calcio il vate di Setubal, «pur grande» – passaggio cruciale – viene al 100° posto. Liberissimo. Nel 1980, a Mosca, Pietro Mennea si laureò campione olimpico dei 200 in assenza degli sprinter Usa «boicottanti». Grande, Pietro (anche per tutto il resto, naturalmente), ma in quel caso meno grande della curva di Livio Berruti a Roma 1960? Per me sì, meno. Per altri, no. Ma per tutti: grande.
Poi, e lo scrivo per l’ultima volta, subentra il concetto di bellezza, assolutamente relativo, drasticamente soggettivo. E qui lei ha facoltà di dire: il gioco di José mi fa schifo. Per carità . Guai però a confondere o mescolare i due concetti, Grandezza e Bellezza. Se poi citiamo Rinus Michels, il Pep Guardiola o lo Jurgen Klopp, evviva: grandissimi e bellissimi, ognuno con il suo stile. Ma se per caso viaggiano separati, grandezza e bellezza, pazienza: sono facilmente riconoscibili e catalogabili.
Venendo ad Allegri, non ne posso più!, anche qui per l’ultima volta: in ambito nazionale – sottolineo nazionale – è stato un grande allenatore della categoria gestore. Sei scudetti, 3 Supercoppe, 4 Coppe Italia, 2 finali di Champions, senza dimenticare la promozione del Sassuolo (dalla C alla B) e il nono posto del Cagliari dopo i 5 k.o. consecutivi in avvio. [Quel Cagliari, per la cronaca e per la storia, ricevette i complimenti addirittura da Mou].
Dopodiché, e torniamo daccapo, lei potrà dirmi: fra i 100 grandi allenatori della storia italiana, colloco Allegri all’ultimo posto perché – tesi del gentile Alex Drastico – ebbe una concorrenza a livello di Conference League. Per carità . Ogni paradosso contiene sempre un briciolo di malizia, di verità : anche questo.
Naturalmente, non si può non tenere conto dell’ultimo Allegri, che mai avrei ripreso, satollo, così pigro e stupido da rifiutare il Real Madrid (mi creda: tutto vero), eccetera eccetera. Un po’ come, fatte le debite proporzioni, il Mourinho del Tottenham.
Le dirò di più: tra Conte e Allegri, in assoluto, preferisco Antonio ma – sempre in chiave di paradosso – è proprio a livello internazionale che Max recupera terreno. Penso alla Istanbul di Conte e alle 2 finali di Champions di Allegri, perse per crolli, verissimo, o per errori, non lo escludo, ma contro una squadra di marziani e un’altra di un marziano. Insomma: a lei Allegri fa schifo? Ok. Per le Allegri non è stato un grande (in Italia)? Problemi suoi, di lei.
Grazie dello spunto.
Ma anche di un Mejuto Gonzalez qualsiasi eh.
Lui ha bisogno di una squadra e un popolo che stia completamente dalla sua parte
Scritto da De pasquale il 28 maggio 2022 alle ore 01:17
…e magari di un Walter Gagg, per andare sul sicuro