Finisce, il girone d’andata, con la Milano da bere ubriaca, letteralmente: l’Inter, più ruttante che eruttante, sconfitta in casa dai «ragazzi della via Empoli»; il Milan, travolto dalla Lazio: 0-1 a San Siro, 0-4 all’Olimpico. E così il Napoli, fermo restando Immobile, allunga: + 12 sul Milan, + 13 su Lazio, Inter e Roma, + 15 sull’Atalanta. Seconda, a 38, sarebbe anche la Juventus, ma in attesa dell’appello al Coni (e molto altro) questo è il quadro.
Si gioca ormai per i tre posti della zona Champions. Immagino gli scongiuri dalle parti di Capodichino, e li capisco. Se l’appetito vien mangiando, la scaramanzia resta anche a digiuno. Classifica e gioco, però, sono piatti nobili e nutrienti.
Eravamo rimasti ai coriandoli di Riad, l’Inter matrona e il Milan damigella, un 3-0 senza se e senza ma. E non è che l’Empoli, con tutto il rispetto, fosse una invincibile armata. Al Meazza, per giunta. Invece: esce Skriniar, correttamente espulso per doppio giallo, ed entra Baldanzi, classe 2003. Suo il gol che premia i Corsi (ricorsi) di una società sul cui vivaio non tramonterà mai il sole.
Inzaghi, il genio che aveva disarmato Spalletti e asfaltato Pioli, è tornato la schiappa che dimentica Dzeko in panca e «rischia» Bellanova. I cambi sono sempre stati il suo cruccio. Quei cambi che, ebbene sì, hanno ringalluzzito un Empoli che già in parità numerica aveva offerto il calcio più frizzante. E impegnato Onana (che «spanciata» sul gol!) più di quanto Lau-Toro e c. non avessero minacciato Vicario, per niente triste e solitario. Traversa di De Vrij a parte.
Dalla rimonta inflittagli dalla Roma di Mou, il Milan non c’è più. Eliminato in coppa da un Toro in dieci, umiliato per un tempo a Lecce, suonato dai cugini in Arabia, demolito dal Sarri-ball fra le cabrate dell’Aquila lotitiana. Milinkovic-Savic subito, poi Zaccagni, quindi Luis Alberto su rigore (procurato da Pedro) e Felipe Anderson. Uno, nessuno e centomila. Sinfonia contro agonia. Non c’era Theo, non c’è più Leao, idem Giroud, non si sa quando ci sarà Ibra, totem che gli orecchianti avevano parcheggiato nelle cantine della memoria. E c’era una volta la difesa. Pioli, come Inzaghino, ciondola fra lo stratega dello scudetto e il buon samaritano che deve portare troppe croci. Dopo averne azzeccati un paio, Maldini & Massara hanno sbagliato mercato, per quanto su De Ketelaere si fosse esposto – non proprio sui livelli «messianici» del Qatar, ma quasi – Sua ugola Adani.
La Lazio, in compenso, mi ha ricordato «quel cielo di Lombardia, così bello quand’è bello». Azioni avvolgenti, baricentro altino e mai alticcio, Cataldi, il serbo e Luis Alberto a raffinare il greggio, il tridente ad alternare graffi e cerotti. C’erano anime perse in giro per le zolle, vero: ma perché (soprattutto) qualcuno, sappiamo chi, «gli aveva rubato l’idea». Dedicato al Petisso, alle sue notti infinite e alle sue cicche parlanti.
Al di là dell’aspetto psicologico, sicuramente fondamentale, i giocatori a disposizione di Allegri sono di un’altra categoria rispetto al Monza, ma, a differenza degli uomini di Palladino, non sanno mai cosa fare del pallone, devono sempre alzare la testa per vedere dove sono i compagni, non hanno movimenti organizzati. E Palladino sono tre mesi che li allena, non quasi due anni. E vorrei vedere dove sono i Di Maria, i Danilo, i Rabiot, i Milik nel Monza.
Mi dispiace, non vedere che, calcisticamente, il male della Juventus siede in panchina è impossibile.
Neanche a me piace Soulè.
Per carità, c’è di peggio ma cercherei di venderlo meglio possibile. Mi pare un Joao Felix meno veloce, meno tecnico ed ugualmente incostante.
Questa sera uno di quei coglioni in società deve telefonare a Tonio o al Gasp o a Igorone, sempre che si abbassino a lavorare tra le macerie, e convocarlo per firmare un pre-contratto per giugno.
Scritto da bilbao77
Esatto