Dicono che la storia si ripeta sempre due volte: la prima in tragedia (San Siro, 2016) e la seconda in farsa. Chi lo racconta al Cholo? Dai 32 secondi di Gallagher ai «due tocchi» varisti di Julian Alvarez, alla traversa di Llorente e alla quasi parata di Oblak su Rudiger. I rigori, ancora e sempre loro, questi sgherri tribali e fatali ai quali il calcio ha affidato, in caso di pareggio a oltranza, l’estasi dei vincitori e il tormento dei vinti.
Real, dunque. E, quindi, Ancelotti. Al Bernabeu era finita 2-1; al Metropolitano, 1-0. Gallagher subito, su palla radente di De Paul (quantità preziosa), e poi una lunga partita a sacchi, con i Re bianchi gigioneggianti e incapaci di forzare il muro dell’Atletico. Sia chiaro: un muro mobile, Griezmann a distribuire le munizioni, Gallagher a pompare e Alvarez, ignaro dell’epilogo che gli avrebbe riservato il destino, a tirare. Palle-gol, no. Ma di Oblak non ricordo parate; di Courtois, sì.
Strana, molto strana, la castità balistica del Real. Mai un lampo, neppure sul penalty che Mbappé, al 70’, conquistava alla Mbappé, sterzata, contro-sterzata e Lenglet penzolante dalla camiseta. Fossimo stati a Cape Canaveral, avrebbero tutti applaudito il missile di Vinicius. Ma eravamo in uno stadio.
Vinicius, già . Disarmato e disarmante, come e più di Rodrygo. Di Mbappé, quell’azione lì e il resto, fuffa. Della «triade», il meno vago è stato Bellingham, tenore e corista in base alle esigenze (tante, troppe). Meritavano di più, i reticolati e le imboscate dell’Atletico. Ma il Real è il Real. Carletto aveva puntato sui 39 anni di Modric, poi escluso (come Vinicius). Le forze, stremate, hanno orientato le staffette e le cadenze. Il torello dei detentori, su «procura» dei rivali, toccava il 62%, senza però allontanare gli sbadigli. Sino alla ghigliottina del dischetto. Che non guarda in faccia nessuno. Se mai, ti controlla i piedi.
Gentile Robertson, buon giorno. In Italia, tendenzialmente, si legge poco e si dimentica molto (in fretta, per giunta). Come scrissi una volta, bisognerebbe avere la forza di buttare giù una griglia, a mercato estivo chiuso, e non scrivere o non parlarere più fino alla fine del campionato. Dopodiché, comparare i risultati con le proiezioni di ciascuno di noi, e farne oggetto di discussioni.
Ma come si fa, con tre partite alla settimana? E allora.
1). Cristiano Giuntoli. A suo tempo, lo caldeggiai. Come, nel 2010, avevo spinto per Beppe Marotta. A Carpi e a Napoli, per verifiche dirette, aveva lavorato bene, si poteva tentare. Ma la Juventus è la Juventus. Il salto in alto può diventare un volo senza paracadute. Non sempre. Ripeto: può.
Al netto degli sconvolgimenti mercantili, e degli organigrammi gonfiati di inglesismi, andiamo al sodo. La storia insegna che tre è il numero più pertinente. Juventus: Boniperti-Allodi (Giuliano)-allenatore. Milan: Rizzoli (Carraro)-Viani-Rocco. Inter: Moratti-Allodi-Helenio. Juventus again: Agnelli-Marotta-Conti, Agnelli-Paratici-Allegri.
E’ chiaro che il general manager/direttore sportivo deve sapere di mercato, di palazzo e, possibilmente, di calcio giocato, di tecnica, a maggior ragione se il padrone non ne capisce un tubo. Al netto del calcio che ognuno di noi predilige, l’ideale sarebbe avere, sopra, un Boniperti. Non c’è. Non ci sarà più.
Trovo corretto che John Elkann abbia affidato a «uno» la staffetta tecnica del club. Da un Cristiano all’altro. Nello stesso tempo, sarebbe per me impensabile che Thiago Motta non lo avesse scelto Giuntoli, con il beneplacito del Vertice. Sarebbe anche incredibile che il mercato Giuntoli e Motta non lo avessero fatto insieme. (Inter nos: Koop lo avrei preso; Douglas Luiz no, per ignoranza; Nico Gonzalez no, perché c’era già Chiesa). Ricordarsi sempre, se possibile, di quello che si è scritto e/o si è detto.
E veniamo al sodo, gentile Robertson. Perché sono contro i cambi in corsa? Perché sarebbe iniquo disfarsi «solo» dell’allenatore e non anche, paradossalmente ma non tanto, di colui che lo ha scelto. Fermo restando che, in griglia, avevo piazzato Madama al quarto posto, la invito pure a non trascurare un ulteriore particolare.
Il fattore umano. Ci sono molti siti, da «L’ultimo uomo» (il mio preferito) in su e in giù, che trattano di tattica con un lessico che trasuda cultura, scienza. Non uno, però, che tenga presente il fattore umano. Il salto in alto. Non escludo che lo stia pagando anche Thiago Motta, scelto da Giuntoli, e Giuntoli stesso. Thiago, come Gigi Maifredi, può essere che abbia collocato il suo Ego in posizioni troppo pericolosamente elitarie. E qui si torna all’importanza eccessiva data, in generale, agli allenatori: che, anche per questo, si sentono – talvolta – «unti» di qualcosa, da qualcuno. Gasp, a Bergamo, sopravvisse nel 2016, a quattro sconfitte nelle prime cinque partite. Allegri, a Cagliari, a cinque sconfitte sue cinque. Furono confermati, sbocciarono: chi in un modo chi in un altro. Gaps, nell’Inter post-triplete, non scampò a 0 vittorie in cinque gare, coppe incluse. Per dire dal trasloco da grande società a società media. C’est la vie.
Stesso discorso per i giocatori. Prenda Dusan Vlahovic. Giocava nella Fiorentina, lo suggerii (come tanti altri, sia chiaro). Lo presero. Ma tra Allegri e Motta, alla Juventus, si è impantanato, non ha fatto quei progressi tecnici che mi sarei aspettato facesse. Colpa esclusiva dei Mister, o anche sua? Per me, anche sua.
Il fattore umano. E la storia. Mai dimenticarli.
Tirando le somme: 1) non avrei licenziato Maurizio Sarri; 2) terrei ancora Giuntoli-Motta comunque vada a finire questa stagione, sperando che dagli errori di valutazione (compreis i miei) possano e sappiano ripartire; 3) lo so, Trap vinse al primo anno, Lippi pure, Conte idem, Max anche; bravura, certo, ma non riuscirci mica è un’onta); 4) tornando a Giuntoli-Motta, o confermati entrambi o entrambi dismessi, Giuntoli non poteva non conoscere il carattere di Thiago, nel quale, tempo, l’anima brasileira qua e là prende il sopravvaento sullo spirito italiano. I sette capitani: molti lo definirono un dettaglio marginale. Non il sottoscritto.
Grazie dello spunto.
Beh, no, non credo che ci sia la società dietro certi spifferi su Motta, penso piuttosto che è la prima volta che lui si cimenta (da allenatore è diverso che da giocatore) con uno spogliatoio “pesante” di giocatori strapagati, e magari questa sua rigidità nelle scelte sta pesando. Si è posto da subito come quello che sceglieva solo in base alle indicazioni degli allenamenti, senza guardare in faccia nessuno. Alcuni giocatori, tipo Rugani, sono stati bocciati subito e mandati via, altri sono rimasti a lungo in panchina (D.Luiz, per dire), ma poi è cominciata un po’ di confusione, Koopmeiners per esempio ha giocato sempre, pur sembrando un pesce fuor d’acqua e magari Thuram, che pareva in forma, è stato in panchina anche in partite decisive (vedi PSV). Non so, piacerebbe anche a me capire bene qual è il suo rapporto effettivo con lo spogliatoio, non sembra tutto rose e fiori, ecco, ma basta che l’allenatore continui ad avere il rispetto di tutti. In sostanza non credo che Motta sia un bluff, tutt’altro, ma che debba fare uno step di crescita anche lui sì, ne sono convinto.
Beck, e interessati.
A me sfugge, se vero, questo fideistico appoggiarsi della Società nelle capacità di giudizio di Giuntoli.
Non discuto le sue competenze di mercato, sui giocatori ecc. Ha una storia dietro di se, con alcuni colpi sensazionali.
Quel che più mi lascia perplesso è questo recente accanimento (veicolato da lui/società ?) a descrivere motta come uno zelota unidirezionale, incapace di stabilire un rapporto con i giocatori, senza ascendente (possibile), non empatico (di gran moda, pare). Tutto ciò in 8 mesi. Non 8 anni (l’8 ritorna…).
Se fosse vero, e io qualche dubbio lo ho, non sulle singole qualificazioni, ma sul totale, se fosse vero vorrebbe però dire necessariamente una cosa: che GIuntoli (DS, facciamo DG su…), che lo aveva selezionato da mo’, facendone una battaglia, in un anno o più di colloqui esplorativi, di negoziazioni e di lavoro non è riuscito a giudicare l’uomo prima che il professionista. Prendendo un enorme granchio.
E questo per un dirigente strategico è una deficienza imperdonabile. Perchè alla juve ho sempre saputo che prima si valutava l’uomo, e poi l’aspetto tecnico.
Non possono coesistere l’idea che Motta sia un bluff (che non credo) e che Giuntoli sia un dirigente capace.
Ho visto l’impressionante cursus honorum del vecchio Zinho. Ammazza. 26 anni. 40 partite in cinque anni.
Al confronto Iling Junior è un incrocio tra John Barnes e un calipso boy del manu 1999.
Che dire, Chapeau ad Ausilio, de lamentis con i sui primavera è quasi un dilettante.
Furinazzi ha veramente la dignità di un lombrico ubriaco e costipato. Il cervello, meno, ecco. Che non si inorgoglisca.
Se la Juve ha richiamato Allegri,
Se l’America ha rieletto Trump,
Se l’UE ha rieletto Von der Leyen,
Se hanno fatto due seguiti di Highlander e Ritorno al Futuro,
Se Salvini é ancora ministro,
Figuriamoci se mi sorprenderei per un ritorno di Andrea Agnelli.
Il fatto che stia sulle balle a mezzo mondo calcistico é relativo. Basta che assuma un atteggiamento diverso e che questo convenga alle parti e non ci sarà nessun problema.
Scritto da Fabrizio il 12 March 2025 alle ore 20:04
Ritorno al futuro 2 non é male!
3 si dibatte come una mosca in un bicchiere.
Tipico d’altronde di chi ha l’anima sporca di merda.
“spulciando Transfertmarkt si apprende che Vanheusden è stato ceduto nell’estate 2019 allo Standard Liegi per 11,74 milioni, è stato riacquistato dall’Inter il 13 luglio 2021 per 16,2 milioni (quando il suo valore secondo il sito era di 2)”
“Alla collezione – tra gli altri – va aggiunto Zinho Vanheusden il cui passaggio allo Standard Liegi frutterà 12 milioni”… Vanheusden, non so se mi spiego, mica pizza e fichi…
Per non dimenticare…
https://www.fcinter1908.it/copertina/ausilio-re-delle-plusvalenze-in-tre-anni-incassati-134-milioni-i-giovani-dellinter/
Come si chiude l’articolo, “Chapeau”…
3 anni di plusvalenza farlocca degli ndranghetisti su Raul Casadei e 0 partite in EPL quando colà fanno esordire bambini delle Primary schools…hihihihi