Va, Bologna, sull’ali dorate: Orsolini, Ndoye e ci metto pure Cambiaghi, infortunato, recuperato e sempre prezioso. Cinque a zero alla Lazio, sorpasso e quarto posto Champions. Da Motta a Italiano: gli allenatori seminano e passano, Sartori resta. E si vede. E si sente. Immagino, dall’aldilà , Dino Sarti: «Butta la pasta mamma, prepara i panini. Gioca il Bologna, non posso mica far tardi, eh».
D’accordo, gli aquilotti di Baroni, molto cotti, avevano nelle gambe le ruggini europee del Viktoria Plzen, ma insomma: primo tempo di sostanziale equilibrio, rigato dal gol di Odgaard, su cross teso di Miranda. In avvio di ripresa, il finimondo: 48’, imbucata di Ndoye per Orsolini, scavetto e olè; 49’, discesa di Ferguson, tocco a Ndoye, destro implacabile. Doppietta nel giro di un minuto. Gioco, partita, incontro.
Domina e gongola il pressing feroce di una squadra in salute (e, per la cronaca, semifinalista di Coppa Italia, con l’Empoli). Una squadra che crede in quello che fa, per come glielo racconta il suo domatore. Il palo di Zaccagni è il sussulto estremo di un orgoglio ormai lacerato. L’ultima fetta di torta viene spazzolata da Castro, imbeccato da un assatanato Pobega, e da Fabbian, di testa, su cross di Miranda, terzino vorace, al culmine di un ricamo Dominguez-Cambiaghi. Il Dall’Ara canta. Dimenticavo: Pobega, Dominguez, Cambiaghi, Fabbian, tutti panchinari. Sochmel.
È pure lampante che i giocatori lo vogliano fuori dalle balle, ma “la proprietà gli è stata vicina”.
Serse cosmi qualcosa avrebbe provato per cambiare la partita. Questo, niente
C’è la sosta.
Il suo destino è segnato.
Ma…..non contava il possesso palla per vincere le partite?
Il centrocampo è il mio spazio.
Ma soprattutto il loro.
Tutte volute ovviamente.
È l’unico di tutta la squadra che è rimasto fermo ad inizio agosto.
Mai provato a migliorare mai provato a cambiare.
Tra le gambe di Veiga…senza parole.
Certo che però contro di noi beccano tutti gli angolini..
Va a fondo con tutte le sue incudini
Comunque dopo sette pere a zero in due partite, se ha un minimo di orgoglio si dimette.