Ancora Barcellona e Inter in semifinale, dunque: come l’anno del triplete di Mou. Dopo il 2-1 in Baviera, la squadra di Inzaghino strappa un 2-2 non meno tribolato, non meno guerriero. Tra pioggia, vento e lampi (in campo). La Champions sa essere spietata, non sempre bacia il possesso (63% a 37% per i «crucchi»): bada al sodo, corteggia gli episodi. E il cuore.
Il simbolo è stato Lautaro. Pasta di capitano. Non solo per il gol: per tutto. Kompany rendeva ancora fior di titolari, Musiala in testa, e ha cominciato requisendo il pallone. Con il catenaccio dell’Inter ad assorbirne il torello, e il contropiede ad agitare le onde, appena possibile.
Si aggirava, Kane, come una cartolina a sé stesso. D’improvviso, al 52′ o giù di lì, un destro alla vecchia maniera, in anticipo su Dimarco. Ops. Ma ecco la reazione, fulminea come martedì scorso, quando il Bayern cominciava a pensare, immagino, alla finale nel salotto di casa. Due angoli (di Dimarco, di Calhanoglu), la zampata del «Toro» (che mai avrei tolto) e la capocciata di Pavard, un ex.
Ari-ops. Fatta? Kimmich, Laimer e Olise (a differenza di Sané e Goretzka) hanno ripreso a premere, pirati barbosi ma cocciuti. Il pari aereo di Dier, pilotato da Eolo, apparecchiava un epilogo bollente, scabroso. I cambi (Gnabry, Coman) davano spinta. Sul fronte opposto, Thuram boccheggiava e Bastoni, stremato, usciva. Dalle parti di Sommer fischiavano cross, si accendevano bolge e candele. Il Bayern è il Bayern, dalla difesa un po’ così ma dalla benzina che non finisce mai.
Da qui a maggio, ogni sfida moltiplicherà il concetto di battaglia, già domenica di Pasqua a Bologna e poi mercoledì con il Milan di coppa (da 1-1). Battaglie, ma anche stimoli. Perché essere in lizza su tutti i fronti, unica italiana, questo comporta: soffrire e sognare.
Pazzesco ad old trafford
Gentile Riccardo Ric, dura? Quando l’avversario vince così, solo applausi.
Gentile Alex Drastico, grazie. Ho letto. Non discuto che Guardiola sia meglio di Ancelotti, come influenza sul gioco e sui riisultati. Non discuto neppure che alla Pro Patria lascerebbe un’impronta. Discuto che la “normalità” per molti sia un termine quasi negativo. Per me no. Soprattutto se devi allenare e gestire grandi campioni. Scrive il gentile Logan: l’albo d’oro è molto ma non tutto. D’accordissimo: anche per lui, però, è molto.
United diventato ormai un caso clinico
O viceversa, ci voleva la faccia da culo tipicamente ndranghetista per farfugliare di doping alla Juve (peraltro indagata ad squadram…ed assolta) da parte di chi ha sulla coscienza innumerevoli morti, vittime degli esperimenti di laboratorio di Helenio Mengele Herrera.
Logan: per accennare ai caffè di HH da parte di chi ha avuto un’inchiesta penale sulla farmacia più grande del calcio italiano ( da cui scaturisce Calciopoli) ci vuole un coraggio da leone. E definisce il livello
X De Pasquale. Quel gol di Lautaro mi sarebbe piaciuto rivederlo con il Var: un Var onesto però! In diretta mi ha lasciato troppi dubbi confortato anche dalle lamentele “ istantanee” dei giocatori del Bayern! Convieneda parte vostra affermare la regolarità anche se internamente vi rimangono i dubbi! Leo
Beck, dura eh? Capisco, capisco …
Sig Beck
Logan con l’esempio della pro patria ha illustrato al meglio.
Per l’unica grande impresa di ancelotti e’stata vincere la premier league al primo colpo.
Gentile Alessandro, non discuto i favori arbitrali. Il “miedo escenico” del Real non è una barzelletta. Ma anche con qualche trofeo in meno (o molti trofei in meno: a scelta), chi avuto Alfredo Di Stefano sarebbe stato comunque una squadra da mito. Diciamo che il Real si è spesso fondato, più che sugli allenatori, sui giocatori: Di Stefano, Cristiano eccetera. il Barcellona, anche sui tecnici: da Michels a Cruijff (nella doppia veste prima da giocatore poi da tecnico) a Guardiola.