Poveri noi o poveri loro?

Roberto Beccantini23 March 2025

Il manifesto di Dortmund spacca in due Germania-Italia. Sarà 3-3 – loro alle semifinali di Nations League, noi a casa – ma chi deve mangiarsi il fegato? Chi? Und warum? E perché?

Primo tempo: tedeschi padroni di tutto, azzurri ridotti a una nuvola di passaggio. Rigore di Kimmich (per fallo di Buongiorno su Kleindienst); stoccata di Musiala, su angolo di Kimmich (toh), nel bel mezzo di un’assemblea di condominio convocata da Donnarumma (che palle, le palle inattive); capocciata di Kleindienst, su parabola di Kimmich (uffa). L’Italia: un petardo iniziale e poi tutti indietro, a masticare il pane duro del pressing teutonico.

Secondo tempo: Spalletti si corregge e sguinzaglia Politano. Fuori, tra gli altri, i centimetri di Gatti. I bianchi, chissà, pensano di aver già vinto e ritirano le barche, non solo i remi. Ne pagheranno il fio. Un pasticcio tra Sané e Kimmich arma il destro di Kean; e uno. Entra pure Raspadori, che titilla la mira di Moise: destro, e due. Sarà proprio Raspadori, al 95’, a trasformare il penalty concesso per mani-comio di Mittelstadt. Sul 3-2, Marciniak aveva colto un rigorino – di Schlotterbeck su Di Lorenzo – poi tolto dopo processione al Var.

Migliori per distacco: Kimmich, Musiala (tolto inopinatamente da quel «genio compreso» di Nagelsmann) e Kean (che non avrei sottratto alla lotteria degli episodi, per quanto spremuto). In questi casi, tirare le somme diventa una tortura. C’è un caro-biglietti e c’è (stato) uno sconto-partite: due in una, e sempre allo stesso prezzo. Wow. Gira e rigira, ha deciso l’1-2 di San Siro. Però l’ordalia del Westfalenstadion rimarrà nella memoria. Ognuno, come in politica, celebrerà i suoi comizi, le sue coalizioni; di governo (tirannico, i «crucchi» del pronti-via) o di opposizione (da scarpate sul leggio, gli scappati alla forca nella ripresa).

A modo suo, un inno al calcio: che più studi, più ti scappa.

Il Thiaghettatore

Roberto Beccantini23 March 2025

Aveva firmato per tre anni, Thiago Motta, a 3,5 milioni (netti) a stagione. Avrebbe dovuto portare il bel «giuoco». Ambiguo, «Padre tempo» lo aspettava al varco. Dalle cinque vittorie di fila e il delirio-scudetto delle edicole al 7-0 complessivo tra Dea e Viola. Via. Lui, non chi lo aveva scelto: Giuntoli. Non i dirigenti che avevano scelto Giuntoli. E’ la prassi, bellezze.

Tocca a Igor Tudor, già guerriero di Lippi e vice di Pirlo. Tre mesi, nove partite. Poi, salvo sorprese, arrivederci e grazie. Ricapitolando, dal 2019-2020: Sarri (scudetto, l’ultimo dei nove consecutivi), Pirlo (1 Coppa Italia, 1 Supercoppa), la forzatura dell’Allegri-bis (un quarto posto, due terzi sul campo, una Coppa Italia), la coda di Montero. E da Bologna, come la ballata del Maifredi Gigi, il Cipressone.

Contrario ai cambi in corsa come sono – pure a questo, sia chiaro – ne prendo atto. Thiago aveva acceso piccoli fuochi, poi spenti con gli idranti di un dogmatismo da unto dei signori. Tudor non trova macerie: trova una rosa da quarto posto (per me) scivolata al quinto. I giocatori, molti dei quali sul prezzo e pochi sul pezzo, non hanno più alibi. E il padrone, vi chiederete? Povero John Elkann, povero si fa per dire: Ferrari squalificata, Juventus decapitata. E lui paga. Ferrero e Scana-vino sono burocrati che devono sopire e troncare, troncare e sopire, nella speranza che nessuno si assopisca (vero, Ferrero?). E Giuntoli, come Thiago, ha sofferto il salto in alto, che molti avventori, ubriachi di lavagne, tendono a trascurare.

Il confine resta l’esonero di Sarri. Citava Bukowski, smadonnava, fumava. Oh yes. Ma: campionato, Cristiano a 31 gol, Dybala mvp. Il triennio terminale di Andrea non è stato proprio felice, dai. Si ricomincia. Si ricomincia sempre, ormai, alla Juventus. Tra bilanci (uhm), rilanci (il Feticista) e stroncature («Mi vergogno di averti scelto», avrebbe detto l’ultimo Cristiano a Thiago secondo la Rosea). Chiedi alla polvere, scriveva John Fante. Già: alla polvere.

Teste dure

Roberto Beccantini20 March 2025

Teste dure, i tedeschi. Anche adesso che non sono più i panzer di una volta, hanno ante meno rambiche e prediligono il torello fitto e, spesso, orizzontale. Era l’andata dei quarti di Nations League: Italia-Germania 1-2. Il 17 giugno saranno 55 anni dal Quattroatre dell’Azteca. Bei tempi, anche se Gigi Riva non tornerà. Purtroppo.

Partita strana, a San Siro, e non certo memorabile. A loro la palla, a noi i tiri. Nel senso che il migliore non è stato Musiala, è stato il portiere: Baumann. Bravo su Tonali, su Kean, su un quasi-suicidio di uno dei suoi, su Maldini; bravissimo su Raspadori. Per noi, Tonali: il gol-lampo – bello: cambio campo di Bastoni, da Barella a Politano, cross teso, tallone randagio di Tah, destro ficcante – l’assist a Raspadori e (di tacco) a Kean, qualità e quantità.

Molte assenze, di qua e di là. E, agli sgoccioli, l’infortunio di Calafiori. Perché, dunque, l’Italia ha perso? Perché le lavagne – neppure quelle di Spalletti – possono governare gli episodi. Nagelsmann, uno dei giovani stregoni che adescano e dividono, non aveva centravanti, a meno che non si volesse definire tale Burkardt. Cruciale l’ingresso di Kleindienst, un traliccio che faceva tanto vecchio West. Sua la capocciata del pari, su esterno destro da orgasmo di Musiala e cross placido di Kimmich, fra statuine immobili perché sorprese o sorprese e, dunque, immobili. E di Goretzka, su angolo di Kimmich (e dai), la zuccata del sorpasso in un ingorgo ferragostano. Le palle inattive continuano a crivellarci. Le staffette del nostro ct non hanno prodotto sconquassi. Ricapitolando: cuori forti ma tutti gregari, a eccezione di Tonali e, per metà match, Barella.

Nella classifica Fifa, l’Italia è nona e la Germania decima. Domenica sera, a Dortmund, secondo atto: nulla è impossibile, a patto che l’Italia torni la principessa del Parco, era settembre e fu uno strabiliante 3-1 in rimonta.