In dubio pro Leo

Roberto Beccantini13 December 2022

Diario mondiale, diciannovesima puntata. L’equilibrio, a volte, è una maschera. E il palleggio, una trappola. I vigili della Croazia – Modric, Brozovic e Kovacic, soprattutto lui – stavano incanalando il traffico, sereni, la paletta a mezz’asta e qualche fischio, circolare, circolare. Così per una trentina di minuti. D’improvviso, due contropiedi dell’Argentina. Un lancio di Fernandez per Alvarez, perso da Gvardiol e Lovren, fallo di Livakovic, rigore: il quarto in sei partite. Messi, naturalmente. Era il 34’. Cinque minuti ed ecco Alvarez, ancora, raccogliere le briciole di un corner croato e galoppare da area ad area. Doppio rimpallo e gol. Julian Alvarez, riserva di Haaland al City, una delle «correzioni» del ct Scaloni, con Fernandez e Mac Allister. Meditate.

Il resto, mancia. Leo era sempre lì, a maradoneggiare fra sodali non più tremebondi e avversari ormai vinti. Non hanno mai tirato, Perisic e compagni: se non alla fine. Mancava un centravanti, peso suddiviso e nascosto da un centrocampo di straordinario livello. Van Gaal, per risalire il destino, ricorse ai tralicci, Dalic non aveva manco questi.

Messi. Cinque reti come Mbappé. Il dribbling con il quale ha stordito Gvardiol, una delle sorprese più croccanti, per poi spalancare la porta alla doppietta di Alvarez, appartiene al repertorio dei geni. L’uscita di Modric era un avviso di resa. Quando si paragonano gli alieni, i confini sono sottili ma, almeno in questo caso, leggibili. Leo sa essere anche Modric, se serve; Luka no, può pittare geometrie, ma di Messi ce n’è uno.

Argentina finalista, dunque, in attesa di Francia-Marocco. Era rientrato Paredes, lucchetto davanti alla difesa, e verso l’epilogo, dato lo scarto, spuntava Dybala, addirittura. L’Omarino, ma sì.

Arbitrava Orsato: mi è sembrato all’altezza, tranquillo, rispettoso, rispettato.

Bellissima e crudele

Roberto Beccantini10 December 2022

La più bella partita del Mondiale. Spiace, non per tifo ma per passione, che a deciderla sia stato lo sgorbio di uno dei protagonisti. Uno dei più generosi: Harry Kane. Aveva realizzato il rigore dell’1-1, concesso per una sciocchezza di Tchouaméni su Saka. Ha sbagliato, calciandolo alla Baggio di Pasadena, quello del 2-2, decretato – via Var – per una spinta di Theo a Mount. Passa, dunque, la Francia, una Francia forte, sì, ma che non sempre ha potuto dimostrarlo. Soprattutto nel secondo tempo.

Era andata in vantaggio con una sciabolata proprio di Tchouaméni, sulla quale Pickford si tuffava in ritardo. E ci era tornata con una capocciata di Giroud, «spallato» da Maguire, su splendido cross di Griezmann, il più creativo dei bleus. Deschamps e Southgate le hanno provate tutte, spostando e pescando pedine. Pressing da una parte e dall’altra, ribaltoni su ribaltoni, portieri impegnatissimi – Lloris, in particolare: che parata, su Bellingham – come un gran premio di Formula 1 senza soste ai box.

Rabiot sgobbava sodo, è stata la sinistra a «tradire», per una volta, i campioni: Theo, Mbappé. Solo bollicine: anche per le «catene» di Walker e di coloro che, a turno, lo soccorrevano. Al di là dell’arbitro, mediocre e spesso contestato, gli inglesi avrebbero meritato di più. Se Giroud «strizzava» Maguire e Stones, i sentieri di Kane scompigliavano le trincee francesi. Rice, Saka, Bellingham offrivano munizioni e soluzioni: non Foden, però. Un palo esterno di Maguire – di testa, in mischia – e il brivido della punizione di Rashford, l’ultima carta, decoravano un rodeo che strappava dal torpore persino i «caschi blu».

Morale? L’England continua a pagare il sabba dei penalty; la Francia ha molto rischiato e molto sofferto. La malizia e gli episodi l’hanno spinta verso quel tavolo che gli avversari pensavano di aver prenotato. E così, Marocco-Francia.

Marocco e Cristiano, storie contro

Roberto Beccantini10 December 2022

Diario mondiale, diciottesima puntata. Il Marocco ha giocato con tutto, il Portogallo no. E così la nazionale di Walid Regragui (giù il cappello) porta l’Africa in semifinale per la prima volta. Camerun, Senegal e Ghana si erano fermati i quarti. E’ stata una partita epica, perché la sentenza coinvolge anche, e soprattutto, la fine di un re. Cristiano Ronaldo, prigioniero di un Ego che l’ha indotto a insozzare la coda di una carriera memorabile.

La trama l’hanno orientata i portieri: Diogo Costa, a farfalle sull’incornata ronaldesca di En-Nesyri; Bounou, straordinario su una lecca di Joao Felix e reattivo sull’ultimo sparo del marziano. Il capolavoro di Regragui parte dalla fase difensiva, forte anche in condizioni d’emergenza. Continua attraverso lo scudo di Amrabat, le volate di Hakimi, le geometrie di Ounahi, e culmina nei dribbling di Boufal, nella fantasia di Ziyech. Un gol preso in cinque gare: un’autorete, fra parentesi.

Verrà accusato, il ct rosso fuoco, di aver alzato un catenaccio da protervi occidentali. Specialmente nella ripresa. E allora? Gli dei ne hanno baciato il furore, la cazzimma, l’organizzazione: la traversa di Bruno Fernandes ne è stata sicario devoto. Il Marocco aveva già ingabbiato la Spagna, impedendole letteralmente di tirare. Con i portoghesi ha faticato un po’ di più, anche per il rosso a Cheddira (nel recupero), ma, in contropiede, avrebbe potuto addirittura chiuderla con Aboukhlal.

Gli ha dato una mano Fernando Santos, inserendo tardi Leao: più ancora di Cierre o Joao Cançelo, altri cambi in corsa, sarebbe stato prezioso nell’aprire il bunker dall’esterno. Male Bernando Silva, maluccio Joao Felix. E, pensando a Gonçalo Ramos e alla sua tripletta con la Svizzera: dura solo un attimo, la gloria. Quella di Cristiano, in compenso, è durata un ventennio. Il fatto che molti festeggiano, significa che ha lasciato un segno.