Se non basta il Grande Fratello

Roberto Beccantini29 December 2024

E sono undici. Il 2-2 con la Viola non avvicina Madama ai quarti di nobiltà della zona Champions e la lancia, addirittura, verso il record dei pareggi (19, dell’Udinese 2023-2024). Eppure, al netto delle battute e degli episodi, delle macumbe e dei seminari, è stata una delle migliori Juventus della stagione. In vantaggio due volte con Khéphren Thuram, il Grande Fratello, e sempre rimontata, prima dal leonino Kean (dura l’ex sed l’ex, in onore di Gpo) e quindi dal volpino Sottil, all’87’, con un sinistro al tritolo dopo una scivolata di Cambiaso. Per carità, la storia ne è zeppa, di scivolate, ricordo quella di Gerrard in un Liverpool-Chelsea che costò il titolo ai Reds, ma per il giovanotto – già complice del gol di Rebic a Lecce – sono momenti un po’ così.

Se Palladino fatica a reggere quattro attaccanti, Thiago non ha più quel muro che, sino ai botti del 4-4 interista, sembrava impenetrabile. Prendete Kalulu: è un cerotto che copre molte cicatrici. Non tutte: Kean l’ha bruciato sull’1-1. Il torto della Juventus è stato di rannicchiarsi una volta spaccato l’equilibrio, e di non aver sfruttato le fasi di dominio che, imparata la lezione, ne avevano scolpito la ripresa, a cavallo di Thuram, Locatelli, «Flopmeiners» (finalmente) e Conceiçao.

E poi De Gea: su Vlahovic, a rischio polso, su Gatti, sul Portoghesino; per tacere di una lecca di Locatelli a fil di incrocio. Veniva da due sconfitte, la Fiore. Ha tirato poco, ha pagato il ventre molle della difesa, ma ci ha sempre creduto e, dalla riffa dei ruzzoloni, ha estratto il jolly. Brava lei. Polli gli avversari.

Il duello Vlahovic-Kean, per concludere. Ha ricevuto coracci, Dusan, e si è battuto. A modo suo: sparando a occhi chiusi, palla o aria. Moise: zero moine al gol (l’undicesimo) e, per questo, applausi. Il suo wrestling con Gatti è piaciuto a tutti, anche a Mariani.


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Artigli, non sbadigli

Roberto Beccantini28 December 2024

Diciottesima di campionato, ultima dell’anno.

** Lazio-Atalanta 1-1 (Dele-Bashiru, Brescianini). Rock and ball. Un tempo a testa, come si scriveva nel Novecento. Baroni passa dal 4-2-3-1 al 4-3-3. E dal momento che è mossa scaltra e non paurosa, sarà proprio Dele-Bashiru, il centrocampista in più, a sbloccare un dominio che, nel corso di una stessa azione, aveva prodotto un doppio salvataggio di Carnesecchi e un palo di Guendouzi. La Dea? L’Aquila le ruba l’idea – penso al pressing, a quel Rovella indiavolato – e la costringe a un infinitesimale cabotaggio. Annaffiato, tra parentesi, da fiaschi di grossolani errori.

Ripresa. Gasp, scocciato, rivolta l’assetto. L’Atalanta invade in massa i territori laziali; Cuadrado e Lookman si mangiano, di crapa, il pari; Lookman centra il montante; gli ultimi cambi, Zaniolo e Brescianini, fissano il tabellino all’88’. Azionissima Zaniolo-Lookman-Brescianini e gol a porta vuota. In contropiede, però, è Dia a divorarsi il raddoppio in un paio di occasioni (clamorosa la prima). Si fermano, così, a 11 le vittorie consecutive dei bergamaschi. A naso, e a occhio, c’è di peggio.

** Cagliari-Inter 0-3 (Bastoni, Martinez, Calhanoglu su rigore). Uno sbarco nell’isola complicato, anche per la fiera opposizione degli «abitanti» (e le parate di Scuffet), ma poi la legge dei più forti. La legge dell’Inter. Campanile di testa di Baroni su campanile di Barella. Rasoio di Lautaro su cross di Barella (e due). Non segnava, il Toro, dal 3 novembre: e se n’era già mangiati due. Quindi la sbracciata di Wieteska e il rigore di Calhanoglu. Il polacco aveva sostituito Mina: non esattamente lo stesso lucchetto. In trasferta, Leverkusen esclusa, la squadra di Inzaghino non porge da un pezzo l’altra guancia: 1-0 Roma, 3-0 Empoli, 5-0 Verona, 6-0 Lazio, 3-0 Cagliari. Diciotto gol a zero. C’era Zola, in tribuna: nostalgia canaglia del suo destro.

Ciao, grandissimo. E grazie

Roberto Beccantini27 December 2024

Non era il primo della classe, Gian Paolo Ormezzano. Era un fuoriclasse. Assoluto. Ci ha mollato a 89 anni suonati e suonanti, dopo aver scritto di tutto e per tutti, persino un libro su quel Covid che lo aveva accerchiato e aggredito: «Gotta continua».

Ha seguito 25 Olimpiadi, tra estive e invernali, 28 Giri d’Italia e 12 Tour. Era a Cap Canaveral quando Apollo 11 sbarcò sulla luna; a Monaco quando ci fu la strage di Settembre Nero; a Kinshasa per il «rumble of the jungle» tra Ali e Foreman; in Argentina con Sivori, Bearzot e non lievi trambusti d’ombre e nell’ombra; e al Mondiale dell’82, apostolo del Vecio non dal fondo ma dall’inizio.

Articoli, romanzi, televisione. Fu mio direttore a «Tuttosport» (il secondo, dopo Giglio Panza) e fui suo «superiore» (sic) a «La Stampa». Aveva, con la parola, un rapporto sensuale, quasi carnale. Torinese e torinista, ma amicissimo di Boniperti e Platini, mi chiamò «Bonzo» perché una brace di pipa aveva dato fuoco al cestone della carta, nella mitica via Villar: erano tempi, quei tempi, in cui negli uffici era vietato «non» fumare.

Lo divertivano i giochi di parole, «malattia» che mi ha attaccato; scriveva più veloce di Brera. Era vorace, non si tirava mai indietro. Ha scortato più di mezzo secolo di sport, di vita, di giornalismo. Ironico ed eclettico.

Entravi nella sua tana, e lo trovavi, implacabile, che dettava un pezzo al telefono, ne picchiettava un altro sui tasti della Olivetti e, magari, consegnava un fascio di cartelle a una incauta segretaria di passaggio. Non si piangeva addosso: al massimo, come ha confessato, addosso si scriveva. Bastava un indizio, uno qualunque. Era a Tortona, il 2 gennaio 1960, quando morì Coppi. Ecco: Nacque lì, proprio lì, la sua strepitosa carriera. Impossibile imitarlo: sarà già tanto custodirlo. Ciao, Grandissimo. E grazie.